I Guacamaya leaks e il crescente potere dei militari in Messico

@Eneas De Troya - Flickr

Lo scorso settembre un gruppo di hacker-attivisti denominato Guacamaya ha pubblicato una serie di documenti segreti riguardanti le comunicazioni di membri degli eserciti di Perù, Cile, El Salvador e Messico.

Quello che sta uscendo in questi mesi racconta di un potere immischiato in presunti casi di spionaggio (senza alcun tipo di mandato), corruzione, coercizione e violenza. In Messico, il cyber attacco ha riguardato la Secretaría de Defensa Nacional de México (Sedena), ovvero il Ministero della Difesa.

Sei terabyte di informazioni e conversazioni sono state rese pubbliche rivelando come membri dell’esercito avrebbero spiato numerose organizzazioni e difensori dei diritti umani, politici e giornalisti, sarebbero stati invischiati in casi di cronaca nera nonché in possibili casi di corruzione. Dalla loro diffusione, i Guacamaya leaks (o Sedena leaks) hanno rimesso al centro del dibattito pubblico il reale potere dell’esercito in un Paese sempre più militarizzato.

La storia dei Guacamaya leaks

La notizia del più grande hackeraggio – tra quelli conosciuti – della storia del Messico è iniziata a girare alla fine di settembre, quando diverse testate hanno reso noto che uno dei gruppi di hacker più attivi dell’America latina aveva attaccato i server della Sedena, le cui difese erano già state criticate ampiamente da numerosi esperti del settore

Da questo attacco gli hacker hanno potuto scaricare sei terabyte di documenti e conversazioni tra membri dell’esercito datati tra il 2015 e il 2022.

Le prime notizie rilevanti hanno riguardato in particolare le condizioni fisiche del presidente Andrés Manuel López Obrador, costretto, secondo quanto si apprende dai leak, a sottoporsi a inizio anno a diverse operazioni mediche delicate e mai rese note alla stampa. Lo stesso ha poi confermato quanto scritto sulla sua salute e l’avvenuta veridicità del furto, affermando che gli hacker hanno approfittato di un momento di debolezza della sicurezza dei server.

Ma non è passato molto tempo prima che a finire nell’occhio del ciclone fossero delle rivelazioni sulle attività lecite o meno portate avanti da diversi membri dell’esercito. Si parla, in particolare, di diversi report su organizzazioni femministe nel Paese, considerate come delle realtà sovversive, o sulle realtà associative in Chiapas, prime fra tutte quelle legate all’EZLN e all’ex candidata al Parlamento e leader indigena Maria de Jesus Patricio Martinez, conosciuta come “Marichuy”. 

Nei documenti si parla anche di indagini su diversi funzionari pubblici (da rappresentanti locali a parlamentari), che si presume siano legati a cartelli di narcotrafficanti, così come di possibili casi di corruzione interni all’esercito stesso.

Dalle email pubblicate emerge anche come ci sia un ambiente ostile all’interno dell’Arma per tutte le vittime di violenza intente a rendere note le proprie storie. Decine di casi di abuso, come rivelato tra gli altri da El País, sarebbero stati quindi nascosti dalla Secretaría e le vittime sarebbero state ignorate o costrette a un cambio di residenza.

In alcuni casi eclatanti, come per lo scandalo di Ayotzinapa (la scomparsa di 43 studenti avvenuta 8 anni fa di cui avevamo parlato qui), membri di alto grado sarebbero intervenuti per trattare di discolpare l’esercito dalle accuse. Secondo quanto pubblicato da diverse piattaforme che hanno ottenuto l’accesso ai documenti dei Sedena Leaks, lo stesso Luis Crescencio Sandoval, titolare della Segreteria, sarebbe intervenuto per chiedere al presidente la scarcerazione di uno dei militari coinvolti nel caso.

Il gruppo di hacker Guacamaya

A fornire queste informazioni al pubblico messicano un attacco cibernetico di un gruppo di hacker e attivisti denominato Guacamaya, nome che deriva da un colorito pappagallo che vive nelle foreste pluviali del continente. 

Si tratta di un gruppo di hacker che in pochi mesi è stato capace di mettere a nudo i segreti degli eserciti di Cile, Perù ed El Salvador. 

Nel suo manifesto, disponibile online, il collettivo Guacamaya racconta di essere formato da diversi attivisti che lottano contro tutti quei poteri che hanno soggiogato Abya Yala (il nome in lingua Kuna con cui veniva chiamata l’America Latina da alcune popolazioni indigene di Panama e Colombia). 

Tra questi, il gruppo fa particolare riferimento alle potenze colonizzatrici europee e chi depreda le risorse naturali del territorio, come le aziende minerarie e “i governi funzionali agli interessi del capitalismo basato sull’estrattivismo”, si legge sul loro manifesto. Tutto ciò che intorno a ciò le difende, come ad esempio l’esercito, viene considerato come “garanzia del dominio dell’imperialismo nordamericano” contro cui Guacamaya combatte.

L’obiettivo dichiarato del gruppo è quindi quello di fornire ai popoli dell’Abya Yala gli strumenti attraverso cui scoperchiare la realtà dei fatti affinché “quelli che non hanno visto, vedano”. La conclusione del manifesto è un chiaro invito a seguire l’esempio: “Hackerate e filtrate questo sistema di repressione, dominio e schiavitù che ci domina, e che siano i popoli a decidere come trovare la maniera di liberarci dal terrorismo degli Stati”.

Il potere dell’esercito

Alla pubblicazione del leak, diversi gruppi di giornalisti e attivisti si sono mossi per compiere ricerche più dettagliate. Connectas, insieme a R3D (Red de Defensa de Derechos Digitales), Animal Político, Proceso e Aristegui Noticias hanno ad esempio approfondito i metodi di spionaggio usati dall’esercito sui giornalisti

Sarebbe emerso che lo stesso avrebbe usufruito del software di spionaggio israeliano Pegasus, conosciuto tanto in Italia, grazie a numerose inchieste a esso legate, come in America latina, a causa del suo ampio utilizzo da parte del presidente di El Salvador, Nayib Bukele per controllare i giornalisti a lui avversi. Un esempio è rappresentato dai dipendenti di El Faro, una delle testate giornalistiche più attive in Centro America che ha recentemente denunciato i proprietari del software in una corte federale statunitense.

In Messico, la questione riguarda il fatto che l’esercito avrebbe spiato senza un mandato almeno tre giornalisti. Una procedura che ha riacceso il campanello d’allarme su una problematica di cui da diverso tempo si pone l’accento in Messico, ovvero il potere che l’esercito ha accumulato durante gli anni di governo del presidente AMLO, rivelatosi capace di agire senza controllo esterno sulla vita dei messicani. 

Lo racconta bene Luis Fernando Garcia, direttore esecutivo di R3D, secondo cui i Guacamaya leaks validano “qualcosa che era stato previsto: in Messico comanda l’esercito. Tanto che può anche spiare i cittadini senza mandato o disobbedire al Presidente della Repubblica senza ripercussioni”, si legge sul long read pubblicato su Connectas. Ma la visione di Fernando Garcia non è l’unica a porre l’accento sulla questione del crescente potere dell’esercito messicano.

Il processo di militarizzazione del Messico

Quando venne eletto presidente nel 2018, López Obrador aveva promesso di combattere la corruzione e il potere dei narcotrafficanti del Paese. Tuttavia, rispetto ai suoi predecessori aveva dichiarato al tempo stesso di voler ridurre il livello di militarizzazione del Paese, togliendo i militari dalle strade. 

Dall’inizio della guerra alla droga nel 2006 promossa dal suo predecessore Felipe Calderón, il Messico aveva infatti conosciuto una forte crescita della presenza e del potere dei militari. La giustificazione era quella di combattere attraverso l’uso della forza le organizzazioni criminali presenti nel territorio. 

Diversi episodi che si erano ripetuti nel tempo, come il sopraccitato caso di Ayotzinapa o le violente e continue risposte dei cartelli, avevano di fatto messo in dubbio questa operazione a causa della continua escalation di violenza che ha provocato la militarizzazione della sicurezza pubblica.

L’attuale mandatario si propose quindi con un metodo alternativo e meno violento che andasse a combattere le cause sociali della criminalità e togliesse gradualmente i militari dalle strade. “Abrazos, no balazos” (abbracci, non proiettili) era il motto con cui López Obrador si proponeva in campagna elettorale solo quattro anni fa.

Eppure, rispetto al forte impulso alla militarizzazione promosso già da Calderón nel 2006, dopo quattro anni si può dire che AMLO non ha preso una direzione molto diversa

Le mosse di López Obrador e i rischi per la democrazia

Durante il suo mandato, il presidente messicano ha inizialmente rifiutato l’utilizzo del preesistente corpo di sicurezza civile (la polizia federale) per crearne uno nuovo (la Guardia Nazionale) che avesse al suo interno diversi membri dell’esercito e un addestramento di tipo militare.

Quindi nel 2019 ha terminato formalmente l’esistenza della polizia federale, passando tutti gli incarichi alla neonata Guardia Nazionale che, nel mentre, è stata trasferita nelle mani del Ministero della Difesa (la Sedena), “affinché le si dia stabilità nel tempo e non si corrompa”, aveva giustificato AMLO. 

Il passaggio di un corpo di sicurezza civile nelle mani dell’esercito ha però innescato numerose reazioni internazionali, tra cui quella dell’ONU, preoccupato che la militarizzazione di funzioni civili basiche, come la sicurezza pubblica, può indebolire la democrazia di qualsiasi Paese.

Se si considera che dai leak è poi emerso che la scelta sarebbe stata coordinata da membri dell’esercito stesso per mettere sotto il proprio controllo le attività della Guardia Nazionale, il quadro generale sembra ancor di più dar contro a quelle che erano le promesse elettorali del presidente.

Piuttosto appare come le scelte dell’attuale mandatario, frutto della costruzione di un potere di stampo fortemente risolutivo e personalistico, hanno lasciato poco spazio alla crescita di un ambiente sano per la strutturazione di una democrazia più viva di quella che il Messico ha avuto negli ultimi anni.  

Questo ha provocato l’insorgere in diverse organizzazioni civili del Paese il timore che la personalizzazione della politica unita a un forte impulso alla militarizzazione del Messico possa mettere ad alto rischio la tenuta democratica del Paese stesso. Non una democrazia che “sta morendo“, come titola in maniera provocatoria Foreign Affairs, ma che sicuramente nella sua società civile, più che nella sua classe politica, avrebbe tutte le condizioni necessarie per crescere in maniera più sana.

 

Fonti e approfondimenti

Cristian Ascencio, Guacamaya Leaks: Amidst Intelligence and State Abuse, Connectas

Inter-American Dialogue, Washington Office on Latin America (WOLA), Militarization in Mexico: A discussion of the Future of Security, HR, and Civil-Military Relations

Denise Dresser, Mexico’s Dying Democracy, Foreign Affairs, novembre/dicembre 2022

Neldy San Martín, Sedena Leaks: El Ejército, autor de la reforma para controlar a la Guardia Nacional, Proceso, 05/10/2022

Jacobo García, Elías Camhaji, Una masiva filtración expone el poder del ejército mexicano en la vida pública, El País, 01/10/2022

Julia Gavarrete, 15 Members of El Faro Sue NSO in US Federal Court for Pegasus Hacks, elfaro, 30/11/2022

 

Editing a cura di Elena Noventa

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