Gli esiti del referendum britannico dello scorso 23 giugno hanno provocato, e continueranno a provocare, cambiamenti degli assetti politico istituzionale ed economico di tutto il mondo. Per quanto riguarda il mondo arabo, la notizia del Brexit è stata accolta, in parte con successo, in quasi tutti gli stati del medio oriente, specialmente in quelli facenti parte del Consiglio della Cooperazione del Golfo, ma anche dal “sedicente” Stato Islamico.
- Arabia Saudita: le autorità finanziarie hanno minimizzato i possibili effetti negativi del voto britannico di lasciare l’Unione Europea. Il successivo crollo del valore della sterlina, il peggiore dal 1985, non ha spaventato il governatore della banca centrale saudita (Saudi Arabian Monetary Agency) in quanto aveva già modificato la politica d’investimento in vista del voto, di conseguenza l’impatto sarà limitato perché meno esposti ai movimenti di valuta.
- Oman: il ministero degli esteri ha elogiato la “decisione storica del Regno Unito di lasciare l’Unione europea”, ha spiegato come sia una ferma reazione ad alcune politiche della Commissione Europea.
- Emirati Arabi Uniti: a causa della limitata interconnessione tra i sistemi finanziari degli Emirati e della Gran Bretagna, difficilmente i rapporti commerciali, anche quelli futuri, potrebbero incrinarsi.
I Paesi arabi del Golfo vedono la Brexit come una vera e proprio opportunità per consolidare i propri mercati, che già ottengono numerosi investimenti esteri da parte di Londra. L’area del Golfo è una zona strategica ricca di riserve petrolifere, ma a causa del recente crollo del prezzo del petrolio, si è dovuta aprire agli investimenti esteri, per lo più inglesi e americani.
Al contrario gli Stati arabi importano una grandissima quantità di beni e detengono una massiccia quota del mercato degli investimenti nel Regno Unito: gli interessi sauditi rappresentano il 55% degli investimenti del Golfo, seguito da Qatar con il 20%, il Kuwait con il 18%, mentre il resto degli Stati del Golfo condividono il restante 7%.
L’Arabia Saudita, ad esempio, possedendo già ottime relazione economiche con il Regno Unito, potrebbe diventarne il primo partner commerciale: infatti lo Stato saudita detiene una quota fondamentale del mercato immobiliare inglese, e non solo, in quanto al momento ci sono oltre 200 “joint ventures” tra aziende britanniche e saudite (accordo di collaborazione tra due o più imprese per la creazione di un progetto comune), dal valore di circa 17,5 miliardi di $, e circa 30.000 sudditi britannici che vivono e lavorano in Arabia Saudita.
Lo Stato Islamico, dal suo canto, ha celebrato la Brexit, in quanto considerata come “l‘inizio della disintegrazione dei crociati“. Le crisi politiche ed economiche europee, vengono sfruttate dalla propaganda Islamica con il fine di stimolare ulteriori attacchi terroristici, minacciando le capitali del vecchio continente. L’uscita del Regno Unito ha incoraggiato la Scozia a prendere le distanze, con la prospettiva di fare un secondo referendum per l’indipendenza scozzese, che comporterebbe un’ulteriore disgregazione nell’Unione.
Oltre a questo, anche il ritorno dei nazionalismi, non farebbe altro che fomentare la secessione europea: nelle scorse elezioni regionali in Francia, l’iniziale grande successo del Front National, partito nazionalista di destra, era stato visto dai fondamentalisti islamici come possibile segno di frantumazione in Europa, fomentando gli altri partiti anti-europeisti.
Ma con la fine dell’Unione e quindi con la fine di Schengen, le frontiere verranno chiuse e sarà limitata la libertà di circolazione, divenendo anche per i terroristi affiliati all’ISIS un vero e proprio problema. Pensando agli ultimi attacchi terroristici dello scorso novembre a Parigi, Salah Abdeslam e i suoi complici partendo da Bruxelles, senza i controlli alle frontiere sono riusciti a passare tranquillamente.
Le numerose sconfitte dell’ISIS in Siria e in Iraq hanno portato un calo della visibilità e di simpatizzanti alla causa jihadista. Lo Stato Islamico, grazie alla propaganda, sta cercando di sfruttare a proprio favore le divisioni europee, stimolando i propri sostenitori a compiere ulteriori attacchi terroristici, che porterebbero “prestigio” al califfato.
Fonti e approfondimenti
http://www.aljazeera.com/news/2016/06/arab-perspectives-brexit-160624111955180.html
https://www.middleeastmonitor.com/20160628-kuwait-saudi-arabia-qatar-to-pay-for-brexit/
http://www.reuters.com/article/us-saudi-banking-idUSKCN0ZB066?il=0
http://www.wsj.com/articles/saudi-arabia-revises-investment-policy-after-brexit-vote-1466851577
http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/06/brexit-matters-gcc-countries-160619073002370.html
http://sputniknews.com/politics/20160628/1042105528/uk-saudi-arabia-brexit.html
http://europe.newsweek.com/isis-hails-brexit-vote-threat-unity-crusader-europe-476127
Be the first to comment on "Gli effetti della Brexit in Medio Oriente"