di Laura Santilli
Lo scorso 16 gennaio, il Senato degli Stati Uniti ha votato all’unanimità l’adozione dell’accordo commerciale con il Messico e il Canada, anche conosciuto come USMCA. Il 29 gennaio, il presidente Donald Trump lo ha firmato per la ratifica che lo convertirà in legge. Cosa prevede l’accordo e quali sono le differenze rispetto al precedente North American Free Trade Agreement (NAFTA)? Quali conseguenze avrà l’USMCA sulla politica interna messicana, in modo particolare sulle sue politiche migratorie, di lotta alla corruzione e ai cartelli della droga?
Il precedente accordo NAFTA
Il Messico è uno dei più importanti partner commerciali degli Stati Uniti e, reciprocamente, gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale del Messico. Questo Paese è il terzo per esportazioni verso gli Stati Uniti, dopo la Cina e il Canada e gli Stati Uniti sono, a loro volta, il Paese con il più alto numero di investimenti diretti verso il Messico. I due sono dunque reciprocamente necessari.
Questa interdipendenza economica si è sviluppata e rafforzata con l’accordo commerciale NAFTA, entrato in vigore nel gennaio 1994 proprio per regolamentare il rapporto commerciale tra Stati Uniti, Messico e Canada e creare così una delle più grandi aree di libero scambio del mondo. La relazione economica rafforzata dal NAFTA si è dimostrata importante, inoltre, per lo sviluppo di una costante cooperazione tra Messico e Stati Uniti in materia di controlli sulla sicurezza del confine tra i due Paesi. Lo sviluppo delle nuove tecniche sulla produzione delle manifatture previste dall’accordo richiedeva, infatti, un controllo delle frontiere molto efficiente, per garantire sicurezza agli imprenditori che lavoravano sotto il NAFTA. L’allora presidente messicano Ernesto Zedillo richiese inoltre, una cooperazione rafforzata con gli Stati Uniti anche in materia di lotta al traffico della droga e al crimine organizzato.
Proprio in questo senso venne firmato nel 2005, quindi alcuni anni più tardi, il Security and Prosperity Partnership o NAFTA plus, un accordo non vincolante, che prevedeva delle regole più rigide sul controllo alle dogane per ridurre gli spazi di passaggio della droga e del traffico di esseri umani. Dal 2008, la cooperazione tra Stati Uniti e Messico per la lotta contro questi fenomeni, è stata portata avanti attraverso una nuova partnership, la Merida Initiative, siglata tra Felipe Calderón e George W. Bush, che per la prima volta, riconosceva una responsabilità anche statunitense nei confronti di questo problema. Sotto la presidenza di Barack Obama e del presidente messicano Enrique Peña Nieto la cooperazione è continuata anche in materia di sicurezza.
Perché un nuovo accordo allora?
Già durante la sua prima campagna elettorale nel 2016, il presidente Trump definì il NAFTA come il peggiore trattato nella storia degli Stati Uniti. Secondo egli, infatti, questo accordo era l’antitesi del suo slogan “America first”, tormentone della campagna presidenziale del 2016 che riflette, oltre a un forte isolazionismo e unilateralismo in politica estera, anche un marcato protezionismo in economia.
Secondo il presidente Trump, l’accordo NAFTA era stato concepito dando un vantaggio economico sproporzionato all’economia messicana. Per questo, il nuovo accordo siglato anche con il Canada, l’USMCA, modifica alcune importanti regole che vanno a incidere con forza, invece, sull’economia messicana. Una delle prime novità riguarda il settore automobilistico: il nuovo trattato obbliga i contraenti a produrre il 75% delle componenti di un’auto negli Stati Uniti, mentre con il NAFTA la percentuale era fissata al 63% e la maggior parte delle componenti era prodotta proprio in Messico.
Il punto più controverso che l’USMCA prevede è, tuttavia, in materia di politiche sindacali. Questo nuovo accordo, infatti, permetterà agli ispettori del lavoro statunitensi di investigare sulle violazioni dei diritti dei lavoratori messicani, i quali non sono mai stati tutelati da sindacati e politiche sociali, se non nel caso di aziende statunitensi dislocate in Messico. Anche per questo il prezzo dei beni prodotti in Messico è sempre stato più basso rispetto a quello degli Stati Uniti. Il boom delle esportazioni messicane è stato realizzato, infatti, con un insieme di diverse componenti: salari bassi, condizioni lavorative deplorevoli, sindacati assenti o del tutto filo governativi e un totale disinteresse per la tutela dell’ambiente.
Le norme contenute nel nuovo accordo prevedono, inoltre, che il governo statunitense invii in Messico otto addetti commerciali, cinque per le politiche sul lavoro e tre per quelle ambientali, come osservatori per fare in modo che il Messico rispetti i vincoli dell’accordo. Una rivoluzione per il mercato del lavoro , una vera e propria sfida e opportunità. Il Paese riuscirà ad affrontarla? E soprattutto, perché ha scelto di accettarla?
Il Messico non aveva molte altre scelte, in realtà. Durante i primi mesi di lavoro per la revisione del trattato NAFTA, il 31 maggio 2019, il presidente Trump affermò che avrebbe imposto una tariffa del 5% sulle importazioni messicane, che sarebbero anche aumentate se il Messico non avesse preso provvedimenti per fermare l’arrivo di migranti messicani negli Stati Uniti. Secondo alcuni esperti, questo è stato uno dei giochi-forza su cui il presidente Trump ha impostato il nuovo accordo economico con il Paese. L’altro sarebbe stato di cancellare direttamente ogni accordo commerciale con il Messico, come Trump aveva minacciato di fare nel 2017. Un’ipotesi, questa, che il Messico non può permettersi, soprattutto in questo periodo in cui l’economia del Paese sta attraversando una fase critica. Il Messico è infatti uno dei Paesi con maggiori diseguaglianze in America Latina e quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, una condizione che non fa che ingrandire le fila dei cartelli dei narcotrafficanti.
L’USMCA e gli interessi degli Stati Uniti
Se l’accordo NAFTA ha contribuito a creare una forte cooperazione in campo economico, ma anche in materia di sicurezza e difesa sul confine dei due Paesi, non si può affermare lo stesso per il nuovo accordo USMCA. Questo vede un ribaltamento nella postura degli Stati Uniti che non si pongono come parte eguale dell’accordo, ma come parte predominante. È un esempio in questo senso la volontà del presidente Trump di far controllare l’operato dei sindacati messicani direttamente da ispettori del lavoro statunitensi, o di vincolare il Messico al rispetto delle leggi ambientali tramite il controllo di ispettori del governo statunitense, quando gli stessi Stati Uniti hanno formalizzato lo scorso novembre l’uscita dall’accordo di Parigi sul clima.
La stessa fermezza sarebbe stata utile anche nel cercare di combattere il potere dei cartelli della droga in Messico. Al di là delle parole accusatorie come quelle utilizzate da Trump nel definire i cartelli messicani “organizzazioni terroristiche”, l’accordo USMCA non prevede nessuno strumento per la lotta al fenomeno. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha domandato al presidente Trump di intervenire su questo e di avviare una seria collaborazione. È tuttavia molto difficile che questo si realizzi: i narcotrafficanti non diminuiranno i loro traffici fino a quando gli Stati Uniti non ridurranno la loro richiesta di acquisto della droga. Essi sono infatti il primo mercato mondiale per consumo di stupefacenti.
Il potere di acquisto dei cartelli messicani è oggi pari a quello del mercato delle armi. Il flusso di vendita delle armi dagli Stati Uniti al Messico non fa che aumentare: più di 2,5 milioni di armi da fuoco hanno attraversato la frontiera nord-americana verso il Messico negli ultimi dieci anni. Su questo, il governo statunitense non si mostra così tanto determinato quanto per la lotta all’immigrazione messicana. Queste armi passano ogni giorno attraverso la frontiera, da nord a sud però. Forse è questa la differenza, e per rendere il commercio vantaggioso non c’è bisogno che alcun accordo commerciale venga modificato.
Fonti e approfondimenti
-Jorge G. Castañeda, “¿Mejorarà Mexico con el T-MEC?”, Project Syndicate, 20 dicembre 2019. Disponibile su: https://www.project-syndicate.org/commentary/usmca-change-mexico-labor-environment-practices-by-jorge-g-castaneda-2019-12/spanish
-Jorge G. Castañeda, “El T-Mec: oportunidades y riesgos para México”, The New York Times, 20 gennaio 2020. Disponibile su: https://www.nytimes.com/es/2020/01/29/espanol/opinion/acuerdo-mexico-estados-unidos.html
-Luis Esteban G. Manrique, “El narco, poder paralelo en México”, Estudios de Politica Exterior, 12 dicembre 2019. Disponibile su: www.politicaexterior.com/latinoamerica-analisis/narco-poder-paralelo-mexico/
-María José Reyes Retana Fernández, “NAFTA’s impact on US-Mexican border security: drug, trade and migration”, Note d’analyse n. 9, Observatoire Politique de l’Amérique latine et des Caraïbes, Sciences Po Paris, dicembre 2017.
– Chistophe Ventura, “Méxique: quel bilan après un an de gouvernement d’Andrés Manuel López Obrador?”, intervista su IRIS-France, 23 gennaio 2020. Disponibile su: https://www.iris-france.org/143820-mexique-quel-bilan-apres-un-an-de-gouvernement-dandres-manuel-lopez-obrador%e2%80%89/
-M. Angeles Villareal, “U.S.-Mexico Economy Relations: trends, issues and implications”, Congressional Research Service, 26 marzo 2019. Disponibile su: https://fas.org/sgp/crs/row/RL32934.pdf
Chistophe Ventura, “Méxique: quel bilan après un an de gouvernement d’Andrés Manuel López Obrador?”, intervista su IRIS-France, 23 gennaio 2020.