Angola: gli errori della ricostruzione

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La fine della guerra civile in Angola è avvenuta nel 2002, quando Savimbi, il leader di UNITA, cadde vittima delle forze governative. Poteva essere un’occasione importante per la rinascita dello stato a livello sociale, politico ed economico. Anche questa volta, come spesso accade nel continente nero, la crescita pilotata dal partito di governo MPLA, uscito vincitore dalla guerra, ha giovato solo a pochi: i ricchi e l’élite che gravita intorno al presidente Dos Santos.

Il 4 aprile 2002, a Luena, veniva firmato un cessate il fuoco che metteva fine alle ostilità che avevano fomentato il conflitto interno angolano per 27 anni. Gli Accordi di Luena, anche detti Memorandum della Comprensione, richiamavano il Protocollo di Lusaka del 15 novembre 1994, che prevedeva il disarmo di UNITA e la riconciliazione nazionale.

Quello che rimaneva dopo decenni di conflitto, prima per l’indipendenza, poi per il potere, era un cimitero di infrastrutture ridotte in pezzi, niente più strade, ponti e ferrovie funzionanti; il cibo scarseggiava, centinaia di migliaia erano i rifugiati nei paesi limitrofi e altrettanti i morti.

Le Nazioni Unite sostituivano lo United Nations Office in Angola con la United Nations Mission in Angola (UNMA), con la risoluzione 1433 dell’agosto dello stesso anno. La missione prevedeva una commissione militare che avrebbe monitorato e controllato l’adempimento delle degli accordi di pace, mentre si sarebbe adoperato per coordinare  le attività delle varie agenzie delle Nazioni Unite. Ma il governo di Josè Eduardo Dos Santos si era immediatamente dimostrato forte ed autoritario: i poteri e le capacità dell’UNMA erano circoscritti dall’MPLA, oramai partito di stato, che controllava, con l’FAA, le forze armate angolane, tutte le zone del paese.

L’affermazione del Movimento

La ricostruzione dello stato, guidata da Dos Santos e i suoi collaboratori, aveva sia obiettivi politici, sia obiettivi economici. Per cominciare andava creato un sistema politico stabile, chiaramente guidato dall’MPLA, e ciò rendeva necessario un forte appoggio da parte della popolazione, più di tutti la parte benestante, quella politicamente rilevante. Si iniziò con un’amnistia generale, approvata dal parlamento qualche giorno prima dell’Accordo di Luena, a favore degli ex ribelli di UNITA, parte dei quali vennero poi integrati tra e fila delle Forze Armate dell’Angola (FAA). Sembrava che il paese si stesse davvero spingendo verso un sistema democratico: ampio spazio era lasciato al dissenso politico, radio, canali televisivi e nuovi giornali e riviste spuntavano fuori con frequenza. E’ giusto dire ‘sembrava’, perché nel frattempo la nascita di organizzazioni sociali e di associazioni professionali sponsorizzate dal partito di stato, incanalava le abitudini e i pensieri degli angolani per plasmare la società che avrebbe ciecamente appoggiato Dos Santos nel prossimo futuro.

Tali pratiche hanno garantito l’82% di consensi all’MPLA nelle elezioni presidenziali del 2008 e ne hanno permesso la vittoria anche nel 2012, dopo l’entrata in vigore di una nuova costituzione avvenuta nel 2010. La costituzione utilizzata per le elezioni del 2008, in vigore dal 1992, prevedeva un sistema politico democratico e multipartitico, ma la continuazione della guerra civile ne ha impedito l’effettiva applicazione; la riforma del 2010, approvata dall’Assemblea Nazionale senza l’appoggio di UNITA, eliminava le elezioni presidenziali instaurando un sistema per il quale la presidenza sarebbe stata assegnata al leader del partito che avrebbe ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni parlamentari, il quale sarebbe stato insignito dei poteri di capo di stato, capo di governo e comandante delle forze armate. Veniva così eliminata l’elezione diretta del presidente da parte dei cittadini.

A ciascun presidente erano consentiti due mandati da cinque anni, ma essendo esclusi gli anni precedenti la riforma, Dos Santos, già presidente dal 1975, poteva esercitare per altri dieci anni. Il 31 agosto 2012, il risultato sperato e previsto era stato ottenuto, l’MPLA guadagnava 175 dei 220 seggi del parlamento angolano, non senza accuse di broglio da parte dell’opposizione.

Il progetto economico

La risposta alla distrutta economia del paese venne data dal governo con un Piano di Sviluppo a Lungo Termine, da concludersi nel 2025. Il piano prevedeva una ricostruzione manovrata dall’alto, che avrebbe accelerato lo sviluppo economico con l’introduzione di nuovi strumenti tecnologici, enfatizzando gli investimenti stranieri per promuovere la ricostruzione delle infrastrutture e i grandi progetti.

L’economia che aveva finanziato la guerra era basata sul commercio illegale dei diamanti, che aveva sostenuto UNITA nella continuazione della sua guerra di ribellione, e sulla produzione e vendita di petrolio; era necessaria la riconversione dell’economia e l’allontanamento del centro di questa dall’industria petrolifera, ma i risultati non sono stati quelli sperati: a causa del mancato sviluppo dell’economia alternativa al settore petrolifero, è costretta ad importare qualsiasi cosa, dai beni essenziali ai professionisti di ogni genere e continua ad essere molto vicino al paradigma del rentier state, stato le cui entrate derivano unicamente o principalmente dalla vendita di una materia prima naturalmente presente nel territorio, infatti oltre il 40% del PIL nazionale deriva dal commercio di petrolio e gas.

Contemporaneamente, anche la promozione di investimenti è stata gestita in modo problematico prestiti stranieri sono stati numerosi, ma la World Bank ha valutato in modo negativo la gestione degli stessi, accusando il governo angolano di essersi occupato di progetti definiti white elephant, azzardati, molto costosi e non prioritari, e consigliandogli di intraprendere progetti sostenibili che possano migliorare le condizioni della popolazione, riguardanti le infrastrutture scolastiche, gli ospedali e il risanamento del settore agricolo.

La crescita economica dell’Angola è stata in realtà gestita con cognizione di causa dal governo: il presidente Dos Santos aveva come obiettivo la creazione di una borghesia di massa, senza porsi il problema di alleviare la povertà, infatti tutti gli investimenti del dopoguerra hanno riguardato ciò che interessa le élite, quindi grattacieli, centri commerciali e stabilimenti balneari. Anche quando si è assistito alla angolanization del settore privato, realizzata attraverso la partecipazione degli imprenditori angolani agli investimenti stranieri, solo la cerchia di persone più vicine al presidente ne ha beneficiato, in particolare i suoi familiari: sua figlia Isabel è stata recentemente nominata da lui stesso capo della compagnia petrolifera di stato, la Sonangol, e a gennaio ha acquisito il controllo della più grande banca del paese, il Banco de Fomento Angola (BFA).

Il risultato dei progetti di crescita

In Angola, pur essendo stato registrato un  livello di crescita annua che superava il 15% tra il 2002 e il 2008, sceso poi sotto il 10% a causa del calo del prezzo del petrolio, si registrano indici di povertà e di disoccupazione tra i più alti del continente e il più alto numero di morti infantili a livello mondiale. Il processo di sviluppo economico fortemente promosso dal governo guidato dal MPLA, non si è interessato di una grande fetta della popolazione, come il servizio del New York Times che segue, dimostra.

Le condizioni del paese si sono fortemente aggravate nel periodo successivo al 2008, quando il livello di crescita annuo è diminuito a causa del progressivo abbassamento del prezzo del petrolio. Se prima il governo non era propenso a spendere troppo in politiche volte a migliorare le condizioni della popolazione povera, ora non potrebbe farlo nemmeno volendo. Alla mancanza di fondi contribuisce il fatto che l’Angola sia stato catalogato stato ad ‘upper middle income‘, mediamente ricco, e per questo non beneficia più di alcuni degli aiuti delle istituzioni e organizzazioni internazionali, anche da parte della World Bank.

Le responsabilità della situazione sono per la maggior parte da imputare alla classe politica dirigente, fortemente corrotta e spesso anche impreparata e incompetente. La corruzione diffusa è stata recentemente messa in luce dalle vicende che vedono come protagonista il vice presidente, Manuel Vicente. Questi, prima dell’accaduto molto gettonato per la successione a Dos Santos, è stato qualche anno fa accusato di uso illecito di denaro pubblico ed ora si sospetta abbia al tempo pagato svariate centinaia di milioni di dollari per mettere fine alle indagini sul suo conto.

Il momento di pensare ad un futuro senza il presidente Dos Santos è oramai vicino: egli ha annunciato l’anno scorso che non si candiderà alle prossime elezioni, previste per il 2018, anche se, secondo la costituzione avrebbe la possibilità di mantenere il proprio posto come capo di stato per un’ulteriore legislatura. Ad oggi il più probabile successore è Jouao Lourenço, l’attuale ministro della difesa, che pone l’eliminazione della corruzione al centro del suo progetto presidenziale criticando gli scambi di mazzette tra i rappresentati politici e i grandi imprenditori stranieri che vogliono investire in Angola. Anche il miglioramento del sistema e delle strutture sanitarie è per lui centrale.

Rimane da chiedersi se i progetti del possibile futuro presidente verranno portati a termine e se l’uscita di scena di Josè Eduardo Dos Santos sarà sufficiente a fa cambiare rotta al paese.

 

 

 

Fonti e Approfondimenti

Fai clic per accedere a div-class-title-illiberal-peacebuilding-in-angola-a-href-fn01a-ref-type-fn-a-div.pdf

http://www.internazionale.it/search/angola

http://www.c-r.org/accord-article/role-united-nations-angolan-peace-process

https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/25105/ACS19693.pdf?sequence=4&isAllowed=y

https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/25105

http://edition.cnn.com/2012/08/30/business/angola-analysis-elections/index.html

http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/1906434.stm

http://www.africanews.com/2017/01/06/angolan-president-s-powerful-daughter-takes-over-largest-bank/

http://www.worldbank.org/en/country/angola/overview

http://www.bbc.com/news/world-africa-38996879

http://www.africanews.com/2017/02/21/angola-joao-lourenco-vows-to-eliminate-corruption/

https://www.hrw.org/world-report/2016/country-chapters/angola

Gli enormi problemi dell’Angola

https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2016/08/02/how-the-crash-in-oil-prices-devastated-angola-and-venezuela/?utm_term=.8f2edc6a8814

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