Siamo arrivati alla terza e ultima puntata del nostro breve viaggio attraverso le minoranze religiose considerate ufficiali in Russia. La legge del 1997 sulla libertà di coscienza e sull’associazionismo religioso, infatti, affianca al cristianesimo ortodosso altre tre religioni: l’Islam, l’Ebraismo e il Buddhismo. Esse sono considerate “parte integrante dell’eredità dei popoli russi”. Oggi esploreremo la fede buddhista nel territorio della Federazione.
Gli albori del Buddhismo in Russia e i rapporti con l’impero
Le prime tracce di comunità buddhiste sull’attuale territorio russo risalgono al XVII secolo. I principali insediamenti presero forma nelle regioni della steppa mongolica, nel territorio delle attuali repubbliche siberiane di Tuva (protettorato cinese fino al 1944, poi annessa all’URSS, ora formalmente riconosciuta come repubblica della Federazione) e di Buriazia (la regione cosiddetta “transbajkalica”, ossia a est del lago Bajkal, il lago più grande del mondo). Le comunità buddhiste di queste regioni erano principalmente composte da migranti di origine tibetana. Nel 1722, fu delineato il confine ufficiale fra Russia e Mongolia e le tribù insediate nel territorio della Buriazia vennero inglobate nell’Impero russo.
Un altro importante insediamento a maggioranza buddhista si trova nell’attuale repubblica di Calmucchia, nel Caucaso settentrionale, che fino al 1920 era a tutti gli effetti un khanato, ossia una forma di governo tipica delle regioni dell’Asia centrale, assoggettato agli zar. Nel 1920, la Calmucchia ottenne lo status ufficiale di Oblast’ autonoma. Le popolazioni insediatesi in Calmucchia erano discendenti di popolazioni mongoliche, emigrate in Europa agli inizi del XVII secolo. Ciò andò ad arricchire ulteriormente la regione caucasica, da sempre un caleidoscopio di culture e religioni. Infatti, la Calmucchia confina con la Cecenia, repubblica a maggioranza islamica.
Nel 1741, la zarina Elisabetta promulgò una legge con cui riconosceva l’esistenza di una “fede lamaista” e di dodici monasteri (o datsan), in cambio della loro lealtà all’Impero zarista. Il riconoscimento ufficiale della religione buddhista da parte delle autorità russe, dunque, si può far risalire a più di 250 anni fa. Nel corso del XVIII e XIX secolo, le comunità buddhiste in Buriazia, Tuva e Calmucchia goderono di relativa tranquillità e videro un notevole sviluppo sia in termini demografici che istituzionali, con la fondazione di nuovi monasteri.
In particolare, l’ultimo zar Nicola II si mostrò particolarmente vicino alle autorità buddhiste, ospitando a corte medici tibetani originari della Buriazia che erano soliti offrirgli in dono erbe e sostanze tipiche delle loro terre. Inoltre, consulenti specifici assistevano lo zar nel mantenere il controllo su quelle regioni. Il rapporto fra zar e comunità buddhiste fu inserito anche nel quadro degli accordi diplomatici internazionali. L’accordo fra Russia e Regno Unito del 1907, infatti, siglava una spartizione delle sfere di influenza in Asia centrale, incluso il Tibet, attraverso la quale all’impero russo venne assegnato il territorio transbajkalico. A questa decisione non seguirono significativi episodi di insurrezione da parte delle popolazioni locali, che quindi mantennero con l’impero rapporti generalmente distesi.
Buddhismo e rivoluzione
La relativa tranquillità delle comunità buddhiste russe fu interrotta dalla Rivoluzione d’ottobre e dalla nascita dell’Unione Sovietica, la quale non risparmiò nessuna fede religiosa dal rastrellamento. Molti abitanti della Calmucchia si unirono all’armata bianca controrivoluzionaria, e si trovarono a dover emigrare nell’attuale Turchia.
Le primissime politiche di Lenin mostrarono comunque una certa tolleranza nei confronti delle comunità locali, purché mostrassero il loro supporto alla causa comunista. In Buriazia, il khambo lama (ossia il leader locale) dichiarò che la dottrina buddhista era “largamente compatibile” con il pensiero comunista, senza prestare particolare attenzione alle affinità ideologiche, nel tentativo di instaurare con il neonato regime sovietico gli stessi rapporti di distesa amicizia che avevano caratterizzato le relazioni con l’Impero.
Tuttavia, il regime andò presto a inasprirsi e nemmeno questa strategia aiutò: col passare degli anni, la costruzione della nuova identità sovietica e il conseguente appiattimento delle realtà locali portarono a un sostanziale sradicamento culturale e religioso in tutte e tre le repubbliche della Federazione a maggioranza buddhista. Mentre il regime sovietico si faceva più rigido, i monaci e i lama furono esiliati, imprigionati o mandati nei campi di lavoro. Molti furono giustiziati.
Il crollo dell’URSS e la rinascita del Buddhismo
Le politiche di perestrojka portate avanti da Mikhail Gorbachev e il crollo dell’URSS consentirono la rinascita del Buddhismo in Russia. Alla fine degli anni Ottanta, diverse comunità buddhiste vennero ricostituite in Calmucchia, Buriazia e Tuva, e furono eretti numerosi monasteri. Vi fu un notevole impegno per ritornare all’identità religiosa e culturale che decenni di regime sovietico avevano tentato di spazzare via in modo definitivo. Inoltre, sebbene accomunate dallo stesso credo, queste tre regioni presentano alcune differenze.
Le comunità della Calmucchia fanno riferimento alla scuola Gelug del Buddhismo tibetano, e riconoscono il Dalai Lama Tenzin Gyatso come lama supremo. In seguito alla dissoluzione dell’URSS, il Dalai Lama ha iniziato a visitare spesso la capitale di questa repubblica, Elista, rinforzando così l’identità religiosa del luogo.
Anche la repubblica di Tuva vede nel Dalai Lama la sua guida spirituale, e si rifà principalmente al Buddhismo tibetano. Tuttavia, qui, esiste anche una consistente minoranza sciamanista, generalmente in buoni rapporti con le comunità buddhiste principali.
In Buriazia, il Buddhismo si rifà alla tradizione Vajrayana dell’Asia Centrale, anch’essa di matrice tibetana. Anche i fedeli della Buriazia si riconoscono nella scuola Gelug, riconoscendo come massima autorità il suo fondatore, il guru Tsongkhapa (chiamato Zonhobo in lingua locale), insieme al fondatore dell’intera tradizione buddhista Shakyamuni Buddha. Tuttavia, qui, il khambo lama Damba Ayusheev, leader della Sangha Tradizionale Buddhista di Russia, ha promosso una nozione del Buddhismo più insulare, che smorza l’enfasi sulle connessioni con il Tibet e il Dalai Lama a favore di un Buddhismo buriato distinto dalle altre correnti Gelug. Questa corrente buriata si basa su un legame molto forte con le comunità locali, che costituisce un ulteriore fattore di autodeterminazione regionale e culturale.
Infatti, sebbene accomunate dalla stessa fede religiosa e aventi come riferimento il Buddhismo tibetano, le repubbliche di Buriazia, Calmucchia e Tuva sono tutte alla ricerca di un certo livello di autonomia e di una figura di riferimento locale, piuttosto che transnazionale. Questo atteggiamento rispecchia la volontà di ristabilire la propria identità religiosa e nazionale dopo l’esperienza traumatica delle purghe sovietiche. Tuttavia, ciò ha portato alla nascita di organizzazioni locali che si fanno concorrenza fra di loro, come l’Unione dei Buddhisti Calmucchi e la Sangha Tradizionale Buddhista di Russia in Buriazia, capitanata dallo stesso Ayusheev.
In generale, le varie leadership delle comunità buddhiste regionali formano un panorama eterogeneo, diviso fra la volontà di mantenere le connessioni con le comunità buddhiste tibetane internazionali e la volontà di svilupparsi in senso autonomo verso una comunità locale di maggiore valenza identitaria. Ciò ha portato a scontri ideologici in merito alle visite del Dalai Lama, non sempre appoggiate all’unanimità dalle figure di riferimento locali.
Putin e il Buddhismo
Nel corso degli anni Novanta e dei primi Duemila, le comunità buddhiste della Russia hanno avuto l’opportunità di rifiorire con relativa libertà e senza particolari ostacoli da parte delle autorità. Rispetto ad altre comunità religiose, infatti, fra buddhisti russi e Cremlino non ci sono particolari tensioni, e questa minoranza non è mai stata al centro di scontri con il potere centrale.
Recentemente, tuttavia, la nomina di Aleksey Cydenov come governatore della Buriazia da parte di Putin, nel 2017, ha scatenato perplessità e proteste nella popolazione locale. Infatti, Cydenov non ha particolari legami con l’élite politica o le comunità buddhiste locali, non parla buriato ed è di religione cristiana ortodossa. Non stupisce, dunque, che molti abbiano faticato ad accettare il suo ruolo istituzionale, tra cui anche Ayusheev. Questo malcontento, tuttavia, non ha avuto riscontri rilevanti nella pratica.
Conclusioni
Eccezion fatta per il periodo sovietico più rigido, dagli anni Venti fino ai tardi anni Cinquanta, i buddhisti russi hanno goduto di rapporti tendenzialmente pacifici con il potere centrale. La recente rinascita delle comunità buddhiste è andata di pari passo con il crollo dell’Unione Sovietica, e ha mantenuto un andamento positivo durante gli anni di El’cin e di Putin.
Tuttavia, quanto avvenuto in Buriazia è un chiaro esempio delle politiche del Cremlino in merito alle questioni religiose e federali: da un lato, la religione è considerata da Putin come il potenziale collante in grado di restituire al popolo russo una nuova identità, dopo il crollo dell’URSS, e che pertanto è un elemento che non va ostacolato, bensì accolto, ufficializzato e sfruttato a favore del regime; dall’altro, tuttavia, la priorità assoluta rimane il controllo centrale sulle regioni, specialmente sui territori dall’identità molto specifica, che rischia di prevalere sulla comune identità nazionale russa e allontanare le popolazioni locali dalla fedeltà al Cremlino. Questo controllo viene mantenuto tramite meccanismi ufficiosi di delegazione, come nel caso di Cydenov, che spesso entrano in conflitto con le particolarità locali, di cui la Russia è infinitamente ricca.
Fonti e approfondimenti
Dzemyanchuk, Y., La Forgia, F., La linea curva: confini, etnie e religioni, Lo Spiegone, 2019
Goble, P., Even the Buddhists are becoming restive in Putin’s Russia, Eurasia Review, 2018
Holland, E., Buddhism in Russia: challenges and choices in the post-Soviet period, Religion, State & Society, Vol. 42, No. 4, 2014
Fagan, G., Buddhism in Postsoviet Russia: Revival or Degeneration? , Religion, State & Society, Vol. 29, No. 1, 2001
In copertina: Wikimedia Commons
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