Elezioni in Perù: un voto indeciso per un breve mandato

Perù
@PedroSzekely - Flickr - CC BY SA 2.0

È una domenica elettorale in Perù. Quasi 26 milioni di peruviani (contando i residenti all’estero) sono chiamati a eleggere i 130 membri del Congreso, ovvero l’organo unicamerale che rappresenta il potere legislativo del Paese. Nessuno di questi candidati, però, corre per la presidenza. Infatti quello di oggi è un “voto congressuale straordinario”, che servirà solo a eleggere i membri della Camera per il periodo necessario a concludere nel 2021 l’attuale “periodo parlamentare”.

Data la corrente situazione del Paese, le aspettative per questo nuovo Congresso sono alte, anche in risposta alle necessità dell’attuale presidente della Repubblica Martín Vizcarra di compiere un radicale cambiamento nelle istituzioni governative e legislative del Paese. A oggi c’è molta incertezza sui risultati dato che, fino a una settimana fa, quasi la metà dei peruviani aveva dichiarato di non sapere ancora se e per chi votare. Al momento, quindi, l’esito delle elezioni dipenderà dalla maggioranza degli incerti. L’obiettivo di questo articolo è capire come si sia arrivati a queste elezioni, e quali sono gli argomenti più discussi da analisti, esperti e candidati.

Il contesto

Il periodo parlamentare nel quale si trova adesso il Perù è iniziato nel 2016 con le ultime elezioni generali. Queste vennero vinte di misura da Pedro Pablo Kuczynski, di Peruanos Por el Kambio (PPK, di stampo conservatore), ma il suo governo non durò che due anni. Il presidente, infatti, decise di dimettersi dopo essere rimasto travolto da uno scandalo di compravendita di voti. Lo stesso presidente, oltretutto, era stato vittima del maxi-scandalo di tangenti Odebrecht, scoppiato proprio nel 2016. A essere travolta dallo scandalo fu anche Keiko Fujimori, leader del partito d’opposizione. Sia lei che Kuczynski furono condannati a tre anni di custodia cautelare.

Kuczynski, quindi, si dimise e il ruolo presidenziale venne affidato al suo vice, Martín Vizcarra, che si trovò un governo indebolito dalla corruzione e un Congresso saldamente in mano alla maggioranza di Fuerza Popular. Alle elezioni del 2016, infatti, il partito capitanato da Fujimori aveva conquistato 73 seggi dei 130 del Congresso. Convinto di voler apportare dei cambi nelle strutture giuridiche e legislative del Paese, Vizcarra propose in breve tempo delle riforme sostanziali, confluite nel referendum costituzionale confermativo del 2018, contro cui si oppose la maggioranza fujimorista.

Governo da una parte e Parlamento dall’altra: in poco più di un anno i due poteri funzionali al reggimento dello Stato smisero di collaborare e nel corso del 2019 aprirono una grossa spaccatura. Vizcarra, quindi, grazie a un escamotage riuscì ad avere i requisiti necessari per chiedere lo scioglimento della Camera e il ritorno anticipato alle elezioni. Forte del consenso popolare, Vizcarra sperava, con questa mossa, di riuscire a cambiare la maggioranza del Congresso per poter continuare il suo progetto di riforme.

Le elezioni

Il sistema elettorale del Perù prevede la spartizione di 130 seggi nei 26 dipartimenti del Paese (se si considera anche la città metropolitana di Lima e la Provincia Constitucional del Callao). Il numero di seggi è in rapporto alla popolazione, tant’è che solo a Lima vengono votati 36 dei 130 parlamentari. In totale sono presenti ben 19 partiti su 24 che hanno l’iscrizione legale: un numero molto elevato che garantisce pluralismo, ma anche tanta confusione.

A votare sono chiamati quasi 25 milioni di residenti e quasi un milione di espatriati. La richiesta è comunque un obbligo, dato che se non ci si presenta alle urne si viene multati con una somma che si differenzia a seconda della zona del Perù in cui si risiede. In questo modo il Paese si è garantito livelli di astensione bassissimi, ma ha aumentato il numero di schede bianche e nulle

La campagna elettorale

La campagna elettorale, invece, è stata apparentemente ben gestita dall’ONPE (Oficina Nacional de Procesos Electorales). L’ente governativo è incaricato di controllare e monitorare le campagne elettorali e di concordare con ciascun partito lo spazio pubblicitario sui mezzi di informazione. Lo stesso controllo, però, non è stato possibile sul web, dove la campagna politica non è stata regolamentata. 

Allo stesso tempo, il Tribunale Elettorale (JNE, Jurado Nacional de Elecciones) si è occupato di organizzare tre dibattiti pubblici tra i rappresentanti di spicco dei sette partiti più presenti nella scena politica. Anche altre agenzie d’informazione privata, come la testata El Comercio, hanno organizzato le proprie arene per i dibattiti più ristretti, da cui sono uscite caratterizzazioni dei vari candidati, accuse di vario genere e programmi elettorali personalizzati rivolti a un elettorato ristretto e selezionato. 

Per molti versi, la campagna elettorale è stata alquanto confusionaria. Pochi sono stati i candidati che si sono soffermati sull’effettiva rilevanza delle elezioni e sulla necessità reali del Paese. I candidati, quindi, hanno formulato la campagna elettorale in maniera opposta a come ci si aspetterebbe da quello che probabilmente si rivelerà essere un “Parlamento tecnico”. Vizcarra, infatti, non sembra avere intenzione di bloccare il suo progetto di riforme, necessarie per fortificare le istituzioni dal recente scandalo da cui sono rimaste travolte.

A questa situazione già abbastanza confusa si aggiunge l’abile trasformismo, con cui ben 19 candidati hanno cambiato fazione politica dalle elezioni del 2016 a oggi. Considerato che sono stati abilitati a potersi ricandidare grazie a una concessione del Tribunale Elettorale, che ha spiegato questo avvallamento di una delle riforme di Vizcarra basandosi sul principio di “eccezionalità” delle elezioni stesse.

I sondaggi

Da questo contesto si è formato un elettorato confuso, incapace di indirizzare il proprio voto. A nove giorni dalle elezioni, in un sondaggio indetto da Pulso Perù, solo il 16% degli intervistati si dichiarava veramente interessato alle elezioni e solo un 22% era convinto su chi sarebbe andato a votare.

Ipsos Perù, invece, ha rivelato una percentuale altissima di elettori che lascerà la scheda bianca o annullerà il voto, pari a circa il 43%. Dei voti validi, invece, il 14,8% andrebbero ad Acción Popular (AP), l’11% a Fuerza Popular (FP) e il 10,9% al Partido Morado. Oltre a questi tre, rivelati da quasi tutti i sondaggi come i probabili detentori del podio (con poche differenze di percentuali), altri due partiti potrebbero riuscire a superare la soglia di sbarramento del 5% di voti validi: Alianza para el progreso (APP) con il 9,9% e Somos Perú con il 7,6%. Subito sotto la soglia di sbarramento, invece, si troverebbero almeno altri 5 partiti, tra cui il Partido Aprista Peruano e il Frente Amplio. 

I partiti

Il probabile “vincitore” di queste elezioni è, quindi, Acción Popular, uno tra i partiti più longevi del Perù. Si tratta di un partito con una forte tradizione democratica, di stampo nazionalista e progressista. Al secondo posto (o terzo, a seconda dei sondaggi) ci sarebbe il partito fujimorista Fuerza Popular: un partito fondato nel 2010 da Keiko Fujimori, di stampo conservatore e nazionalista. Si colloca alla destra del Parlamento, anche se molte delle sue azioni dipendono dalla forza della personalità di Fujimori. La leader è figlia di Alberto Fujimori, ex presidente del Perù ora in carcere con una condanna a 25 anni per lesa umanità, peculato e corruzione. 

Il terzo partito per numero di voti sarebbe il Partido Morado. Questo si inscrive nella cosiddetta “terza via” dei moderati e ha da subito difeso e appoggiato le riforme di Vizcarra. Alle elezioni però ha fatto grosso scandalo l’accusa di violenze domestiche del candidato di punta, Daniel Mora, che è stato costretto a ritirarsi dalla corsa. Come risposta l’ex candidato ha accusato pubblicamente  altri colleghi del suo partito, affermando che almeno 6 persone si trovano nella sua stessa condizione.

Considerazioni finali

Con molta probabilità dal voto di oggi si delineerà un Parlamento frammentato. A meno che non ci siano grosse sorprese, nessun partito avrà la maggioranza. Il governo Vizcarra, per continuare il suo progetto riformatore, dovrà consolidare il supporto di Acción Popular e del Partido Morado. In un anno si dovranno portare a termine le riforme necessarie per dare al Paese una struttura solida e capace di uscire da una lunga crisi politica e istituzionale.

Si dovrà cambiare la legge elettorale e il sistema di votazione dei membri del Tribunale Costituzionale. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, a cui il popolo ha già espresso il proprio interesse. Ora la responsabilità di cambiare rotta spetta alla classe politica, prima che siano i peruviani stessi a infrangere un rapporto di fiducia già traballante. Il rischio che questo rapporto si spezzi è alto, e le conseguenze, come si è già visto nel resto del continente, potrebbero essere rovinose.

Fonti e approfondimenti

 

 

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