Output gap: un confronto tra OCSE e Commissione Europea

Spesso sentiamo parlare dell’influenza dell’Unione Europea sulle scelte politiche ed economiche del governo italiano e dei Paesi Membri. Tralasciando i rapporti di carattere consultivo, uno dei metodi principali con il quale la Commissione europea esplica i suoi poteri sulle realtà statali è la stima dell’Output Gap (OG).

L’OG si definisce come lo scarto tra prodotto effettivo e prodotto potenziale (ossia il prodotto massimo raggiungibile in condizione di pieno impiego di tutti i fattori produttivi). Questo non è direttamente osservabile data l’impossibilità di attribuire un valore specifico ed oggettivo al Pil potenziale. I metodi con il quale esso viene stimato sono numerosi, così come le critiche che gli fanno seguito.

Il 2 marzo 2012, con l’approvazione del Fiscal Compact, l’Italia si impegnava a mantenere in pareggio il saldo strutturale di bilancio  (ossia in linea con il suo Obiettivo di Medio Termine) e, successivamente, tramite la legge costituzionale n.1/2012, questo vincolo veniva inserito nella Costituzione. In altre parole, l’Italia prometteva di eguagliare le entrate statali (costituite generalmente dagli introiti derivanti dalla tassazione) alle uscite (ossia investimenti pubblici come lo stanziamento di fondi per la sanità, per la ricerca o per l’istruzione, lo sviluppo dei trasporti pubblici, ecc.). Tenendo in considerazione l’ ampiezza attuale del rapporto tra debito e Pil del nostro paese, si intuisce facilmente come l’impegno assunto in sede europea si sia risolto con il taglio sistematico della spesa pubblica a fronte di tasse crescenti.

Quando facciamo riferimento al saldo strutturale ci riferiamo ad un valore che si ottiene depurando il saldo nominale dalle “misure una tantum” e dalla “componente ciclica”.  Quest’ultima è calcolata moltiplicando l’elasticità del bilancio alle fluttuazioni economiche per l’output gap.

Nonostante la Commissione europea e l’OCSE utilizzino lo stesso metodo di calcolo per le stime del Pil potenziale (ossia quello della funzione di produzione), le differenze nelle ipotesi di base delle misurazioni restituiscono output gap drasticamente divergenti che hanno ripercussioni  sulle misure richieste con l’approvazione del Fiscal Compact.

Le stime delle due organizzazioni differiscono in particolare riguardo alla definizione di disoccupazione strutturale: mentre l’OCSE si serve del concetto di NAIRU (Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment), ossia quel tasso di disoccupazione che garantisce la stabilità dei prezzi, ancorando le aspettative agli obiettivi della banca centrale (2% nel caso europeo), la Commissione si basa sul concetto di NAWRU (Non Accelerating Wage of Unemployment), che si identifica con il tasso di disoccupazione che non altera la dinamica salariale.  Tramite i dati della tabella 1, notiamo come i valori della commissione incorporino nel concetto di disoccupazione strutturale buona parte del ciclo economico, avendo influenze a ribasso sul Pil potenziale, come mostra la figura 1.

Infatti, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014, le stime dell’OCSE hanno evidenziato un tasso di incremento del Pil Potenziale nullo, mentre le stime della Commissione si sono attestate su un punteggio medio di – 0,3%.

Riguardo le ripercussioni politiche, bisogna richiamare l’attenzione sugli indicatori di finanza pubblica, riassunti nella tabella 2.

Come detto, il saldo strutturale si ottiene depurando il saldo corrente dalle “misure una tantum” e dalla “componente ciclica”, che è il risultato del prodotto tra elasticità del bilancio al ciclo economico (stimata in egual misura dalle due Organizzazioni Internazionali) e output gap. Come precedentemente detto, nonostante l’ uguaglianza nella misurazione, le due stime  risultano divergenti: secondo le stime contenute nel Documento di Economia e Finanza (DEF), è previsto il persistere del deficit del saldo strutturale anche per il 2017, mentre secondo quelle  dell’OCSE, si registra un leggero surplus già dal 2014.

Per capire quali siano le conseguenze derivanti da  risultati così diversi, esaminiamo i dati della tabella 3, all’interno della quale sono riassunti i  principali punti della comunicazione redatti dalla Commissione “Making best use of the flexibility within the existing rules of the Stability and Growth Pact”.

Se si prendono in considerazione i dati del 2015 secondo le stime del DEF, che misurano un output gap pari a – 3,8%, l’Italia si sarebbe dovuta trovare in una fase congiunturale molto sfavorevole: tale situazione avrebbe dovuto comportare l’obbligo di un aggiustamento del saldo strutturale di un importo pari allo 0,25%. Invece, poiché l’OCSE dà più peso all’ampiezza delle oscillazioni economiche, le sue stime hanno registrato un output gap di –5,8 punti percentuali, il quale fa slittare l’Italia in una fase eccezionalmente sfavorevole, nella quale non viene richiesta nessuna misura di aggiustamento. Tradotto nel linguaggio comune, ciò significa un maggiore beneficio per le famiglie in termini di reddito disponibile  e una maggiore spinta al mantenimento della propensione ad investire.

Dunque, lo studio di tale problematiche risulta fondamentale in quanto la differenza tra i due output gap può determinare la richiesta o meno di un aggiustamento del saldo strutturale. In genere, ciò significa  tagliare la spesa pubblica ed aumentare le tassazioni, come prescrive il rigido clima di austerity che si percepisce nell’Eurozona. Soluzioni che potrebbero derivare da una sottostima della componente ciclica sarebbero in grado di generare effetti ben più dannosi del problema che si propongono di risolvere, avendo conseguenze irreparabili sull’assetto socio-economico del paese di riferimento, come ci insegnano Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia.

In conclusione, un altro aspetto da non sottovalutare è la questione riguardante i limiti derivanti da uno schema di regole così rigido . In primo luogo, nelle misurazioni dei diversi paesi non viene presa in considerazione la rispettiva struttura sociale ed economica. Ciò comporta che misure potenzialmente benefiche per alcuni paesi potrebbero avere effetti nulli o addirittura controproducenti per altri. In secondo luogo, come precedentemente visto, le stime si basano su ipotesi figlie della sovrastruttura teorica di riferimento: soluzioni proposte in base all’osservanza di tali modelli possono scontrarsi con la realtà dei fatti, rischiando di generare effetti collaterali non trascurabili.

 

Fonti e Approfondimenti:

L’Output Gap non è uno solo. Le stime della Commissione Europea e quelle dell’OCSE

M. Fioramanti, F. Padrini, C. Pollastri “La stima del Pil potenziale e doll’ output gap: analisi di alcune criticità”. Gennaio 2015

http://ec.europa.eu/index_it.htm

https://www.oecd.org/

Orsola Costantini “Politics By Other Means: Fiscal and Monetary Authority in the European Union”, 2016

 

 

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