Ieri a mezzanotte è entrata in vigore la prima vera tregua della guerra civile in Siria, che dura ormai già da cinque anni. La tregua riguarda le forze governative e quelle dei cosiddetti “ribelli”, ma non comprende i miliziani dello Stato Islamico né quelli di Al-Nusra, fazione legata ad Al-Quaida. Dal nord del paese le Forze Democratiche Siriane, a maggioranza curda, hanno dichiarato che non accetteranno la tregua, in quanto stanno combattendo esclusivamente l’ISIS, escluso dall’accordo.
L’accettazione della tregua è condizionale all’accettazione della risoluzione ONU 2254, che invita le parti in conflitto a interrompere gli assedi, permettere l’arrivo di aiuti aerei, interrompere gli attacchi contro i civili e rilasciare i prigionieri.
A monitorare la tregua sarà una task-force presieduta da Stati Uniti e Russia, che da Ginevra si occuperà di esaminare le violazioni di essa. Già pochi ore dopo la mezzanotte, infatti, un’autobomba ha ucciso due soldati nella città controllata dal governo di Salamiye, vicino Hama.
La Russia ha interrotto i bombardamenti sulle fazioni ribelli che hanno deciso di aderire alla cessazione delle ostilità, ed è in corso in queste ore una riunione dei massimi vertici della difesa a Mosca. La tregua rappresenta per la Russia la volontà di Stati Uniti ed Europa di giungere in fretta ad una fine del conflitto, anche nella prospettiva di rendere meno grave l’emergenza rifugiati ora in corso. Facilitare questo processo permetterebbe alla Russia di ottenere più facilmente alcune condizioni ritenute strategiche da Mosca, come la permanenza di Bashar Al-Assad a capo della Siria, oltre che a riavvicinare il paese all’Occidente.