In Perù si è deciso di tornare anticipatamente al voto. La decisione è stata presa dall’attuale Presidente Vizcarra, dopo una serie di vicissitudini che hanno contribuito a destabilizzare la struttura politica del Paese. Il sasso che ha dato origine alla frana proviene dal vicino Brasile, ed è stato “lanciato” dai giudici che hanno dato il via al processo relativo allo scandalo ‘Lava Jato’. Come si è visto, una volta che la vicenda si è trasformata nel ‘caso Odebrecht’, è emersa una ramificazione illegale di interessi tra importanti esponenti politici e uomini d’affari delle maggiori aziende edili di vari Paesi dell’America Latina. La classe politica peruviana è uscita molto indebolita da questo scandalo: tre degli ex presidenti ancora in vita sono finiti sotto indagine e sono stati detenuti per 36 mesi in carcere preventivo. Gli altri due presidenti ancora in vita hanno invece trovato il loro modo di evitare il carcere. Alan García Pérez (centro-sinistra) si è suicidato al momento dell’arresto, avvenuto lo scorso 17 aprile, mentre Alejandro Toledo (corrente liberal-democratica) è fuggito negli Stati Uniti nel febbraio 2017.
La rinuncia di Kuczynski
Una valanga travolgente che è arrivata a seppellire tutti i massimi esponenti politici del Paese, in maniera indiscriminata e senza distinzione di colore o posizione politica. Proprio mentre le indagini stavano smuovendo il terreno sotto i piedi di molti imputati, nel 2016, alle elezioni politiche, venne eletto Pedro Pablo Kuczynski, già ministro degli Esteri sotto la presidenza di Toledo (2001 – 2006). In breve tempo, così come l’ex presidente, anche il neoeletto si ritrovò vittima dello scandalo Odebrecht e l’opposizione, concentrata nel partito Fuerza Popular, di cui faceva parte anche Keiko Fujimori (figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, successivamente arrestata sempre per lo stesso scandalo), ne chiedeva le dimissioni.
Così il Congresso del Perù promosse due processi per impeachment. Il primo non ebbe successo mentre il secondo andò a buon fine, grazie all’alleanza dei partiti di sinistra con Fuerza Popular (partito di corrente liberal-democratica) entrambi all’opposizione rispetto al Governo. L’impeachment però non venne mai ratificato o, per meglio dire, attuato. Infatti Kuczynski decise di dimettersi prima che ciò avvenisse, a causa di una serie di video e audio pubblicati da alcuni parlamentari di Fuerza Popular in cui si vedevano e ascoltavano dei loro stessi compagni di partito (tra cui Keiko Fujimori) cercare di convincere i propri colleghi del Congreso a votare contro l’impeachment, in cambio di favori per l’attuazione di loro promesse elettorali. Si trattava dei “Kenjivideo”, le prove multimediali che costrinsero il presidente alle dimissioni. La rinuncia al mandato non portò, però, a nuove elezioni. Come per il Brasile, anche in Perù il posto vacante venne assegnato al vice-presidente, ovvero Martín Vizcarra.
La presidenza Vizcarra: il referendum costituzionale
Subentrato come presidente il 23 marzo 2018, Vizcarra si ritrovò a dover fronteggiare una situazione d’emergenza che richiedeva una riforma strutturale del sistema legislativo ed esecutivo del proprio Paese. Alla base di questi propositi, la necessità di assicurare maggiori controlli per contrastare la corruzione endemica (presente da prima del caso Odebrecht) nella politica peruviana. Per far ciò, il presidente indisse nel 2018 un referendum costituzionale in cui poneva ai peruviani quattro quesiti, riguardanti la riforma del Consiglio Nazionale della Magistratura, la regolamentazione del finanziamento delle campagne elettorali (dove confluivano gran parte dei soldi delle tangenti Odebrecht), la proibizione della rielezione immediata dei parlamentari e il ritorno al sistema bicamerale. Più dell’85% dei votanti si pronunciò a favore di queste riforme.
Dopo un’iniziale resistenza della componente “fujimorista” di maggioranza, le quattro riforme vennero approvate tra settembre e ottobre del 2018. In occasione del voto, però, non furono poche le critiche per l’operato di Vizcarra, accusato di aver chiesto al Congreso il voto di fiducia con la minaccia di tornare alle urne se non lo avesse ottenuto. Infatti, secondo la Costituzione peruviana, se in due diverse occasioni un presidente non ottiene la fiducia del Congreso può richiedere lo scioglimento della Camera. Dunque, rappresentando la presidenza di Vizcarra la continuazione di quella di Kuczynski, come parte di uno stesso governo che già aveva sofferto l’esito negativo di una votazione di fiducia, lo scenario prospettato si delineava del tutto attuabile.
La presidenza Vizcarra: il ritorno anticipato alle urne
Questo stratagemma, utilizzato nel 2018, tornò utile a Vizcarra nel 2019. Deluso dallo snaturamento della riforma costituzionale, il presidente aveva proposto un cambiamento sulle modalità di elezione dei membri del Tribunale Costituzionale. Il 27 settembre del 2019, durante un ulteriore discorso alla Nazione, Vizcarra annunciò di voler bloccare l’elezione dei membri del Tribunale Costituzionale e di voler cambiare le modalità elettive degli stessi al fine di garantire maggiore trasparenza. Il tutto attraverso una legge sulla quale avrebbe posto, di nuovo, la fiducia. L’obiettivo, seppur mai palesato, sembrava proprio quello di forzare il Congreso a votare le sue riforme, oppure tornare al voto.
Durante un lungo periodo di ferie a fine luglio del 2019, infatti, in un discorso rivolto alla Nazione, lo stesso presidente sorprese tutto il Paese annunciando che avrebbe richiesto di tornare anticipatamente alle urne nel 2020, ovvero un anno prima rispetto alla fine naturale della legislatura. Questo messaggio improvviso non portò a nessun risultato concreto se non all’allontanamento della sua vice, Mercedes Aráoz Fernández, che si dichiarò non al corrente della decisione presa.
Cosa successe al Congreso il 30 settembre 2019
Il 30 settembre era il giorno previsto per le votazioni. Quello che successe, però, cambiò radicalmente il piano di Vizcarra. I membri del Tribunale Costituzionale vennero eletti in mattinata, nonostante lo stop presidenziale, mentre nel pomeriggio venne posta di nuovo la fiducia al governo. Mentre nel Congreso si dibatteva sulla votazione della legge, Vizcarra decise di inviare un nuovo messaggio alla Nazione. In questa nuova dichiarazione proclamava sostanzialmente lo scioglimento della Camera e il ritorno al voto, dato che l’elezione dei membri del Tribunale era, di per sé, una risposta negativa alla votazione sulla fiducia.
Avendo dato tale annuncio pochi secondi dopo l’approvazione della fiducia, il Congreso sostenne l’incostituzionalità dello scioglimento della Camera e sospese il presidente dal suo incarico, nominando al suo posto la vicepresidente Mercedes Aráoz.
Una lunga crisi politica
Quello che sta succedendo in Perù è consequenziale al lungo periodo di crisi politica che perdura nel Paese da almeno due anni. Una crisi dovuta in parte al fatto che l’Esecutivo detiene solo una minoranza politica nel Congreso. Infatti, mentre il Parlamento è nelle mani del partito di destra “fujimorista” Fuerza Popular, che alle ultime elezioni ha conquistato 73 seggi su 130, il governo è guidato dalle forze liberal-democratiche in minoranza. A questo va aggiunto il terremoto politico causato dalle indagini sul caso “Lava Jato”, che ha decimato i maggiori leader politici.
Per operare, Vizcarra ha sentito e sente tutt’ora la necessità di avere una maggioranza capace di supportare le sue scelte. Contro di lui si scaglia la maggioranza del Parlamento e chi, tra i media, ricorda il passato prossimo del Paese. Le scelte del presidente e la forzatura operata alla macchina legislativa richiamano, secondo alcuni analisti, le operazioni dell’ex presidente Alberto Fujimori, volte ad instaurare un regime dittatoriale nel Paese. Proprio per questo, Vizcarra si è appellato continuamente al popolo per ottenere la legittimazione a operare le sue riforme.
“Non c’è un posto in tutto il Perù in cui non sia risuonato il richiamo: presidente, chiuda il Congresso”, ha dichiarato Vizcarra nel suo discorso di fine luglio. Un sondaggio emerso da Ipsos Perù a ottobre sembra dargli ragione: il 79% dei cittadini approva il suo operato, nonostante trapeli la sussistenza di una maggioranza ormai sfiduciata da qualsiasi politico presente ora in Parlamento.
Cosa succederà ora
Come da Costituzione, lo scioglimento della Camera comporta un periodo di “interregno parlamentare” che, in questo caso, durerà fino alle prossime elezioni, fissate per il 26 gennaio del 2020. Da quel giorno verrà formata una mini-legislatura che concluderà il periodo parlamentare “ufficiale” il 26 luglio 2021. La vice di Vizcarra, Mercedes Aráoz, ha giurato come presidente il 2 ottobre, per poi rinunciare il giorno dopo. È notizia del 3 novembre che il Tribunale Costituzionale del Perù ha dato parere negativo alla richiesta di Pedro Olaechea, titolare della Commissione Permanente dell’organo legislativo nonché presidente del Congresso, di sospendere le elezioni parlamentari convocate dal presidente.
Fonti e approfondimenti
In Perù il presidente ha sciolto il Parlamento, che ha sospeso il presidente, Il Post, 01/10/2019
Michele Bertelli, Corruzione, scandali e voto anticipato: la crisi senza fine del Perù, Inside Over, 28/08/2019
Redazione, Perù: Vizcarra propone elezioni anticipate, Sicurezza Internazionale, 01/08/2019
Gobierno y Congreso: Al borde de un nuevo enredo político por propuesta de adelantar elecciones, Gestion.pe, 25/09/2019
Peru’s ‘interim leader’ Aráoz resigns amid power dispute, BBC, 02/10/2019