Il nostro secondo appuntamento sul Brexit (qui il primo) vuole analizzare chi, all’interno del Regno Unito, sostiene la necessità di rimanere all’interno dell’Unione Europea. Il referendum del 23 giugno prossimo vede infatti una folta schiera di forze politiche che si contrappongono alla possibilità di lasciare l’Unione Europea.
Sembra poter essere facilmente affermato che le forze di chi voterà contro il Brexit sono trasversali, riuscendo a mettere insieme delle anime che nella storia politica britannica raramente sono riuscite a convivere come ad esempio una buona parte del partito conservatore, il partito laburista e anche il partito nazionale scozzese (SNP).
Partito conservatore
Le posizioni del Partito conservatore, nonché partito di governo, sono molto diverse tra di loro. Il leader dei conservatori e premier della Gran Bretagna, David Cameron, è il fulcro di questa situazione complessa e frastagliata sia all’interno del suo partito sia dello Stato britannico. Infatti, durante la campagna elettorale del 2015 aveva annunciato che avrebbe indetto un referendum entro il 2017 per chiedere ai cittadini britannici se volessero o meno rimanere all’interno dell’Unione Europea. Appena fu eletto premier Cameron indisse il referendum. La posizione del premier però è di contrasto alla proposta referendaria, c’è la volontà da parte sua di rimanere all’interno dell’Unione Europea. Allora la domanda a cui bisogna rispondere è perché David Cameron ha indetto un referendum, che rischia di tagliare fuori il proprio Paese dalla zona europea, contrastandolo?
Ci sono più risposte per spiegare questa mossa apparentemente folle.
La prima motivazione che si da è un po’ riduttiva e semplicista, affermando che per contenere le anime avverse alla sua all’interno del Paese ha voluto indire il referendum per dare la possibilità anche ai suoi avversari di esprimere la propria posizione. Ovviamente il fine ultimo di questa prima motivazione pone la volontà di sconfiggere i propri rivali attraverso le urne del referendum e quindi ammorbidire le frizioni interne al partito, come quella che sta creando Boris Johnson.
La seconda motivazione è quella di incutere timore all’Unione Europea. Infatti, il conflitto con Bruxelles è sempre più forte soprattutto riguardo alla questione delle quote e dello smistamento dei profughi all’interno del territorio europeo. La Gran Bretagna ha più volte affermato che vuole rimanere all’interno dell’Unione Europea ma alle sue regole (come già sta facendo riguardo a più materie), vuole partecipare ai privilegi che l’abbattimento doganale ha portato, dal 1992 con Maastricht, e quindi è interessata a tutta la materia economico-finanziaria dell’Europa unita. Dall’altra parte è contraria su tutta la linea all’integrazione politica e continua a contrastare lo sviluppo che sempre di più è necessario all’Unione Europea per progredire anche sotto il punto di vista economico. La Gran Bretagna sa di non essere in grado di poter contrastare 27 Paesi da sola e quindi ricorre alla minaccia. Il referendum del 23 giugno può essere visto come una vera e propria minaccia alle istituzioni europee.
La terza motivazione si lega fortemente alle altre due. Il centro di tutta questa discussione è quindi David Cameron. Colui che ha indetto il referendum, vuole far esprimere le correnti avverse, vuole minacciare l’Unione Europea ma vuole rimanerci all’interno. La vittoria del fronte anti-Brexit verrà rivendicata da Cameron come una sua vittoria personale e un supporto che i cittadini britannici hanno dato al suo operato. Potrebbe passare alla storia come l’uomo che ha salvato la Gran Bretagna dall’uscita dal laboratorio politico ed economico dell’Unione Europea. Questo per quanto riguarda il fronte interno. Cameron poi avrà una maggiore forza nella contrattazione e nei rapporti diplomatici anche con la stessa Unione Europea perché potrà rivendicare la sua capacità di poter fare e disfare la volontà del Paese, portando i suoi cittadini da una forte propensione all’uscita dall’Unione Europea (rivelazione YouGov del 2011) a una maggioranza favorevole a rimanere ancorati al Vecchio Continente.
Partito laburista
“Non possiamo mettere a rischio il nostro lavoro e i nostri interessi lasciando l’Unione Europea” così si chiude il video della campagna elettorale del laburisti contro l’uscita dall’UE.
Le posizioni dei laburisti sembrano essere molto razionali e pratiche. Prima di tutto pongono il binomio certezza-incertezza, ovvero da una parte la certezza di quello che c’è con l’Unione Europea (consci anche di tutte le cose che potrebbero essere migliorabili) e dall’altra, invece, l’incertezza, il salto nel vuoto che l’uscita dall’Unione Europea potrebbe significare. I laburisti hanno fatto una classifica di 7 pilastri centrali per cui, secondo loro, il 23 giugno è necessario votare contro il Brexit. Le tre macro-aree su cui viene fatta maggior pressione sono il lavoro, l’economia in export e la sicurezza Europea.
Quello che il partito laburista vuole mettere in evidenza per il lavoro è la forte storia dei diritti dei lavoratori che i Paesi dell’Unione Europea hanno garantito, nel tempo e con lunghe battaglie, ai propri lavoratori. Questo concetto in Gran Bretagna non esiste perché dopo la Thatcher il così detto “welfare state” venne smantellato totalmente e la mobilità lavorativa fu talmente alta che oggi la paura dell’uscita dalla zona europea viene manifestata anche dal ricordo di quegli anni bui.
L’influenza che l’Unione Europea ha nel mondo interconnesso di oggi poi è molto più evidente rispetto a quella che la sola Gran Bretagna potrebbe avere. L’Unione Europea, tra mille difficoltà, sta progredendo all’interno della rilevanza mondiale e questo è un altro punto da non sottovalutare. L’isolazionismo porterebbe il Paese a un appassimento all’interno invece che a una progressione verso l’esterno.
La campagna dei laburisti è facile e diretta, nonché razionale al contrario delle molte parole spese dai conservatori che però si presentano divisi e che hanno personalizzato il voto del 23 giugno.
Partito Nazionale Scozzese
La leader del partito nazionale scozzese, Nicola Sturgeon, ha affermato lunedì 13 giugno che la vittoria del sì e quindi della reale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea avrà delle ricadute molto forti su tutto il territorio britannico. Soprattutto su quello scozzese. L’indicazione di voto da parte del partito di governo della Scozia è di votare contro il Brexit e se vincerà la volontà da parte degli scozzesi di rimanere nell’Unione Europea allora la Sturgeon non allontana, anzi avvicina, la possibilità di un nuovo referendum come quello effettuato nel novembre 2014 sulla decisione di rimanere o meno all’interno della Gran Bretagna. La leader del SNP è sicura che il sentimento europeista degli scozzesi porterà a drastiche decisioni sia il 23 giugno sia in un futuro prossimo nel caso di sconfitta del fronte anti-Brexit.
Le motivazioni del partito sono molto simili a quelle dei laburisti, affermando che in un’Unione come quella Europea ci sta la possibilità di maggiori opportunità di lavoro, di maggiore crescita e di maggiori investimenti rispetto all’isolamento che promette Boris Johnson. Sturgeon afferma che “essere europei significa poter viaggiare, lavorare, studiare all’interno dell’Unione Europea senza aver bisogno di visti e passaporti” e che la forza che 28 Paesi possono imprimere in battaglie globali come il contrasto all’incremento dell’inquinamento sono più facili che combattere queste battaglie da soli.
Fonti e Approfondimenti
http://www.labour.org.uk/inforbritain
http://www.snp.org/voters_in_scotland_could_play_a_crucial_role_in_eu_referendum_result
https://yougov.co.uk/news/2016/06/11/eu-referendum-leave-lead-one/