L’oro blu del Medio Oriente: l’acqua e il cambiamento climatico

Acqua cambiamento climatico
@Cdnawel - Wikimedia Commons - Licenza: Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

La regione del Medio Oriente è teatro di conflitti che si protraggono da decenni. Le cause sono molteplici ed estremamente complesse: motivi storici, scontri etnico-religiosi, strategie geopolitiche e di influenza territoriale, controllo delle risorse. Tra queste in particolare, come già visto nel corso del progetto, vi è l’aspetto cruciale della scarsità dell’acqua nel territorio, i cui effetti vengono spesso lasciati in secondo piano rispetto alle vicende più note.

Questo problema rischia infatti di configurarsi come causa di ulteriori destabilizzazioni e tensioni. Ad aggravare una situazione già difficile, inoltre, è l’impatto del cambiamento climatico nella regione e le sue ripercussioni sulle già carenti riserve idriche. Le conseguenze sul piano economico, politico e sociale possono essere estremamente negative, specialmente in assenza di adeguate politiche e, soprattutto, di cooperazione tra soggetti spesso reciprocamente ostili.

Cause del water stress nei Paesi MENA

La scarsità di acqua in Medio Oriente non è qualcosa di cui sorprendersi: si tratta di un luogo in gran parte desertico, con clima arido che prevede estati lunghe e asciutte. Al contempo, però, la regione comprende bacini idrici capienti e fondamentali per le popolazioni residenti. Basti pensare a fiumi della portata del Nilo in Egitto, del Tigri e dell’Eufrate in Turchia, Siria e Iraq, del Giordano tra Israele e Giordania. Il problema principale risiede nello sfruttamento eccessivo di queste fonti, insieme alle falde acquifere sotterranee. Si tratta del cosiddetto water stress, discrepanza tra un’alta domanda e una bassa disponibilità di acqua, che spesso indica una carenza anche in termini di qualità.

A livello di water stress, il Medio Oriente è tra le aree più vulnerabili al mondo. Già nel 2010 uno studio del MENARA (Middle East and North Africa Regional Architecture, ndr) evidenziava come il bacino del Tigri e dell’Eufrate avesse perso 144 chilometri cubici di acqua dal 2003 a causa di attività di pompaggio sproporzionate. In generale, le attività umane pesano sulle riserve d’acqua sia con la costruzione di dighe e sistemi d’irrigazione invasivi, sia attraverso consumi non sostenibili.

L’inefficienza nella gestione dell’acqua in molti Paesi della regione è tale che oltre l’80% delle acque reflue riutilizzabili in campo agricolo e industriale non viene recuperato. Nonostante l’adozione di alcune strategie ambisca a ridurre notevolmente queste problematiche, i costi e le infrastrutture collegati sono spesso proibitivi. Ad esempio, Paesi più ricchi come Israele e Arabia Saudita riescono a fare uso in modo efficiente delle tecniche di filtraggio delle acque di scarico e della desalinizzazione. 

Effetti del cambiamento climatico sulla disponibilità d’acqua

In questo scenario, il cambiamento climatico potrebbe portare a un ulteriore inasprimento della scarsità d’acqua, causando la riduzione delle precipitazioni e l’aumento del livello del mare.

La diminuzione delle piogge potrebbe assestarsi nel 2100 sul 25% in meno rispetto al decennio appena concluso, anche a causa dell’aumento della temperatura media della superficie. Alcuni studi della NATO prevedono un innalzamento fino a 4.5°C nel Mediterraneo orientale, con una conseguente estensione del deficit d’acqua nel bacino del Giordano e un abbassamento del 50% dei livelli di acqua potabile in Siria.

Secondo Sowers, invece, il continuo aumento delle temperature potrebbe portare a una diminuzione dei flussi dell’Eufrate e del Giordano rispettivamente del 30 e dell’80% entro la fine del secolo.

Inoltre, la riduzione delle precipitazioni renderebbe più lento il già lungo riempimento degli acquiferi e delle falde. L’accrescimento del livello del mare avrebbe invece un impatto più indiretto; il risultato sarebbe una perdita consistente di terra destinata all’agricoltura e la necessità di sfruttare ancora di più le riserve di acqua dolce per compensare il danno. In particolare, come evidenziato dal think tank SIPRI, l’innalzamento di un metro eroderebbe più di 41 mila chilometri quadrati di costa. In Egitto, ad esempio, circa il 15% di superficie agricola intorno al delta del Nilo andrebbe persa.

 Le implicazioni economiche 

I contraccolpi di una crescente carenza di acqua dovuti al cambiamento climatico potrebbero essere ben visibili dal punto di vista economico e di sviluppo, oltre che concorrere al sorgere di nuovi conflitti.

Nel primo caso, gli effetti sull’agricoltura sono già stati accennati. Uno studio della Banca Mondiale rivela che, con la perdita del 30% dei prodotti agricoli già causata solamente da un aumento di temperature tra 1.5°C e 2°C, la carenza d’acqua imporrà di importare oltre la metà del fabbisogno agricolo nel 2050. Per attenuare questo effetto si stima che la superficie delle terre coltivabili dovrebbe aumentare del 71%, obiettivo però inverosimile considerando anche solo l’avanzante desertificazione.

Gli effetti dannosi si estenderebbero anche al bestiame, la cui vulnerabilità è stata evidente in precedenza nel nord-est della Siria, dove i pastori hanno perso quasi l’85% del loro bestiame a causa delle ricorrenti siccità tra il 2005 e il 2010. Nel complesso, si stima che i danni economici dovuti a una maggiore scarsità di acqua si aggirerebbero in media sulla perdita del 14% del PIL degli Stati mediorientali entro il 2050.

Il secondo caso è ancor più delicato e complesso. Risulta chiaro come le condizioni di vita delle popolazioni locali sono destinate a peggiorare sensibilmente, nonché ad aggravare tensioni già esistenti.

Le implicazioni sociali

Secondo uno studio dell’ISPI, le popolazioni medio-orientali nel 2018 erano seconde nella classifica della provenienza dei rifugiati sia a causa di conflitti sia per i disastri naturali. Conseguentemente, un’ulteriore carenza di acqua e l’erosione delle odierne zone costiere dove si concentra gran parte della popolazione potrebbe rafforzare le minacce preesistenti come l’instabilità politica, la povertà e la disoccupazione. Tutto ciò inciderebbe fortemente sul verificarsi di eventi quali rivolte sociali, crescenti flussi migratori e nuovi conflitti tra Stati.

In particolare, è probabile che quest’ultimo scenario si intensifichi nell’ottica di assicurarsi il controllo delle fonti d’acqua più sicure e prosperose. Difatti, nessun Paese è interamente sovrano per quanto riguarda le proprie risorse idriche. Gran parte degli Stati condividono almeno una falda acquifera, e circa il 60% dei fiumi e dei laghi della regione attraversano i confini.

Tuttavia, l’interdipendenza che ne deriva non è accompagnata da corrispondenti accordi per la gestione congiunta delle acque transfrontaliere. Ci sono alcune eccezioni come quelle della Siria con Giordania e Libano rispettivamente – entrambe ostacolate nella loro attuazione dalla crisi siriana. Per questo motivo, qualsiasi soluzione unilaterale alla scarsità d’acqua, senza un consenso tra i Paesi confinanti, rischia di fallire.

Conclusione

I modelli meteorologici stanno diventando sempre più irregolari, le popolazioni sono in crescita e le tensioni sono sempre a livelli molto alti. Se combinato con questi fattori, l’accesso limitato all’acqua è destinato a portare una maggiore instabilità nella regione. Inoltre, l’insufficienza d’acqua è spesso dovuta a cattiva gestione, corruzione, mancanza di istituzioni adeguate, inerzia burocratica e mancanza di investimenti sia nelle capacità umane che nelle infrastrutture fisiche. Tutto ciò è peggiorato dal cambiamento climatico, che rende il consumo di acqua più difficile in termini di disponibilità.

Finora, non sembrano esistere sforzi sistematici di raccolta dati e di ricerca sugli impatti del cambiamento climatico sulla salute, sulle infrastrutture, sulla biodiversità, sul turismo, sulla produzione di acqua e cibo. Per far fronte a queste sfide, gli sforzi si devono concentrare in aree di governance quali la gestione sostenibile delle risorse naturali, lo sviluppo di processi di adattamento e mitigazione, e il monitoraggio degli interventi di pianificazione.

Infine, il ruolo dell’opinione pubblica sul tema del cambiamento climatico potrebbe avere un impatto positivo sulle decisioni politiche e strategiche. Tuttavia, sotto questo punto di vista, la situazione in Medio Oriente è molto frammentata. Se, da un lato, la percezione della pericolosità del surriscaldamento globale sta aumentando, così come la consapevolezza del ruolo delle attività umane, dall’altro  i cittadini delle aree più benestanti sembrano meno disposti a modificare i loro stili di vita in senso più sostenibile.

 

Fonti e approfondimenti

E. Göll, Future Challenges of Climate Change in the MENA Region, MENARA Future Notes, No. 7, July 2017

NATO Strategic Direction South, Water Scarcity in the Middle East, The Southern Hub, May 2019

J. Schaar, A confluence of crises: on water, climate and security in the Middle East and North Africa, SIPRI Insights on Peace and Security, No. 4, July 2019

ISPI online, The consequences of climate change in the MENA Region, Mediterranean Dialogues 2020, 20/11/2019

C. Malek, Why Middle East publics have mixed views on climate change, Arab News, 22/02/2020

E. Borgomeo, A. Jägerskog, A. Talbi, M. Wijnen, M. Hejazi, F. Miralles-Wilhelm, The Water-energy-food Nexus in Middle East and North Africa: Scenarios for a Sustainable Future, World Bank, Washington, DC, 2018

Leave a comment

Your email address will not be published.


*