Françafrique, l’eterno ritorno

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

di Ilaria de Gennaro

Quando hai un grande passato imperiale, sei solitamente poco incline a dimenticartene. Nello scorcio iniziale del novecento, al momento della sua massima espansione, l’impero coloniale francese in Africa, distinto in Africa Occidentale francese e Africa equatoriale, comprendeva Algeria, Benin, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Gabon, Gibuti, Guinea, Madagascar, Mali, Marocco, Mauritania, Niger, Repubblica Centrafricana, Senegal, e Tunisia.

Tutt’oggi l’esagono mantiene una certa sfera d’influenza in uno spazio geografico che ricomprende grosso modo gli antichi possedimenti imperiali e lo stretto legame instauratosi tra Francia e colonie sussiste, seppur in forme diverse, sia a livello economico che politico. La “missione civilizzatrice” francese si nutriva dell’utopia dell’assimilazione, ispirata dai valori universalisti del 1789, costitutivi di quell’eccezionalismo francese che la classe dirigente transalpina, a partire da Napoleone, desiderava comunicare a tutto il mondo. Questo universalismo, declinato nell’accezione imperiale, implicava un progetto assimilazionistico che intendeva fare dell’impero coloniale una continuazione della madrepatria, territorio tricolore a tutti gli effetti.

Dopo il 1945, anche sotto pressione statunitense che spingeva affinché tutte le energie europee venissero concentrate nel contenimento dell’imperalismo sovietico, la Francia accorda gradualmente l’indipendenza ai possedimenti extraeuropei che costituivano il suo impero, di cui oggi rimane traccia nelle regioni, dipartimenti e altre entità d’oltremare (Il tesoro insulare della Repubblica francese).

Con il dissolvimento dell’impero coloniale, peró, la Francia non esce del tutto di scena dal continente africano e l’elemento linguistico, la “francofonia”, si rivela un soft power imprescindibile, un vettore importante per continuare ad esercitare la propria influenza.

Cruciali sono i rapporti con la classe politica regionale, con cui a partire dal 1960 inizia ad intessersi un reticolo di relazioni politico-economiche solo formalmente diplomatiche, intrattenute non attraverso il ministero degli esteri, ma in maniera ufficiosa, sulla base di relazioni personalistiche e clientelari. Sono i famosi résaux di cui abile regista sará per anni Jacques Foccart, segretario generale agli affari africani di De Gaulle e comunemente noto come “Monsieur Afrique”.

Secondo i maggiori detrattori della politica francese nell’Africa decolonizzata, queste reti politico-affaristiche convergevano in un sistema di stampo neocoloniale, che si alimentava di dinamiche corruttive e sottraeva risorse inibendo lo sviluppo dei Paesi africani : la “Françafrique”. Coniata nel 1955 con un’accezione positiva dal presidente della Costa d’Avorio Félix Houphouët-Boigny, che con il neologismo intendeva auspicare l’instaurarsi di strette e prospere relazioni con l’occidente e in particolare con la Francia, l’espressione si carica di un significato negativo per la penna di François-Xavier Vershave, che nel 1998 la denuncia come un organizzazione criminale a servizio degli interessi delle alte sfere della politica e dell’economia francese, “dov’é nascosta una sorta di Repubblica sotterranea estranea alla vista”, una gigantesca macchina da soldi rinominata da alcuni giornalisti irriverenti “France à fric” (fric in slang significa denaro). Nel suo saggio di stampo altermondialista, Vershave definisce le politiche francesi nel continente nero “il piú grande scandalo della Reupubblica”, e bolla la françafrique come una nebulosa d’attori economici, politici e militari, organizzata in reti e lobby, e finalizzata all’accaparramento di materie prime e di fondi destinati allo sviluppo. Il tutto accompagnato da una velata volontá politica di ostacolare l’innescarsi di dinamiche democratiche in territorio africano, le quali sfuggirebbero piú facilmente al controllo francese.

Pesanti sono le accuse lanciate da Vershave: sostegno e protezione di presidenti e dittatori africani da parte dello stato francese, tra cui Omar Bongo (Gabon), Gnassingbé Eyadéma (Togo), Paul Biya (Camerun), Denis Sassou-Nguesso (Congo), Blaise Compaoré (Burkina Faso) e Idriss Déby (Chad); manipolazioni contro la democrazia e l’opposizione politica, accesso privilegiato a materie prime di importanza strategica di cui le regioni sono particolarmente generose, lo sfruttamento delle rendite, l’accaparramento indebito degli aiuti allo sviluppo da parte di uomini e partiti politici francesi e africani, spesso legati a  traffici criminali.

La Françafrique è stata ripudiata a parole, ma è possibile vederne ancora oggi una qualche manifestazione nostalgica nella politica estera francese. Emblematica, è la visita di Sarkozy e dei suoi ministri in Gabon nel 2009, per onorare le spoglie del chicchieratissimo Omar Bongo che lasciava, con la benedizione di Parigi, il trono al figlio Ali.

Ancora, nel 2011, il Presidente Sarkozy era stato tra i piú convinti promotori dell’intervento in Libia, in cui la Francia avrá un ruolo di punta. Reminiscenze “françafricane” sono poi rinvenibili in quei meccanismi politico-economici che garantiscono sul continente una presenza semimonopolistica di colossi dell’industria francese quali Total in Gabon e Congo-Brazzaville, Arvea per lo sfruttamento dell’uranio in Niger, Bolloré e Bouygues in Costa d’Avorio.

Anche la presidenza Hollande ha riconfermato l’attivismo nell’area, mobilitando truppe e mezzi per accordare l’aiuto invocato per sconfiggere il terrorismo e per implementare le risoluzioni ONU. Nonostante i proclami e le dichiarazioni, la Francia non sembra proprio voler rinunciare al ruolo di gendarme in Africa, come attestato da diverse iniziative militari quali ad esempio l’intervento in Ciad nel 2008 per tenere in sella il presidente Idriss Débry. La Francia attualmente dispiega circa 10.000 soldati in tutto il continente, molti di questi impegnati nel teatro maliano.

IL CASO DEL MALI

La presenza francese in Mali si inserisce nel piú ampio quadro delle relazioni economico-politiche che la potenza intrattiene con le sue ex colonie. Questo Paese nel cuore del Sahara/Sahel, si vide nel 2012 teatro di una sanguinosa guerra civile tra governo centrale, separatisti tuareg del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad e  ribelli islamisti che miravano alla conquista della parte settentrionale del Paese. La Francia, di fronte alla minaccia sente di dover intervenire per evitare che il Paese, già fortemente destabilizzato, cada integralmente nelle mani degli jihadisti.

la minaccia jihadista

AQIM  (Al-Qaeda in the Islamic Maghreb) é la sigla del terrore che minaccia il Mali e tutta la fascia magrebina, inserendosi nel quadro generale di instabilità che interessa la regione del Sahara e Sahel e che consegue alla destituzione di Gheddafi e allo smembramento della Libia tra le milizie vincitrici.
Per Parigi, il rischio è fortemente concreto: si teme che la consistente comunità maliana in Francia possa essere infiltrata dalle filiere terroristiche e risvegliare “lupi solitari” nelle periferie delle città.

Nel 2013 la risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizza un intervento multilaterale in Mali. Ne segue la costituzione di MINUSMA (Missione internazionale di sostegno al Mali) promossa sotto l’egida della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Economic Community of West African States o ECOWAS).

LE FRANCESI SERVAL E BARKHANE 

All’inizio dell’anno successivo, su richiesta del Presidente Traorè e sotto gli auspici delle Risoluzioni 2056 e 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Francia ha fornito, attraverso l’Operazione SERVAL, supporto aereo e terrestre all’Esercito maliano e all’ECOWAS, con l’intesa di procedere ad un trasferimento progressivo del controllo regionale alla missione MINUSMA.

Nel 2014 si costituisce il G5 Sahel (composto da Burkina-Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger), una forma di cooperazione per rispondere in modo coordinato alle sfide alla sicurezza che interessano l’area, prima tra tutte la minaccia terroristica. La Francia, su richiesta dei Paesi componenti il gruppo, contribuisce attraverso l’Operazione BARKHANE che, lanciata nell’agosto del 2014, dispiega forze militari in Ciad e Mali, arrivando a coinvolgere la Repubblica Centrafricana, in cui sono schierate altre 3000 unità.

gli interessi economici

Come in molte guerre, dietro alla lotta contro il terrorismo si celano spesso anche anche altri scopi. A qualche centinaio di kilometri dalla frontiera maliana, il Niger ospita la miniera d’uranio di Arlit. Il Paese, terzo produttore mondiale del minerale, fornisce il 33% dell’uranio utilizzato nelle centrali nucleari francesi.

Il Sahel, questa banda desertica che corre dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, ricca di petrolio, gas e minerali, attira gli appetiti non solo della potenza transalpina, ed é divenuto una zona strategica al centro di dispute tra le maggiori potenze.
Il bacino di ­Taoudéni, zona petrolifera alla frontiera tra nord del Mali e sud dell’Algeria, fa gola a molti. Gli analisti stimano che i Paesi produttori dell’Africa occidentale produrranno tra il 2002 e il 2019 350 miliardi di reddito petrolifero.
La Francia non puó assistere a braccia conserte alla minaccia di un tal potenziale da parte degli affiliati del califfato.

Oggi la presenza francese in Africa è piú di una semplice eco dell’antica grandeur. La strategia della Francia nel continente nero sembra aver sposato la formula “né indifferenza, né ingerenza” e abbandonato la via dell’unilateralismo, alla ricerca di un consenso e supporto multilaterale, sotto l’egida delle organizzazioni internazionali.

Il continente nero, e in particolare l’Africa francofona, rimane di importanza strategica per la difesa del rango mondiale della Francia, in un ottica di bilanciamento della potenza tedesca in Europa. La difesa della francofonia, inoltre, si riveste di una carica geopolitica importantissima e mira a contrastare l’egemonia linguistico-culturale anglosassone sullo scenario internazionale. Nonostante la logica delle sfere d’influenza sia stata messa in crisi con la fine del bipolarismo della guerra fredda e appaia ormai obsoleta, e nonostante la globalizzazione abbia favorito gli interessi di altre potenze nella regione, “Marianna” ottiene ancora dall’Africa un surplus di potenza cui non intende affatto rinunciare.

 

Fonti e Approfondimenti

http://www.defense.gouv.fr/operations/sahel/actualites

http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/MINUSMA/Pagine/default.aspx

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