Di Giovanni Zorra
Tbilisi, 22 novembre 2003: mentre Eduard Shevardnadze, presidente della Repubblica di Georgia ed ex ministro degli Esteri di Mikhail Gorbachev, stava tenendo il discorso inaugurale della nuova legislatura, un drappello di rappresentanti dell’opposizione con a capo Mikheil Saak’ashvili fece irruzione nell’aula parlamentare impugnando delle rose, costringendo l’anziano leader alla fuga. Dopo aver tentato invano di proclamare lo stato di emergenza, il giorno successivo, Shevardnadze si dimise rifugiandosi in Russia.
L’episodio è passato alla storia come la Rivoluzione delle rose. Le elezioni presidenziali svoltesi nel gennaio del 2004 assegnarono una vittoria schiacciante a Saak’ashvili, leader del Movimento Nazionale Unito (MNU), rimasto al potere fino all’ottobre del 2013.
Le cause
Nell’aprile del 1991, all’indomani della dichiarazione di indipendenza dall’Unione Sovietica, la Georgia era in una situazione tragica: un’economia al collasso, una società civile quasi inesistente, nonché numerose questioni etniche e territoriali irrisolte.
Uscito vittorioso dalla guerra civile georgiana (1991-1993), Shevardnadze venne eletto ufficialmente presidente nel novembre del 1995, trovandosi tuttavia in una posizione precaria. Il suo governo si fondava su innumerevoli compromessi: con i suoi alleati interni, con la Russia e con i governi de facto delle regioni separatiste di Abcasia, Agiara e Ossezia del Sud.
La Georgia che si affacciò al nuovo millennio, quindi, era uno Stato quasi fallito. La strategia di equilibrio tra Russia e Occidente aveva portato meno vantaggi di quanto sperato. I pochi successi geopolitici, come la realizzazione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, avevano prodotto miglioramenti scarsi o nulli sulla qualità della vita della popolazione georgiana, sempre più impoverita e costretta all’emigrazione.
Quando Shevardnadze fu riconfermato presidente nel 2000, la sua leadership era ormai apertamente contestata. Molti militanti del partito di governo Unione dei cittadini della Georgia, tra cui lo stesso Saak’ashvili, erano passati all’opposizione, creando dei nuovi partiti che contribuirono alla Rivoluzione delle rose nel 2003. Molti di queste realtà, in particolare l’MNU, vennero supportati economicamente e logisticamente da stakeholder occidentali come la Open Society Foundation di George Soros e il National Democratic Institute.
Il primo governo Saak’ashvili (2004-2008): le riforme e le contestazioni
Il primo mandato dell’MNU si caratterizzò per un forte attivismo riformatore, accogliendo molte delle indicazioni provenienti dalle organizzazioni internazionali. La lotta alla corruzione in Georgia è oggi considerata un caso studio e le riforme economiche attuate fra il 2004 e il 2008 hanno portato il Paese al settimo posto nell’indice Doing Business della Banca mondiale, attirando capitali e raggiungendo tassi di crescita del PIL a due cifre (il 12,6% nel 2007). Inoltre, nel maggio del 2004, il governo di Saak’ashvili riguadagnò il controllo della Repubblica autonoma dell’Agiara attraverso un colpo di mano pacifico.
In ottica internazionale, il nuovo governo capì che una delle sfide sarebbe stata garantire al Paese una maggiore autonomia dalla Russia, sia dal punto di vista politico che commerciale. Saak’ashvili spinse per un rapido allineamento con l’Occidente, arrivando anche a prefigurare un ingresso della Georgia nella NATO e nell’Unione europea e ottenendo un riequilibrio della bilancia commerciale a favore di Azerbaigian, Turchia e Unione europea.
Accanto ai successi e ai riconoscimenti internazionali, cominciarono però a emergere le prime ombre nell’operato del governo. Nell’ottobre del 2007 l’ex ministro Irakli Okruashvili accusò Saak’ashvili di stare pianificando l’omicidio dell’oppositore politico e miliardario Badri Patarkatsishvili. Dopo alcuni giorni, Okruashvili venne arrestato con accuse di corruzione e si affrettò a ritrattare; il suo avvocato affermò che la smentita era stata estorta al suo cliente dalle autorità.
Nei giorni successivi all’arresto di Okruashvili, le opposizioni scesero in piazza per quelle che si rivelarono le più massicce proteste dai tempi di Shevardnadze. La polizia represse con violenza la folla ed eseguì decine di arresti, ponendo fine alle manifestazioni. La risposta politica di Saak’ashvili fu il ricorso a elezioni anticipate, che lo riconfermarono presidente nel gennaio del 2008.
Il conflitto con la Russia
Il 2008 vide un crescendo di tensioni diplomatiche tra Georgia e Russia. Al centro delle contestazioni c’era il rapporto con le regioni separatiste di Abcasia e Ossezia del Sud che la Russia stava intensificando, anche in risposta al riconoscimento del Kosovo da parte delle potenze occidentali. Contemporaneamente, nell’aprile del 2008, la Georgia ricevette il primo assenso per negoziare il futuro ingresso nella NATO, con profondo disappunto del Cremlino.
Alle tensioni diplomatiche si sommarono quelle militari. A inizio agosto si verificarono alcuni scontri lungo il confine con l’Ossezia del Sud. La Georgia dichiarò un cessate il fuoco unilaterale, ma si trattava di un diversivo: la sera dell’8 agosto, mentre il mondo osserva la cerimonia di inaugurazione dei Giochi olimpici di Pechino, l’esercito georgiano diede il via all’invasione della regione separatista.
Se inizialmente l’esercito georgiano riuscì ad avanzare con facilità, la situazione si ribaltò completamente con l’intervento della Russia. Il 22 agosto la situazione divenne insostenibile: era ormai evaporata la speranza di un supporto da parte della NATO e i carri armati russi marciavano su Tbilisi. L’avventurismo militare di Saak’ashvili portò la Georgia sull’orlo del collasso. Quando il 26 agosto fu firmato il cessate il fuoco, i rapporti con la Russia e con le regioni separatiste erano irrimediabilmente compromessi.
Il secondo governo Saak’ashvili (2008-2013): il declino
Questi anni furono attraversati da continue proteste antigovernative, soprattutto nel 2009, 2011 e 2012. Allo scontento per la sconfitta militare contro la Russia, si sommavano le denunce di violazioni dei diritti umani, frodi elettorali e corruzione da parte delle opposizioni. Nel 2009 si verificò anche un tentativo di ammutinamento nell’esercito.
Alle elezioni parlamentari dell’ottobre del 2012, l’MNU fu messo in minoranza dal neonato partito Sogno georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili. La nuova formazione proponeva una visione economica più socialdemocratica, ma soprattutto assumeva posizioni meno nette rispetto al posizionamento della Georgia tra l’Occidente e Mosca. Nell’ottobre del 2013 il rappresentante di Sogno georgiano Giorgi Margvelashvili venne eletto presidente al posto di Saak’ashvili, decretando la fine della stagione politica cominciata nel 2003.
Il leader Mikheil Saak’ashvili
La figura politica inscindibile dalla Rivoluzione delle rose è indubbiamente quella di Saak’ashvili, avvocato specializzato in diritti umani, ex parlamentare e ministro della Giustizia tra 2000 e 2001. Saak’ashvili ha impersonato la rinascita stessa della Georgia: un leader giovane e dinamico, dal profilo internazionale, molto apprezzato in Europa e negli USA.
Dopo la sconfitta elettorale del 2013, Saak’ashvili è emigrato in Ucraina per sostenere il presidente Petro Porošenko, che nel 2015 lo aveva nominato governatore dell’oblast di Odessa (portandolo a perdere la cittadinanza georgiana). Nel 2016 è stato espulso dal Paese a causa delle accuse di corruzione mosse verso il governo, perdendo anche la cittadinanza ucraina e ritrovandosi nella condizione di apolide. Nel maggio del 2019, tuttavia, è stato richiamato in Ucraina dal nuovo presidente Volodymyr Zelens’kyj che, dopo avergli restituito la cittadinanza, lo ha nominato capo della Commissione per le riforme istituzionali.
Nel 2018 è stato condannato in contumacia per corruzione e abuso di potere e, se dovesse ritornare in Georgia, sarebbe incarcerato. Saak’ashvili ha sempre respinto tutte le accuse, rivendicando l’eredità della Rivoluzione delle rose. La sua figura rimane estremamente divisiva all’interno del Paese: per i militanti dell’MNU è un perseguitato politico, per i sostenitori di Sogno georgiano è invece un criminale e un corrotto.
Cosa rimane oggi della Rivoluzione delle rose
Nella capitale Tbilisi esiste una piazza intitolata alla Rivoluzione delle rose: un tempo le sue aiuole erano ricoperte di rose, ma da qualche anno non è più così. Ad oggi, quei fatti che sembravano destinati a entrare a pieno titolo nella memoria nazionale georgiana sono rivendicati solo dagli attivisti dell’MNU.
Se oggi la Georgia è considerata un piccolo ma affidabile partner internazionale è anche merito della scommessa riformatrice dei governi “rivoluzionari” di Saak’ashvili. La lotta alla corruzione, la semplificazione della burocrazia, le liberalizzazioni, lo sviluppo della società civile, la rottura con la Russia e l’allineamento con l’Occidente, tutte queste decisioni hanno dato alla politica georgiana una rotta che nessun governo è per ora riuscito a invertire.
Al contempo, la storia della Rivoluzione delle rose dimostra ancora una volta la fragilità delle istituzioni democratiche nelle repubbliche post-sovietiche. In Georgia, il processo di state-building non è stato accompagnato da un serio rafforzamento del sistema di pesi e contrappesi istituzionali tipici di una democrazia. Ne è prova il fatto che il governo “rivoluzionario”, nonostante il riconoscimento dell’Occidente e l’altissimo profilo di molti suoi membri, abbia riproposto le stesse pratiche di gestione del dissenso del regime post-sovietico che aveva contribuito ad abbattere nel 2003.
Fonti e approfondimenti
Cory Welt, Georgia’s Rose Revolution: From Regime Weakness to Regime Collapse, Center for Strategic and International Studies, 2006.
Edmund Herzig, The New Caucasus: Armenia, Azerbaijan and Georgia, Chatham House Paper, 1999.
Stephen F. Jones, Reflections on the Rose Revolution, European Security, Volume 21, p. 5-15, 2012.
Editing a cura di Elena Noventa