A poco più di un anno dalle ultime elezione presidenziali americane, cosa avreste pensato se vi avessero detto che uno degli stati simbolo del partito vincente sarebbe diventato un possibile simbolo di rinascita del partito sconfitto? Molto complicato. Eppure, molto complicato, non significa impossibile.
Già, perché lo scorso 12 Dicembre, alle elezioni per il senato, il Partito Democratico, sul piano politico, ha ottenuto una grande vittoria. Specialmente, se lo stato in cui si è votato si chiama Alabama. Quella stessa Alabama, tipicamente rurale e conservatrice, e storicamente vero e proprio feudo rosso del Partito Repubblicano, dove da ben 25 anni i repubblicani vincevano ininterrottamente ad ogni tornata elettorale. Ma soprattutto lo stato in cui Donald Trump aveva riportato una vittoria schiacciante sulla sua avversaria nella corsa alla presidenza Hillary Clinton. La posta in gioco era molto alta e il fatto che a spuntarla sia stato il Partito Democratico, lascia grandi spiragli a interpretazioni e analisi.
I candidati
Nei due schieramenti rivali, si presentavano come candidati al senato il democratico Doug Jones e il repubblicano Roy Moore. Proprio quest’ultimo candidato è stato al centro, nel periodo precedente alle elezioni, di un forte dibattito pubblico.
Dopo aver sconfitto alle primarie un candidato concorrente dell’establishment anch’esso conservatore e apprezzato dal presidente Trump, Roy Moore è finito nell’occhio del ciclone a causa di accuse di molestie sessuali nei confronti di alcune teenager quando aveva all’incirca trent’anni.
La vicenda è diventata nota dopo un’inchiesta portata avanti dalle giornaliste Stephanie McCrummen, Beth Reinhard e Alice Crites del Washington Post, e nel frattempo altre accuse sono arrivate da altri giornali, portando a 9 il numero delle donne, a loro detta, molestate dall’aspirante senatore.
Moore, già personalità controversa a causa delle sue posizioni omofobe (impose ai giudici dell’Alabama di negare le richieste di matrimonio alle coppie omosessuali nonostante il favore dei tribunali federali) e contro l’immigrazione (sostenitore del RAISE Act, provvedimento legislativo che prevede l’abbassamento del numero di carte verdi rilasciate e tagli drastici ai ricongiungimenti familiari), ha quindi perso anche l’appoggio di un pezzo da novanta del Partito Repubblicano e già senatore dello stato Richard Shelby. Il conservatore, oggi ottantatreenne, ritenendo insostenibile la candidatura del suo “alleato”, ha invitato i suoi concittadini a non votare per lui.
Tutto questo ha sicuramente giovato alla campagna elettorale del dirimpettaio democratico Doug Jones, il quale, in tutto questo, ha rappresentato anche la figura di un candidato forte a differenza del suo avversario repubblicano.
Nei panni di procuratore, ha fatto dei diritti civili e delle battaglie contro ogni forma di odio razziale un vero e proprio cavallo di battaglia, elevandosi a una sorta di eroe dei diritti civili in Alabama. Jones ha infatti perseguito penalmente, ad esempio, due membri del Ku Klux Klan per un attentato avvenuto nel 1963, nel quali quattro giovani adolescenti afroamericane avevano perso la vita, riuscendo a farli condannare all’ergastolo. Forte è stato l’appoggio alle elezioni della comunità afroamericana dell’Alabama: si stima infatti che circa il 96% degli elettori di colore abbiano votato per il candidato democratico.
I risultati
Il candidato DEM si è quindi affermato con il 49,9 % dei voti contro il 48,4% del candidato del GOP. Nel 2016 Trump conquistò tutti i Grandi Elettori dell’Alabama con un sonante 62,1%, contro il 34,4% ottenuto da Hillary Clinton.
Per Jones hanno votato 671.151 cittadini aventi diritto di voto, mentre per Moore 650.436, con la forte discriminante di ben 22.819 elettori repubblicani che si sono presentati ai seggi solo per scrivere il nome di un altro candidato “non previsto” (come fatto da Richard Shelby).
Tale dissenso lascia sicuramente riflettere. Le crepe interne al Partito Repubblicano sembrano portare ai primi crolli, manifestati da una parte dell’elettorato nei confronti di Moore.
I vertici del GOP si erano allontanati da Moore, dopo le varie accuse rivolte all’oggi settant’enne. Il capo della maggioranza al senato Mith McConnell, gli aveva intimato di abbandonare la corsa e il partito stesso aveva bloccato i fondi per la campagna. Moore non ha tuttavia mai mollato respingendo le accuse, e alla fine il presidente Trump si è schierato con lui, dicendo che l’elezione di Jones sarebbe stata un disastro.
L’importanza dei numeri
Dal punto di vista politico, quindi, l’appoggio di Trump al candidato repubblicano è stato solo un obbligo dato da un mero calcolo matematico. Precedentemente all’elezione, al Senato americano, infatti, il partito del tycoon di New York contava una maggioranza di 52 voti a 48 nei confronti del Partito Democratico.
Con una così ristretta superiorità la situazione era già molto complessa, in quanto avere i numeri per far approvare qualsiasi cosa in relativa scioltezza era già risultato essere davvero complicato (vedi i falliti tentativi di abolire la riforma sanitaria di Obama). La riforma fiscale è infatti per ora l’unico provvedimento di una certa importanza riuscito a far approvare da Trump (riforma fiscale passata al congresso con 224 voti a favore e 201 contrari).
Con la sconfitta di Moore in Alabama, il divario in senato si riduce ora a 51 a 49. Tale risultato va inoltre a sommarsi alle altre vittorie ottenute in Virginia e in New Jersey dai democratici, con le elezioni a governatori di Ralph Northam e Phil Murphy a discapito dei loro contendenti repubblicani.
Questi risultati, appaiono perciò importanti per i DEM in quanto lasciano sperare (e intravedere) un ribaltone alle elezioni di metà mandato che si svolgeranno nel Novembre 2018. Elezioni in cui il Red Party si troverà a difendere lo status quo che li vede controllare il congresso in stati molto più ostili dell’Alabama. In quella sede Trump potrebbe perdere la maggioranza al senato e forse anche alla camera.
La situazione risulta quindi essere indubbiamente ingarbugliata con la possibilità, da parte dei democratici, di poter riuscire a rendere ancora più salda la loro opposizione all’attuale governo e a gettare le basi verso le prossime presidenziali.
Fonti e approfondimenti