Vento di protesta in Giordania

Giordania
@Staff Sgt. Eric Harris, U.S. Air Force - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

La Giordania ha vissuto una settimana di intense proteste che hanno portato alla caduta del governo in carica e hanno riaperto il dibattito pubblico sul rapporto tra governo e cittadini. Sebbene l’ondata di malcontento sia scaturita dalla proposta di una riforma fiscale che, stando alle critiche, avrebbe contribuito a peggiorare le condizioni di vita nel Paese, la narrativa delle manifestazioni si è ben presto spinta oltre la sola questione economica. La Giordania non è estranea alle proteste ma gli ultimi eventi si sono distinti dal passato per la velocità con cui le manifestazioni si sono diffuse e per la partecipazione che hanno attirato. 

L’arte di sopravvivere: l’economia giordana

Causa immediata dello sciopero di mercoledì scorso, convocato da sindacati e associazioni sociali era stata la proposta al Parlamento di una nuova legge sulle tasse. Secondo gli emendamenti, la soglia di reddito che dava diritto all’esenzione fiscale sarebbe stata abbassata ad includere famiglie e individui che prima erano esentati e per lo più facenti parte della borghesia a reddito medio – basso. Come se non bastasse, il giorno seguente il governo ha annunciato, per poi ritrattare dopo poche ore, l’ennesimo rincaro su carburante e benzina. Queste ultime misure di austerità, come le precedenti, sono in linea con le condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale sul prestito triennale concesso alla Giordania nel 2016.

La situazione economica è infatti più che precaria: il debito pubblico è passato dal 57%  del PIL nel 2010 al 94% nel 2017, la disoccupazione è aumentata considerevolmente e ha colpito soprattutto i giovani e circa il 20% dei giordani vive sotto la soglia di povertà, nonostante Amman sia tra le città più costose della regione. Una parte della stampa pro-governo ha imputato la crisi a cause esterne e, nello specifico, ai circa 700 mila rifugiati arrivati dalla Siria per cui la Giordania avrebbe visto solo una parte degli aiuti promessi e l’instabilità ai confini che colpisce commercio e turismo. Parte delle responsabilità sono state allo stesso modo proiettate sul FMI e sulle politiche di prestito dell’ente.

Ciò che invece è importante ammettere per spezzare il ciclo vizioso crisi- prestiti- aumento del debito- altri prestiti sono le falle strutturali che rallentano l’economia del Paese e la rendono fortemente dipendente da attori esterni. Abbiamo già parlato dell’importanza che gli aiuti provenienti dall’estero rivestono nell’economia giordana. Infatti, sebbene il Paese non abbia risorse naturali come i vicini Paesi del Golfo o Iraq e Siria, ha sviluppato nel corso degli anni un modello economico molto simile a quello rentieristico presente negli Stati circostanti: buona parte delle rendite del Paese sono alimentate da aiuti esterni e dalle rimesse dei lavoratori nel Golfo.

In secondo luogo, dagli anni ’80 sotto re Hussein e ancor più dagli anni 2000 con re Abdullah sono state promosse una serie di iniziative per liberalizzare l’economia nazionale, tra cui la privatizzazione dell’industria di fosfato, l’eliminazione di dazi al confine e delle tasse sulle compagnie straniere senza prevedere misure di compensazione per le imprese e i lavoratori locali. Parallelamente, il sistema di welfare è stato ridimensionato con conseguenze drammatiche per la classe operaia.

E’ chiaro che questo approccio non sia sostenibile sul lungo periodo: i mutamenti nelle alleanze regionali e l’allineamento USA – Arabia Saudita – Israele hanno determinato la fine degli aiuti provenienti da Arabia Saudita ed Emirati. Inoltre, la nuova politica americana nei confronti del conflitto israeliano-palestinese, segnata dal riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele, ha sminuito il ruolo che la Giordania per anni aveva rivestito come anello di congiunzione tra Israele e il mondo arabo. Per far fronte al ridotto flusso di introiti dall’estero, il governo ha iniziato a tagliare i sussidi e alzare le tasse esasperando la popolazione. La frustrazione è stata acuita dal fatto che i sacrifici economici richiesti in nome della stabilità economica non sono serviti a migliorare l’offerta di servizi. Inoltre rimane una forte mancanza di trasparenza riguardo l’allocazione dei fondi pubblici: la spesa militare dichiarata nel budget di quest’anno è aumentata rispetto al precedente ed è impossibile avere un’idea della cifra totale destinata a scopi militari data la segretezza che avvolge gli affari reali e delle mukhabarrat, l’intelligence giordana.

La classe media scende in piazza

Rispetto alle proteste del 1989, del 1996 e del 2011 la differenza più evidente è stata la partecipazione della classe media e l’assenza della forte polarizzazione ideologica che aveva indebolito e spaccato le precedenti manifestazioni popolari. Nel 1989 e nel 1996, le rivolte erano partite dai clan nelle regioni rurali e avevano coinvolto relativamente la borghesia della capitale. Anche nel 2011, la borghesia si era tenuta ai margini delle proteste dal momento che, godendo di un parziale accesso alla vita politica ed economica del Paese, lo status quo sembrava di gran lunga preferibile ai drammatici esiti delle Primavere Arabe nei paesi vicini.

Al contrario il moto popolare di questi giorni è partito proprio dalla classe media, colpita direttamente dalla proposta di legge fiscale e da anni di corruzione e clientelismo che hanno progressivamente ridotto le possibilità di mobilità sociale. Il successivo annuncio del governo sui prezzi ha poi mobilitato la classe operaia e, come ha scritto il blogger giordano Naseem Tarawneh: “per una volta, ogni giordano sta parlando all’unisono e la parola chiave del momento è: no! “Gabba3at, E’ troppo”; “Ma3nash, Non abbiamo nient’altro da dare”.

La risposta della monarchia

Le manifestazioni si sono svolte in modo prevalentemente pacifico con isolati casi di violenza e sporadici arresti. Il re, dal canto suo, ha immediatamente preso le parti della popolazione: all’alba di lunedì si era recato in prossimità del 4 Circle, sede del Primo Ministro, dove si erano radunati i manifestanti e aveva riferito alle forze dell’ordine che i cittadini “devono poter esprimere se stessi e dar voce alle loro opinioni e il nostro dovere è proteggerli”. Poche ore dopo ha accettato le dimissioni del PM Hani al-Mulki e ha nominato al suo posto Omar al-Razzaz, ministro dell’istruzione di profilo liberale e riformista ed ex-economista per la Banca Mondiale. Nella lettera di incarico destinata al nuovo PM, re Abdullah si è detto orgoglioso della cittadinanza attiva mostrata dai giordani e ha sottolineato che: “dialogo, comunicazione e costruzione del consenso dovrebbero essere gli strumenti più importanti su cui il governo dovrebbe basare la sua apertura e interazione con le altre autorità e i cittadini”.

Due giorni fa il nuovo PM ha annunciato che la proposta di legge verrà ritirata dopo che la tregua di una settimana negoziata dal governo era stata rifiutata dai manifestanti. Tuttavia ciò che rimane da capire nelle settimane a venire è fino a che punto i cittadini giordani riusciranno ad approfittare del momento e “trasformare le proteste da un regalo che si estingue in fretta in una reale vittoria popolare”.

Fonti e Approfondimenti:

https://www.aljazeera.com/news/2018/06/jordan-sees-largest-anti-government-protests-years-180603123052453.html

https://www.aljazeera.com/news/2018/06/jordans-king-abdullah-to-pm-mulki-resign-180604060908389.html

https://www.aljazeera.com/programmes/insidestory/2018/06/jordan-deal-public-anger-180603175119440.html

Jordan’s Strike and Uprising: No Alternative to Alliances from Below

Roundup of Day Four of Protests in Jordan

https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2018/06/04/why-jordanians-are-protesting/?noredirect=on&utm_term=.2ede764726b8

http://nena-news.it/giordania-re-abdallah-cambia-premier-ma-non-economia/

http://www.middleeasteye.net/news/jordans-abdullah-calls-reviewing-tax-bill-sparked-protests-777822778

httphttps://www.7iber.com/politics-economics/how-to-turn-jordan-protests-into-popular-gains

http://www.middleeasteye.net/columns/how-can-jordan-solve-its-economic-and-political-crisis-1987322944

http://www.middleeasteye.net/news/analysis-jordans-self-inflicted-economic-woes-731179572

http://www.middleeasteye.net/columns/arab-spring-still-alive-jordan-373058851

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