L’elezione del 1° luglio 2018 di Andrés Manuel López Obrador, spesso abbreviato AMLO, sembrava anticipare un grande cambiamento. Per la prima volta nella loro storia, gli Stati Uniti Messicani avrebbero avuto un presidente dichiaratamente di sinistra, la cui agenda politica tendeva ad allinearsi a quella di altre figure di spicco del progresismo latinoamericano. La lunga e articolata esperienza politica di Obrador ha contribuito a creare fiducia nella sua candidatura e nelle grandi promesse della campagna elettorale. La sua rivoluzione, autodefinita come cuarta transformación, avrebbe dovuto essere radicale. Il nome stesso la equipara ad altri grandi eventi della storia del Paese come l’indipendenza messicana, la guerra di riforma e la rivoluzione del 1910.
Archiviati i primi due anni di mandato, si possono passare in rassegna quattro ambiti per capire fino a che punto la grande trasformazione sia davvero iniziata: politiche sociali, lotta alla corruzione, immigrazione ed economia. Filo conduttore di tutte le promesse elettorali di AMLO è il netto taglio con il passato.
Le politiche sociali di AMLO
Un primo elemento chiave del discorso politico di Obrador è la lotta alla povertà e alla disuguaglianza. La vocazione redistributiva di AMLO, sebbene molto lontana in quanto a intensità dalle politiche dei leader del progresismo classico, si è manifestata attraverso alcune misure significative. Il più grande risultato ottenuto in questo campo riguarda l’aumento del salario minimo garantito a livello nazionale: AMLO è riuscito ad aumentarlo del 36% in due anni, passando da 88,8 a 123 pesos al giorno. Il presidente ha recentemente promesso un ulteriore aumento del 15% per il 2021.
Ulteriori misure messe in atto dall’attuale amministrazione comprendono l’inserimento di alcuni programmi sociali (pensioni, fondi per categorie protette e borse di studio all’educazione) nella Costituzione, oltre che una ristrutturazione del sistema sanitario gratuito.
Tuttavia, le posizioni del presidente messicano presentano alcune contraddizioni. Se da un lato la battaglia alla povertà ha portato a risultati concreti come l’aumento del salario minimo, dall’altro l’inclinazione all’austerità sembra contraddirne lo scopo stesso. Infatti, con il fine di redistribuire le risorse verso i più poveri evitando un aumento della spesa pubblica, AMLO ha tagliato fondi importanti per lo sviluppo dello Stato sociale, tra cui ospedali e istituti di ricerca. In Messico i tassi di riscossione delle entrate fiscali sono inferiori rispetto ad altri Paesi della regione. Di conseguenza, le classi più ricche vengono spesso privilegiate e l’obiettivo di redistribuire la ricchezza e sostenere la spesa pubblica diventa difficile da raggiungere.
Il peso della corruzione
La corruzione è storicamente uno dei problemi più grandi del Messico. Il report annuale del 2019 di Freedom House sul Messico evidenzia come questo fenomeno sia uno dei punti più deboli del Paese. Il voto attribuito alle salvaguardie contro la corruzione assume il minimo valore possibile di 1 su 4 ed evidenzia l’inefficacia degli attuali schemi e organismi imputati a garantire trasparenza e legalità nelle istituzioni. Questo male, tanto invisibile quanto influente nello svolgimento della politica messicana, spesso emerge sotto forma di grandi scandali politici o legati alla criminalità. In cima alla lista possiamo trovare il caso PEMEX e le investigazioni sui fatti di Ayotzinapa (dell’amministrazione precedente).
In questo ambito, l’attuale governo sembra aver raggiunto qualche risultato concreto. Stando all’ONG Transparency International, si evidenzia un leggero miglioramento nella percezione della corruzione nel 2019 e un 17% in meno della popolazione riporta di aver pagato tangenti all’amministrazione pubblica. AMLO ha più volte pubblicamente dichiarato che la corruzione non sarebbe più stata tollerata durante il suo mandato. Così sembra, tenendo conto anche delle pesanti accuse rivolte all’ex presidente Peña Nieto e a Emilio Lozoya, della compagnia PEMEX, da parte di Obrador stesso.
I passi avanti non sembrano però essere sostanziali. L’Istituto Nazionale di Statistica e Geografia messicano riporta infatti un aumento sui casi di corruzione ogni 100mila abitanti durante il primo anno di AMLO, passando da 14,635 a 15,732. Ciò testimonia come, sebbene il linguaggio politico sia radicalmente cambiato e alcuni risultati siano stati raggiunti, la strada da percorrere sia ancora molto lunga.
Tra dazi e immigrazione
All’inizio della sua amministrazione, Obrador aveva promesso un deciso cambio di rotta nell’ambito dell’immigrazione. Durante i primi mesi, AMLO sembrava davvero deciso a tenere fede alle sue promesse riguardanti i flussi migratori dell’America Centrale, con l’autorizzazione di diverse iniziative di cooperazione strategica a favore dei migranti. Tra queste misure, il presidente messicano ha annunciato un “Piano Marshall” per il Centro America, che prevede investimenti da 30 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Ulteriori progetti sono stati concordati con il presidente di El Salvador, tra cui la piantagione di alberi per 30 milioni di dollari nell’area di Tapachula, al confine tra Messico e Guatemala. L’iniziativa potrebbe creare fino a 20mila posti di lavoro e stimolare lo sviluppo della regione, così da disincentivare l’emigrazione.
Dopo la decisa presa di posizione di Trump, però, i toni del presidente messicano hanno subito un’inversione di rotta. La minaccia di dazi fino al 25% sulle esportazioni messicane ha portato allo schieramento della Guardia Nazionale, creata da AMLO stesso per questioni di sicurezza nazionale e lotta al narcotraffico. Episodi di violenza verso i migranti non hanno tardato a manifestarsi, anche in vista della mancanza di protocolli stabiliti e addestramento nella gestione di crisi umanitarie. Le promesse del presidente e la sua decisa campagna elettorale rivolta verso le classi meno abbienti, migranti compresi, hanno quindi lasciato spazio alla protezione di interessi economici derivati da veri e propri ultimatum di Trump. A discapito, ancora una volta, della protezione dei diritti umani.
L’economia del Messico: una potenza in crisi
Nella sfera economica, uno dei principali sviluppi dell’attuale amministrazione è rappresentato dalla definitiva ratifica del trattato commerciale USMCA. In quest’ultimo si evidenzia come, ancora una volta, la volontà dell’ormai ex-presidente degli Stati Uniti sembra essersi imposta, così come la mancanza di azioni concrete contro il narcotraffico.
Per quanto riguarda il suo stato generale, l’economia messicana versa in grande crisi. La vocazione redistributiva accompagnata da austerità, il rilancio del settore energetico attraverso PEMEX piuttosto che con energie rinnovabili e il supporto al neoliberalismo in politica estera non sembrano rappresentare una ricetta efficace. Le correnti opposte che alimentano l’intricato progetto economico di Obrador hanno portato per la prima volta nell’ultima decade a una recessione dello 0,1%, secondo Bloomberg. Sebbene la pandemia stia gravando fortemente sullo stato dell’economia messicana, i problemi si erano già previamente manifestati.
Grafico del INEGI messicano, che evidenzia la recessione economica iniziata
prima della pandemia.
Che cos’è il neoprogresismo?
Secondo alcuni analisti, il progetto iniziale di Andrés Obrador è definibile come una nuova forma di progresismo. Seppur diverso da quello classico di Chávez, Morales e Lula, specialmente in quanto a intensità di alcune politiche legate alla redistribuzione, il neoprogresismo vi attinge per alcune tematiche. Le grandi promesse di AMLO alla base della cuarta transformación ne incarnano i principi: la fine della corruzione, l’alternativa al neoliberalismo, la tassazione in aumento sui ricchi e la protezione dei più poveri.
La svolta portata dal presidente pare aver parzialmente condotto ai risultati sperati. Riguardo ad altri casi, invece, i rimedi proposti da Obrador sembrano condurre il paese verso la recessione economica e il tradimento delle promesse. Tuttavia, con l’avvicinarsi della metà del mandato presidenziale messicano di sei anni, la fiducia nel presidente rimane attorno al 60%, nonostante la pandemia e il calo legato al fallimento nel compiere alcuni impegni. Un buon presagio in vista delle elezioni legislative 2021, che rappresenteranno un vero e proprio banco di prova per Obrador.
Il grafico sul tasso di approvazione % di AMLO dell’American Society, Council of the Americas.
Fonti e approfondimenti
Francesco Betrò, “Il personaggio dell’anno America Latina: Andrés Manuel López Obrador”, Lo Spiegone, 23/12/2018
Francesca Rongaroli, “La crisi migratoria in America centrale: banco di prova per AMLO”, Lo Spiegone, 05/07/2019.
Giacomo Zito, “Il caso Lava Jato in America latina”, Lo Spiegone, 03/09/2019.
Andrea Colombo, “Sei anni dopo, rimane aperta la ferita dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa”, Lo Spiegone, 18/12/2020.
Laura Santilli, “L’accordo USMCA: una nuova possibilità per il Messico?”, Lo Spiegone, 24/02/2020.
Nueva Sociedad, “¿Dónde quedó el progresismo?”.
Freedom House, country report on Mexico.
IMF country focus, “Mexico’s outlook in 5 charts”.
Transparency International’s report on corruption
ISPI, “Where Is Mexico Heading to After Two Years of AMLO?”, 13/07/2020.
Nueva Sociedad, “El primer año de AMLO”, 05/2020.
Infobae, “Con qué presidente aumentó más el salario mínimo en México: ¿Salinas, Zedillo, AMLO, Calderón o Fox?”, 17/12/2020.
Annette Lin, “ AMLO’s Crumbling Promise to Migrants”, NACLA, 24/07/2010.
Editing a cura di Giulia Lamponi.