Ricorda 1979: l’omicidio di Guido Rossa

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L’omicidio di Guido Rossa è uno spartiacque nella storia insanguinata del terrorismo italiano e degli anni di piombo. Con quest’atto, infatti, le Brigate Rosse annunciano il passaggio alla guerra totale contro tutte le entità legate allo Stato, incluso il Partito Comunista Italiano. Allo stesso tempo, l’azione segna anche l’inizio della fine per i brigatisti: ampie fasce della sinistra, che fino a quel momento avevano silenziosamente supportato il gruppo, se ne distanzieranno apertamente.

Gli anni di piombo

Siamo nel pieno degli anni Settanta, o “anni di piombo”, come sono ormai ricordati. È una delle epoche più oscure nella storia dell’Italia unita, non solo per la violenza e per le morti, ma anche per i misteri irrisolti risalenti proprio a quegli anni. Gli anni Sessanta e Settanta sono quelli del terrorismo “rosso”, di matrice comunista, e “nero”, di estrema destra, e dei misteriosi intrighi statali che coinvolgono personaggi politici e servizi di intelligence. Ancora oggi, ben poco si sa di molti eventi di quell’epoca: la strage di piazza Fontana del 1969, la strage dell’Italicus del 1974 o quella di Bologna del 1980.

Sono gli anni della strategia della tensione: una strategia politica volta a instillare terrore nella popolazione e destabilizzare l’asse politico, impedendo alle forze di sinistra di guadagnare terreno. Secondo alcune fonti, i servizi segreti supportarono, o non ostacolarono, gruppi di estrema destra autori di stragi e attentati, per favorire l’opera di indebolimento che avrebbe portato al potere forze vicine a quell’area politica.

Le Brigate Rosse

In un contesto definito di “democrazia limitata”, alcuni gruppi di estrema sinistra ingaggiarono una lotta armata contro lo Stato: tra questi, le Brigate Rosse. Costituitosi nel 1970, il gruppo di matrice marxista-leninista attuò una prima fase di “propaganda armata”, con atti dimostrativi come comizi, sequestri e processi proletari. Nel 1974, a Genova, le Br rapirono il sostituto procuratore Mario Sossi, rilasciato in cambio della liberazione di otto membri dell’organizzazione di sinistra XXII ottobre. Nello stesso anno, rivendicarono i primi omicidi: l’uccisione di due uomini durante il raid di una sede del Movimento Sociale Italiano (MSI).

L’atto forse più noto delle Brigate Rosse è il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, presidente della DC e fautore della politica di solidarietà nazionale: un compromesso politico con le forze di sinistra che includesse anche i comunisti, pur senza ministri. Il 16 marzo 1978, i brigatisti tesero un agguato a Moro in via Fani, a Roma, uccisero i cinque membri della scorta e lo rapirono. Il cadavere fu ritrovato 55 giorni dopo nel bagagliaio di un auto, in via Caetani.

L’omicidio di Guido Rossa avviene in questo clima: in un’Italia terrorizzata dalla violenza continua, uno Stato ormai in allerta, e un PCI sempre più coinvolto nella politica istituzionale, anche se formalmente fuori dal governo.

Chi era Guido Rossa?

Guido Rossa nacque nel 1934 a Cesiomaggiore, in Veneto, e iniziò a lavorare in fabbrica a 14 anni, alla Fiat di Torino. Nel 1961 si trasferì a Genova e fu assunto come operaio metalmeccanico alla Italsider di Genova. L’anno successivo entrò nel consiglio di fabbrica e diventò dirigente sindacale per la Fiom-Cgil. Era anche tesserato al Partito Comunista Italiano.

Erano anni complessi nella politica italiana: dopo l’omicidio di Aldo Moro, il PCI si era schierato decisamente contro le Brigate Rosse, inaugurando la linea della tolleranza zero. In quanto sindacalista, Guido Rossa ricevette l’incarico di sorvegliare gli operai, segnalando chiunque potesse essere affiliato alle Brigate Rosse.

Nell’ottobre 1978, qualcuno iniziò a diffondere dei volantini delle Br nei locali dell’Italsider. Rossa indagò e iniziò a sospettare di un operaio chiamato Francesco Berardi. Un’ispezione dell’armadietto di Berardi confermò i suoi sospetti: Berardi era infatti un “postino” per le Br, incaricato di diffondere i loro materiali propagandistici. La sorveglianza di fabbrica catturò Berardi, che tentava di scappare, e il consiglio di fabbrica si riunì per decidere il da farsi.

In quell’occasione, Rossa sostenne che bisognasse denunciare Berardi alla polizia, sfidando l’opposizione dei suoi stessi compagni. Il consiglio decise infine di chiamare i Carabinieri, ma al momento di firmare la denuncia, gli operai si rifiutarono, consapevoli del rischio che avrebbero corso. Solo Guido Rossa appose la propria firma.

Berardi fu processato in direttissima e condannato a quattro anni e sei mesi di carcere per partecipazione a banda armata, associazione sovversiva, pubblica istigazione e apologia. Si suicidò nella sua cella il 24 ottobre 1979.

L’omicidio di Guido Rossa: un atto non pianificato

La reazione delle Brigate Rosse non si fece attendere. Rossa fu immediatamente bollato come traditore e delatore, e la colonna di Genova, che allora contava tra 50 e 70 membri, decise che bisognava dare una lezione al sindacalista.

Il 24 gennaio 1979, alle 6.35, Guido Rossa uscì di casa per recarsi al lavoro. Nonostante l’ora, non era solo: ad attenderlo, tre brigatisti su un furgone parcheggiato in via Fracchia, poco lontano dall’abitazione. All’improvviso, uno di loro, Vincenzo Guagliardo, spara quattro colpi all’operaio, ferendolo alle gambe. Missione conclusa, sembrerebbe.

Mentre il commando fa per allontanarsi, tuttavia, un altro membro, Riccardo Dura, torna indietro e raggiunge Rossa, che nel frattempo si era rifugiato a fatica nella propria auto. Dura rompe il finestrino e spara al sindacalista, uccidendolo.

Molte domande sorgeranno su quest’episodio, che creerà profonde divisioni all’interno delle Brigate Rosse. L’omicidio non era mai stato nei piani del commando: perché Dura era tornato indietro a finire Guido Rossa? Ai suoi compagni, egli dichiarerà che Rossa era un traditore e meritava di morire.

Uno Stato assente?

In tanti si interrogarono inoltre sulle responsabilità del sindacato e dello Stato. Guido Rossa, infatti, non ricevette una scorta di polizia. Il sindacato gli offrì una scorta non ufficiale, ma egli la rifiutò, non volendo porre a rischio la vita dei compagni.
Inoltre, il mancato appoggio da parte dei compagni nel firmare la denuncia, anche se comprensibile, sicuramente espose maggiormente Rossa. Come disse Luciano Lama, segretario generale della Cgil, ai funerali:

“Se un gesto di coraggio civile compiuto da Guido Rossa non fosse rimasto troppo isolato, forse la vita di questo nostro compagno non sarebbe stata spezzata”.

Ai funerali di Guido Rossa, il 27 gennaio 1979, parteciparono più di 250.000 persone. Gli operai dell’Italsider circondavano il feretro. Era presente anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che dopo le esequie fece visita ai lavoratori del porto e, parlando non come presidente, ma “come compagno”, condannò fermamente il gesto delle Br. Pertini insignì Rossa della medaglia al valor civile: “Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare a fini di giustizia nella lotta contro il terrorismo.”

L’inizio della fine

Per le Brigate Rosse, l’omicidio di Guido Rossa segnò l’inizio del declino. Molti tra coloro che, fino a quel momento, avevano silenziosamente supportato l’operato delle BR – o non l’avevano apertamente condannato – furono sconvolti dal gesto. Mai prima di allora il gruppo aveva ucciso un compagno.

Anche all’interno della colonna di Genova l’azione produsse contrasti. Vincenzo Guagliardo testimoniò più tardi che l’obiettivo non era di ucciderlo e che Riccardo Dura aveva disubbidito agli ordini. Inizialmente, la colonna genovese aveva addirittura negato le proprie responsabilità, attribuendo l’atto a un gruppo armato vicino alle Br, che aveva reagito di fronte all'”ottusa reazione” della vittima. I volantini che rivendicavano l’omicidio furono diffusi solo all’inizio di febbraio.
Riccardo Dura non fu espulso dalle Br, nonostante la sua indisciplina. Restano ancora molte domande: davvero agì autonomamente, o ricevette ordini dall’alto?

Nel 1980, i Carabinieri fecero irruzione nella base Br di via Fracchia, a Genova, uccidendo Dura e altri tre brigatisti. Anche qui, le dinamiche dell’evento sono poco chiare: Dura fu infatti ucciso con un unico colpo alla nuca. Guagliardo fu arrestato nel 1980 e condannato a quattro ergastoli. Vincenzo Carpi, l’autista, è ancora latitante.

Nel frattempo, dopo il sequestro di Aldo Moro, le forze di polizia erano diventate più presenti ed efficaci. La legge Cossiga (legge n°16 del 6 febbraio 1980) introdusse il reato di associazione ai fini di terrorismo ed estese i poteri di polizia. La legge 304 del 1982, nota come “legge sui pentiti”, prevedeva sconti di pena e benefici processuali per coloro che si ritirassero da associazioni terroriste e collaborassero con la giustizia.

Alla fine degli anni Ottanta, delle Brigate Rosse era rimasto ben poco. Guido Rossa, con la sua vita e con la sua morte, aveva lanciato un messaggio importante: di fronte a chi diceva “né con lo Stato, né con le Br”, egli scelse lo Stato, sentendolo come il proprio dovere di operaio e di comunista.

 

Fonti e approfondimenti

Brigate Rosse“, Treccani.

L’omicidio di Guido Rossa, 40 anni fa“, Il Post, 24/01/2019.

Di Caro, Eliana. “Mio padre, l’operaio che osò sfidare le Br“, Il Sole 24 Ore, 08/05/2010.

Di Consoli, Andrea. “Guido Rossa, dalla parte dello Stato: con lui morì la lotta armata delle Br“, Il Sole 24 Ore, 24/01/2019.

Grilli, Marco. “Guido Rossa. Un uomo solo contro le BR“, InStoria, n° 25, giugno 2007.

Lupacchini, Otello. “Guido Rossa, quarant’anni fa quell’omicidio segnò una svolta. Anche per le Brigate Rosse“, Il Fatto Quotidiano, 24/01/2019.

Legge 6 febbraio 1980, n. 15. “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica.GU Serie Generale n.37 del 07/02/1980.

Legge 29 maggio 1982, n. 304. “Misure per la difesa dell’ordinamento costituzionale.” GU n. 149 del 02/06/1982.

 

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