Le risorse africane: i diamanti sporchi del Continente nero

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

L’Africa vanta la maggiore produzione di diamanti industriali del mondo dal 1870. I maggiori estrattori sono la Repubblica Democratica del Congo e il Sudafrica, ma sono presenti miniere di diamanti anche in Angola, in Sierra Leone e in Liberia. Per gli africani, però, le risorse sono spesso causa di guerre, conflitti e rivolte.

I diamanti industriali sono quelli che, non essendo adatti alla produzione di gioielli, vengono utilizzati per la realizzazione di utensili da taglio o come conduttori e rappresentano circa l’80% del totale estratto. Una parte di questi finiscono ad avere una particolare importanza dato il loro utilizzo come mezzo di investimento: i diamanti che non vengono utilizzati per la produzione di gioielli o altri oggetti vengono infatti definiti diamanti finanziari.

Se i diamanti vengono estratti in zone di guerra per essere poi venduti in modo clandestino sono chiamati diamanti insanguinati (blood diamonds), e i ricavi vanno a finanziare gruppi insurrezionali o signori della guerra, personaggi che detengono il controllo di un territorio attraverso la costrizione con mezzi militari e che esistono generalmente dove l’apparato politico e di controllo è scarso o assente.

L’africa è un’immensa miniera di diamanti e vi si trovano alcuni dei più grandi centri estrattivi del mondo: quello di Catoca, in Angola, per esempio, o quello di Venetia, in Sudafrica o ancora quelli di Jwaneng e Orapa in Botswana. La classifica delle più produttive cambia abbastanza frequentemente, in quanto la vita di una miniera di diamanti non supera quasi mai i venti anni.

Il sistema di commercio dei diamanti funziona in modo particolare, attraverso l’utilizzo di strategie di marketing che permettono di mantenerne sempre alto il prezzo: dopo l’estrazione del materiale grezzo, questo viene lavorato in stati diversi da quello di provenienza, per poi essere spedito di nuovo verso altri Paesi in cui avviene il controllo; a questo punto le grandi compagnie possono iniziare la vendita sul mercato internazionale.

Le compagnie che si occupano della produzione di diamanti commerciali, la De Beers in particolare, hanno delle grandi riserve di diamanti, che vengono messe in vendita solo quando il prezzo del materiale è sufficientemente alto, così da impedire ondate di prezzi a ribasso: quando la domanda sale è possibile l’acquisto e appena il mercato è soddisfatto e la domanda scende, le riserve vengono nuovamente bloccate nell’attesa di un nuovo boom di richieste.

La De Beers, fondata nel 1888 e di proprietà della famiglia Oppenheimer, è il più grande gruppo industriale a occuparsi di estrazione, esportazione e commercio di diamanti. La compagnia opera in numerosi stati, la maggior parte dei quali africani, e ha potuto vantare di un sistema di monopolio per quasi tutto il ‘900.

Solo nel 2000, quando le Nazioni Unite spinsero per l’introduzione di sistemi di regolamentazione della provenienza dei diamanti, la società dovette limitare le sue vendite per evitare il rischio di “perdere la faccia” commerciando diamanti sporchi. Finito il periodo di monopolio altre compagnie hanno iniziato ad occuparsi di diamanti, una delle più importanti è la Lazar Kaplan.

Le guerre dei diamanti

Il problema del traffico di diamanti è divenuto oggetto di discussione internazionale negli anni ’90, quando in Africa le guerre civili erano numerose.

Angola

Le Nazioni Unite si sono operate nel 1998 per introdurre delle sanzioni all’Angola, a seguito della produzione di varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza volte a migliorare la situazione nel Paese che hanno posto un embargo su tutti i diamanti provenienti dai territori dello Stato.

In particolare l’attenzione delle Nazioni Unite era rivolta verso UNITA, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola. Fondata nel 1966, aveva combattuto contro la dominazione portoghese in Angola insieme ad altri gruppi indipendentisti, come il MPLA, il Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola. L’obiettivo dell’indipendenza fu raggiunto nel 1975, ma questo non eliminò le tensioni interne al Paese che si tramutarono in guerra civile.

I due gruppi che avevano combattuto insieme per l’indipendenza, ora erano nemici: il leader del MPLA, Agostinho Neto, era diventato il primo presidente dell’Angola libero e, appoggiato e armato dall’Unione Sovietica e da Cuba, il suo gruppo era riuscito a sconfiggere UNITA. Questa però, grazie all’aiuto del Sudafrica e il successivo appoggio americano, si era ripresa e aveva costituito un nuovo governo a Huambo.

La guerra andò avanti per molti anni, con poche tregue, finché nel 1994, il Protocollo di Lusaka, firmato in Zambia il 31 ottobre tra il governo MPLA e UNITA, impose il cessate il fuoco e la smobilitazione delle due forze. In realtà il protocollo non fu sufficiente a fermare il conflitto: UNITA continuava a rifornirsi di armamenti acquistandoli all’estero o attraverso il commercio illegale, come fu dimostrato dalla Terza Missione di Verifica delle Nazioni Unite in Angola. Il governo definì la firma dell’accordo “un errore” e le violazioni dei diritti umani continuarono. Per questo, nel 1998, quando le ostilità erano di nuovo accese, il problema angolano venne affrontato con insistenza dalle Nazioni Unite.

UNITA era in grado di rifornirsi di armi contando soprattutto sul commercio illegale di diamanti, e si provvide con il già citato embargo sul commercio di essi, ma nemmeno questo fu sufficiente, visto che il Flower Report denunciò che Svariati stati occidentali e africani, UNITA e il governo angolano, stavano violando il Protocollo di Lusaka.

Alla fine il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, attraverso la risoluzione 1237, diede il compito allo stesso Flower di investigare su rapporto tra UNITA e il commercio illegale di diamanti: ne risultò che, attraverso soggetti che facevano da tramite, il gruppo insurrezionale aveva contatti con i governi di altri Stati africani come lo Zaire (oggi DRC), e la De Beers, la quale aveva ottenuto nel 1991 un permesso per occuparsi dell’esportazione dei diamanti angolani e in cambio riforniva UNITA dei denaro e armi provenienti dall’Europa. Il conflitto si concluse nel 2002, quando, dopo la morte del leader Jonas Savimbi (ucciso dalle forze governative) UNITA venne trasformata in un gruppo politico pacifico.

 

Sierra Leone

Lo stesso problema è stato riscontrato in Sierra Leone durante la guerra civile protrattasi tra il 1991 e il 2002, come mostra il film Blood Diamonds, e le dinamiche riguardanti lo scambio illegale di diamanti risultano estremamente simili a quelle di UNITA.

Anche in questo caso, dopo l’indipendenza del Paese dall’Inghilterra, il nuovo apparato politico si dimostrò debole e incapace di fornire gli elementi necessari al benessere e alla crescita economica e sociale della popolazione, cosicché, quando nel 1991 la guerra civile esplose, molti giovani insoddisfatti avevano già trovato comprensione nel RUF, il Fronte Rivoluzionario Unito.

Nel caso della Sierra Leone l’estrazione e il traffico illegale di diamanti possono essere facilmente descritti come causa, incentivo e fattore prolungante della guerra civile. La presenza di una risorsa così di valore venne colta dalle classi dirigenti come un metodo di arricchimento personale, prima attraverso la joint venture tra la Corporazione Nazionale delle Miniere di Diamanti e, di nuovo, la De Beers, poi con la compravendita privata di diamanti insanguinati.

Ma soprattutto i diamanti furono la maggiore fonte di sostentamento dei gruppo RUF: la grande disponibilità di miniere alluvionali permise ai ribelli di utilizzare gli uomini forti scelti tra la popolazione civile come minatori, dopo aver sterminato i loro villaggi, per recuperare diamanti e farli arrivare attraverso dei tramiti ai grandi gruppi di vendita dei Paesi occidentali, esportandoli passando per le vicine Guinea o Liberia, essendo stata vietata l’esportazione di diamanti provenienti dalla Sierra Leone.

Si è riscontrato che l’utilizzo dell’embargo e degli stretti controlli, soprattutto aerei, per impedire lo scambio illecito ha in parte funzionato, avendo permesso alla Sierra Leone di aumentare i proventi statali del commercio di diamanti. In concomitanza con esso è però continuato un commercio illecito facilitato dall’impossibilità, spesso riscontrata, di definire in modo appropriato la provenienza del minerale grezzo.

 

Liberia

La Liberia è stata scossa da due guerre civili, la prima tra il 1989 e il 1997 e la seconda, subito dopo, tra il 1999 e il 2003. Le due fazioni interessate erano quelle dell’ex ministro Charles Taylor – tornato dalla Costa d’Avorio per rovesciare il governo Samuel Doe – e quella di Doe, insediatosi anch’esso a seguito di un colpo di stato. Entrambe le parti in lotta sapevano che l’unico modo per riuscire ad avere le risorse necessarie ad acquisire il potere era la conquista dei territori diamantiferi. In particolare, dopo la cattura e l’uccisione di Doe da parte di Prince Johnson, un ex soldato collaboratore di Taylor, i sui seguaci formarono l’ULIMO, il Movimento di Liberazione della Liberia per la Democrazia, che riuscì a conquistare le zone di Lofa e Bomi, ricche di giacimenti di diamanti.

La situazione sembrò distendersi nel 1997, quando si tennero le elezioni e Taylor fu eletto presidente in modo legittimo. Subito dopo il suo insediamento gli furono però rivolte pesanti accuse: era venuto alla luce che egli aveva aiutato il RUF in Sierra Leone e in particolare il suo illecito commercio di diamanti (mentre il governo legittimo della Sierra Leone era aiutato militarmente dall’ULIMO) e che anche lui fosse immischiato in tale traffico per il finanziamento dei propri gruppi militari così come per il suo arricchimento personale. Per questo gli scontri non si placarono e l’erede dell’ULIMO, il LURD riprese a combattere, sapendo che il governo Taylor sarebbe stato destabilizzato con la conquista del controllo delle miniere di diamanti: fu l’inizio della seconda guerra civile che si concluse sono quando, nel 2003, le Nazioni Unite intervennero per fermare il sanguinoso assedio operato a Monrovia da parte dei ribelli.

 

Le risoluzioni

Nel bel mezzo del periodo delle guerre civili africane, come strumento  utile a determinarne la fine, strangolando le fonti di rifornimento dei gruppi ribelli, nel 2000 fu promosso il Kimberley Process (KPCS): un accordo per la certificazione dei diamanti che permette di conoscerne la provenienza evitando il commercio dei cosiddetti diamanti insanguinati. L’accordo è stato raggiunto grazie alla collaborazione di governi e multinazionali. Questo fu accompagnato dalla creazione del Consiglio Mondiale dei Diamanti, con sede ad Anversa e anch’esso in linea con gli obiettivi della conferenza di Kimberley.

Con la firma di un accordo a Interlaken e l’introduzione di un sistema condiviso di controllo e certificazione della provenienza dei diamanti grezzi, si prevede l’impossibilità di esportazione di diamanti il cui acquisto può aver finanziato gruppi che si scontrano con i governi riconosciuti dalle Nazioni Unite, si introducono una certificazione di provenienza di ogni diamante e il divieto di importazione da o di esportazione verso un Paese che non prende parte al processo Kimberley. Sono denominati “conflict-free” i diamanti che seguono tale regolamentazione.

L’attività del Kimberley Process è iniziata già nel 2004 quando la Repubblica Democratica del Congo è stata sanzionata con la risoluzione 1533 del Consiglio di Sicurezza, la quale riporta che, vista la situazione poco stabile della Repubblica e preso atto della presenza di gruppi insurrezionali in alcune zone del Paese, le Nazioni Unite si adopereranno per provvedere all’effettiva attuazione dell’embargo posto l’anno precedente sulle merci di dubbia provenienza.

 

La maledizione delle risorse

Il filosofo politico Leif Wenar, nel suo libro Blood Oil: Tyrants, Violence, and the Rules that Run the World, riprende il concetto di “maledizione delle risorse”, secondo il quale nei Paesi in cui la presenza di risorse naturali è alta lo è anche la possibilità che si scateni un conflitto e che la ricchezza che potrebbe derivare dalla presenza di risorse, non contribuisca alla crescita economica. 

E’ esattamente ciò che avviene nel continente africano: molto spesso, dietro quelle che vengono definite guerre etniche o religiose o guerre per il potere, ci sono interessi particolari, economici e di sfruttamento del territorio che si insinuano tra le cause dei conflitti, ne influenzano l’intensità e la durata e ne impediscono la conclusione finché le varie fasi di estrazione, lavorazione e commercio della risorsa contesa non vengono regolate da specifici sitemi, nazionali e internazionali, coadiuvati da apparati di controllo. E anche questo, a volte, non è sufficiente.

 

Fonti e Approfondimenti

https://www.kimberleyprocess.com/en

http://www.un.org/en/ga/62/plenary/diamonds/bkg.shtml

https://www.globalpolicy.org/the-dark-side-of-natural-resources-st/diamonds-in-conflict/un-documents.html

http://www.corriere.it/speciali/diamanti/alberizzi.html

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-11-18/la-maledizione-risorse-164440.shtml?uuid=AD7GxSwB&refresh_ce=1

http://www.crisis.acleddata.com/resource-related-conflict-in-africa/

Leave a comment

Your email address will not be published.


*