Uganda: dal periodo coloniale alla caduta di Obote

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Le relazioni con il Sud Sudan e la guerra civile che attanaglia il neonato Paese, i rapporti col Kenya e la posizione del presidente Museveni su questioni internazionali, sono alcuni degli elementi che rendono l’Uganda un attore importante nella zona orientale del continente africano. Un’analisi della storia del Paese è utile a conoscere i fatti e i pensieri che sono alla base della sua politica interna e delle relazioni che intrattiene dentro e fuori dalla regione.

 

Il periodo coloniale

I territori che oggi sono all’interno dei confini dell’Uganda toccarono l’interesse prima dei mercanti arabi, i quali vi costruirono i loro centri di commercio intorno a cui si crearono gruppi di religione islamica, e poi degli esploratori inglesi, già all’inizio dell’800.  L’avorio presente aveva da sempre fatto gola ai mercanti provenienti da oriente che non si erano fatti attendere quando la domanda di tale merce salì e la qualità delle armi da caccia iniziò a migliorare.

Quando la corsa all’Africa ebbe inizio, sia i protestanti inglesi della Church Missionary Society, sia i cattolici francesi, partirono per le zone orientali del continente Africano e contribuirono al processo di conversione della popolazione. La convivenza tra musulmani e cristiani sfociò presto in una guerra civile che iniziò nel 1888 e proseguì per otto anni e che, nonostante un iniziale successo dei seguaci dell’islam, vide vincitori cattolici e protestanti.

Gli europei e gli arabi che per primi arrivarono in Uganda, si trovarono davanti quattro diversi regni: Buganda, Ankole, Toro e Bunyoro. Il Buganda si distinse fin dall’inizio: fu il regno con cui i mercanti e i vari gruppi religiosi strinsero accordi, discutendo con il re, detto kabaka.

Il 1888 è anche l’anno in cui il governo britannico decise di affidare il controllo sull’area all’Imperial British East Africa Company, con l’obiettivo di costruirvi una ferrovia, l’Uganda Railway.

Poco tempo dopo la Germania accusò la Gran Bretagna di dominare sul regno di Buganda senza averlo inserito nell’accordo territoriale. L’allora kabaka accettò di porre i propri territori sotto dominio tedesco, territori che sarebbero di lì a poco ripassati in mano inglese a seguito di un ulteriore accordo tra le due potenze europee.

Raggiunta la pace dopo la quadriennale guerra civile a sfondo religioso, scoppiò una nuova guerra tra protestanti e cattolici, fino ad allora alleati, che portò alla fuga molti missionari francesi. Il governo britannico fu così libero di porre i territori del Buganda sotto il proprio protettorato, nel 1894. L’anno seguente anche gli atri tre regni ne divennero parte.

Ora non restava che decidere come governare il nuovo protettorato e, per farlo, l’amministratore coloniale Harry Johnston fu inviato per un sopralluogo. Dai suoi studi egli concluse che dovevano essere i capi locali a governare e che la Gran Bretagna avrebbe quindi dovuto utilizzare il tradizionale metodo dell’ indirect rule.

 

Il regno di Buganda

Come anticipato il Buganda era il regno più potente e ricco. Già dagli albori della colonizzazione sia i cattolici che i protestanti vi costruirono i propri uffici e fu, fin da subito, la zona che faceva più gola ai britannici. Il nome Uganda è il termine swahili utilizzato per dire Buganda.

Il governo britannico non nascose mai la sua predilezione per tale regno che, oltre ad essere il primo ad essere stato interpellato per la creazione del protettorato, ne divenne il centro politico ed economico, grazie soprattutto alla produzione di cotone e caffè.

Con il Buganda Agreement del 1900, i britannici riuscirono a sottomettere al proprio volere il regno, diminuendo i poteri del kabaka aumentando quelli dei consiglio consultivo, il lukiko, formato da protestanti locali, e ottenendo il potere di veto sulle decisioni del kabaka. L’accordo non fu firmato dal kabaka, che aveva solo un anno al tempo, ma dal primo ministro Apolo Kagwa.

 

Dopo l’indipendenza

La fine della Seconda Guerra Mondiale segnò l’inizio di una nuova fase nella politica coloniale degli stati europei, che passarono dallo sfruttamento intensivo ai tentativi di sviluppo: alle orecchie delle vecchie potenze erano arrivate le voci degli africani che chiedevano l’indipendenza. Durante gli anni ’60 tutte le colonie francesi ed inglesi divennero autonome; il 9 ottobre del 1962 fu il turno dell’Uganda.

 

Milton Obote

Due anni prima Milton Obote aveva formato un movimento, l’Uganda People’s Congress, con l’obiettivo di contrastare il potere del Buganda. Tale movimento aveva affiancato il Democratic Party, fondato dai cattolici a metà degli anni ’50, nella costruzione del panorama partitico del Paese all’alba dell’indipendenza.

Le elezioni che anticiparono l’indipendenza, avvenute nel 1961, videro il DP vincitore. Obote non si arrese e, creando un alleanza con il kabaka, si aggiudicò la vittoria nelle elezioni avvenute poco dopo l’indipendenza. L’alleanza costò a Obote soltanto la concessione del ruolo di capo cerimoniale al kabaka.

Ma la smania di potere di Obote venne presto alla luce. Quattro anni dopo l’accordo con  il Buganda si dichiarò unico presidente dello stato (le ruppe guidate da Idi Amin Dada sconfissero quelle del kabaka Mutesa II, costretto all’esilio) e l’UPC divenne l’unico partito legale. Gli stretti rapporti che il presidente aveva con leaders di stampo socialista come Nkrumah, capo di stato del Ghana, e Nyerere, presidente della Tanzania, lo portarono a condividere la loro linea politica, ponendo al centro dei propri interessi la rieducazione del popolo, l’anti-elitismo e l’aumento dell’autonomia a livello economico.

 

Idi Amin Dada

Promosso dagli inglesi generale e vicecomandante dell’esercito già prima dell’indipendenza, all’inizio degli anni ’70 cominciò ad avere dei problemi con la giustizia, per traffico di denaro. Il presidente gli comunicò di essere al corrente dei suoi affari sporchi, rimproverandolo, poco prima di partire per una conferenza a Singapore. Amin sapeva che al suo ritorno Obote lo avrebbe fatto licenziare, così si adoperò per batterlo sul tempo: il 25 gennaio 1971 organizzò un colpo di stato. 

Il sentimento che spinse Amin ad orchestrare il coup non derivava solo dalle discussioni recenti con il presidente. Amin faceva parte dell’etnia kakwa, considerata poco sviluppata dagli altri gruppi, acholi e langi (di quest’ultima faceva parte Obote)Si dice anche che Amin rappresenti il prodotto perfetto dell’esercito coloniale inglese, che non appena ha sentito uscire dalla bocca di Obote parole affini al pensiero socialista, ha deciso di prendere in mano la situazione ed eliminarlo dalla scena politica, sulla scia delle regole non scritte della Guerra Fredda.

Amin in poco tempo si dichiarò presidente, poi maresciallo, instaurando un regime dittatoriale e violento, devoto alla santificazione della propria persona, unica fonte di potere. La violenza era la sua arma migliore, quella con cui era riuscito a prendere il potere e quella con cui lo avrebbe mantenuto. Una delle sue prime mosse fu la cacciata di tutti gli asiatici dal Paese, per ridare spazio ai nativi ugandesi.

La presunzione e l’arroganza di Amin furono il suo punto debole: accecato dall’odio verso Nyerere, presidente della confinante Tanzania, decise di attaccare il Paese limitrofo. Ne seguì una guerra di due anni (1978-79), durante la quale sia la Libia che la Palestina (Amin chiese aiuto ai paesi arabi dopo il rifiuto di Israele) mandarono truppe in sostegno di Amin Dada. La Tanzania unì le sue forze e presto partì al contrattacco e, non appena le sue truppe raggiunsero Kampala, venne decretata la fine della guerra e la caduta di Amin.

 

Il secondo Obote

Con l’aiuto di Nyerere, che lo aveva ospitato durante l’esilio, Obote riuscì presto a riconquistare il potere. Il Guardian scriveva poco dopo le elezioni del 1980:

“In elezioni danneggiate da diffuse ed evidenti irregolarità – […] giudicate corrette da un gruppo di osservatori del Commonwealth – l’UPC di Obote ha vinto. “

L’atteggiamento di Obote non si differenziò molto da quello del predecessore, la violenza rimaneva alla base del potere del presidente. Nel periodo Obote II, scontri etnici e depressione economica misero in ginocchio il Paese. Il regime repressivo cercò di mettere a tacere ogni voce di dissenso e non mancarono episodi di vendetta contro i sostenitori di Amin.

Fu di nuovo l’esercito ad intervenire: nel 1985 il comandante militare Tito Okello, con un nuovo golpe, spodestò Obote. Da qui avrà inizio la storia dell’Uganda Patriotic Movement e del suo leader, Yoweri K. Museveni, che è ancora oggi presidente dell’Uganda.

 

 

Fonti e Approfondimenti

https://dspace.library.uvic.ca:8443/bitstream/handle/1828/5368/Singh_Sabina_PhD_2014.pdf?sequence=1&isAllowed=y

https://dspace.library.uvic.ca:8443/bitstream/handle/1828/5368/Singh_Sabina_PhD_2014.pdf?sequence=1&isAllowed=y

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