Le attività di lobbying in Italia devono essere regolamentate

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

In Italia esiste ancora una forte tendenza a ricondurre il fenomeno del lobbying ad attività poco trasparenti, dedite alla tutela degli interessi di grandi aziende o associazioni di categoria. Questa percezione negativa nasce dal fatto che la regolamentazione dei gruppi di pressione sia inesistente o frammentaria. L’assenza di regole precise favorisce la diffusione di pratiche scorrette a vantaggio esclusivo degli attori in grado di influenzare maggiormente i decisori politici a discapito delle classi sociali più “deboli”. 

Da anni ormai gli esperti del settore chiedono al Parlamento una legge che disciplini il lobbying e che, quindi, riduca quel gap rappresentativo tra cittadini e classe politica che oggi appare incolmabile, senza però ottenere risultati. 

Il vuoto legislativo

Il sistema giuridico italiano non prevede una normativa del lobbying unificata per le proprie istituzioni, le quali hanno affrontato la questione in modi differenti. La Giunta per il regolamento della Camera dei Deputati adottò nel 2016 il Codice di condotta dei deputati e la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi. Il primo definisce le norme di comportamento necessarie a garantire il rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità da parte di ogni deputato, prevedendo anche delle sanzioni in caso di violazioni al Codice dovute a conflitti d’interesse. La Regolamentazione disciplina, invece, le attività di rappresentanza di interessi che vengono svolte nei confronti dei deputati. I soggetti che svolgono tali attività devono essere iscritti in un apposito registro e sono tenuti a presentare un resoconto annuale a Montecitorio. Le relazioni fornite dalle strutture accreditate presentano comunque delle lacune: spesso, infatti, le informazioni riguardanti i rapporti con i parlamentari non vengono pubblicate o mancano di alcuni dettagli rilevanti come il nome dei deputati interessati. Spesso poi gli obiettivi di queste attività non sono definiti in modo chiaro, come specifica il report di Openpolis.  

La particolarità dell’ordinamento italiano è la sua frammentazione: al contrario della Camera, infatti, il Senato non ha adottato nessun tipo di provvedimento, in quanto spetta al Consiglio di Presidenza – il vertice amministrativo del Senato – decidere come disciplinare le relazioni tra senatori e gruppi di pressione. 

Allo stesso modo alcuni ministeri – tra cui il ministero dello Sviluppo Economico, quello del Lavoro e il ministero dell’Ambiente – possiedono un proprio registro per monitorare questo tipo di attività fra i portatori d’interesse e, in questo caso, i ministri. 

Sui tavoli di lavoro del Parlamento giacciono da diversi anni alcune proposte – tra petizioni popolari e iniziative nate dagli stessi parlamentari – finalizzate a regolamentare tali attività a livello nazionale per dare omogeneità alla disciplina e ridurre gli atti di corruzione. La Commissione Affari Costituzionali del Senato aveva elaborato una sintesi dei vari progetti che, tuttavia, rimane a oggi solo un disegno di legge. La proposta finale, oltre a identificare quali soggetti far rientrare nella categoria dei “decisori pubblici”, mira ad ampliare la base di interessi e di informazioni che influenzano le scelte politiche e a ridurre la frammentazione delle regole tra le varie istituzioni. 

I recenti avvenimenti legati al deputato Marco Minniti – passato dalla commissione Affari Esteri della Camera alla presidenza della nuova fondazione di Leonardo, Med-Or – hanno poi riportato al centro del dibattito la necessità di incorporare nella normativa una sezione che tratti il conflitto d’interessi. Spesso infatti in Italia assistiamo al fenomeno delle cosiddette “porte girevoli” quando un membro delle istituzioni assume incarichi di associazioni o aziende del privato. È un aspetto della politica che deve essere altresì regolamentato.

 

Il lobbying all’estero

Nell’ultimo ventennio alcuni Stati membri dell’Unione europea come Lituania, Polonia, Slovenia, Ungheria e Austria hanno adottato delle norme specifiche riguardanti il lobbying, aggiornando il proprio ordinamento in materia. Anche le istituzioni europee hanno provveduto in tal senso: il dibattito che portò alla creazione di un codice di condotta del Parlamento europeo risale agli anni Novanta, mentre la Commissione ha istituito un proprio registro nel 2008

In Germania il primo esempio di albo pubblico per lobbisti risale addirittura al 1972. Anche la legge francese – seppur con codici di condotta diversi tra Assemblea nazionale e Senato – prevede per tutti i gruppi di pressione e soggetti che entrino in contatto con cariche pubbliche l’iscrizione obbligatoria a un registro digitale nazionale. 

Negli Stati Uniti le attività per la promozione degli interessi nel Congresso trovano spazio nel primo emendamento della Costituzione. Disciplinate per la prima volta nel 1946 con il Federal Regulation Lobbying Act, la normativa ha negli anni subito svariate modifiche, tra cui l’ultima riforma del 2007, che ne hanno rafforzato l’efficacia. Il modello statunitense presenta tuttavia alcune controversie basate sul sistema di finanziamento alla politica. I PACs (Political Action Committee) e Super PACs sono comitati, formati da associazioni o multinazionali, incaricati di raccogliere fondi per i candidati alle presidenziali o semplicemente per finanziare le proprie battaglie al Congresso. Seppure i flussi di denaro siano monitorati e rendicontati, non è previsto un limite di spesa per i finanziamenti. Questo dettaglio normativo favorisce di conseguenza le aziende e gli individui più facoltosi.

 

Quale rimedio per l’Italia?

Nel gennaio 2020 il gruppo di lavoro Public Affairs della Camera di Commercio statunitense pubblicava un documento contenente dieci raccomandazioni per migliorare il sistema normativo italiano. Le proposte portate avanti dall’American Chamber costituiscono i possibili capisaldi di una regolamentazione per le attività di promozione degli interessi e riassumono alcuni dei punti chiave visti negli ordinamenti esteri. Si parte dal presupposto che la disciplina debba essere unica e valida per ogni contesto pubblico. Il registro, la cui iscrizione diventerebbe obbligatoria, dovrebbe annoverare allo stesso modo tutti i soggetti esercitanti la funzione di rappresentante d’interessi a livello nazionale. Si dovrebbe poi assicurare a tutti i gruppi di pressione la partecipazione al processo legislativo per garantire la massima inclusività. Nel documento della Camera di Commercio si ritiene poi fondamentale, oltre la creazione di un sistema sanzionatorio paritario per lobbisti e deputati, la nomina di un Comitato che verifichi la trasparenza e l’efficacia delle attività. 

In parallelo, alcune realtà promuovono la partecipazione politica di tutti i componenti della società civile affinché ogni cittadino conosca gli strumenti per far valere i propri diritti nelle istituzioni. Un esempio tra queste è l’organizzazione non profit The Good Lobby, impegnata dal 2015 nella promozione di campagne in difesa degli interessi delle categorie più fragili. Perché queste pratiche siano sempre più diffuse, è necessario però che venga garantita una certa trasparenza a livello normativo. A tal proposito, la petizione lanciata di recente dall’organizzazione sottolinea l’urgenza di una legge da attuare al più presto. La richiesta – che riporta molti degli argomenti contenuti nel documento della Camera di Commercio statunitense – si basa su quattro punti fondamentali: un registro pubblico obbligatorio; un’agenda pubblica per gli incontri tra politici e lobbisti; sanzioni in caso di atti illeciti; consultazioni pubbliche tali da permettere agli iscritti una possibilità di confronto con le istituzioni. 

È essenziale per il buon funzionamento del nostro sistema democratico che gli organi decisionali agiscano per certificare la massima trasparenza nelle attività per la promozione degli interessi. Una legge chiara in questo senso potrebbe portare a una maggiore responsabilizzazione della classe politica, spinta a tenere conto di tutti gli interessi in gioco, e quindi a maggiori benefici per l’intera società. 

 

 

Fonti e approfondimenti

Camera dei Deputati, Codice di condotta dei deputati e regolamentazione dell’attività di lobbying.

Camera dei Deputati, La disciplina dell’attività di lobbying in Francia Germania Regno Unito e USA.

Gimbartolomei, Andrea. “Porte girevoli e conflitto d’interessi, nessuna legge li vieta, Renzi e Minniti solo gli ultimi casi”, lavialibera, 2021.

Openpolis, “La regolamentazione incompiuta delle lobby in Parlamento”, 2019.

Picardi, Andrea. “La lobby in Italia? Ecco come regolarla. La roadmap dell’American Chamber”, Formiche, 2020.

Senato, Disegno di legge su disposizioni in materia di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici.

The American Chamber, “La regolamentazione delle attività di Lobbying in Italia”, Gruppo di Lavoro Public Affairs, 2020.

The Good Lobby, petizione: Una legge sul lobbying, per il bene della democrazia.

Troiso, Gennaro. “Lobbying: comparazione fra USA, Ue e Italia. Numeri e legislazione”, Risk and Compliance, 2020.

 

Editing a cura di Francesco Bertoldi

 

 

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