Di Alberto Guidi
Italia e Stati Uniti sono reciprocamente legati da una profonda relazione geo-politica, commerciale e culturale. Nell’ultimo periodo tale legame è stato però scosso da due importanti evoluzioni dello scenario globale: la progressiva espansione cinese tramite la Belt and Road Initiative (BRI) e la ripresa della guerra commerciale Stati Uniti – Unione Europea.
A fine marzo l’Italia ha infatti aderito alla BRI firmando un discusso Memorandum of Understanding con la Cina. Già 13 Paesi europei erano precedentemente entrati a far parte dell’iniziativa, ma la firma dell’Italia, membro del G7 e terza economia d’Europa, ha avuto un peso specifico certamente diverso, segnalando come la Cina stia sempre più ampliando la propria influenza commerciale – e non – verso il cuore dell’Unione Europea. Inevitabile era quindi una reazione da parte degli Stati Uniti, che hanno denunciato con decisione il rischio di un’intesa con Pechino.
A tutto questo va sommato l’annuncio di pochi giorni fa da parte di Donald Trump di nuovi dazi su prodotti europei per un valore di 11 miliardi di dollari. Quattordici pagine di prodotti da colpire sono state quindi pubblicate da Washington, e in esse molte delle eccellenze italiane sono implicitamente citate. Rispetto a quanto avvenuto coi precedenti dazi su acciaio e alluminio, l’impatto sull’economia italiana potrebbe quindi essere rilevante.
Alla luce di questi eventi recenti, cerchiamo di capire meglio il loro possibile impatto sulla collaborazione politica e commerciale Italia-Usa e in cosa consiste esattamente al giorno d’oggi questo rapporto.
Il rapporto geo-politico tra passato e futuro
Fin dal viaggio negli Usa di Alcide De Gasperi nel 1947, ai tempi presidente del Consiglio, che tornò in Italia con un prestito di 100 milioni concessogli dalla presidenza Truman, il legame Italia-Stati Uniti è stato contraddistinto da un sano pragmatismo. In virtù della protezione offerta dagli Stati Uniti al nostro Paese e data la posizione chiave italiana nel bacino del Mediterraneo, i rapporti sono sempre stati particolarmente stretti, tanto che nel territorio italiano sono ospitate numerose forze armate statunitensi presso la caserma Ederle a Vicenza e Camp Darby a Livorno, la base aerea di Aviano, di Sigonella, e a Napoli-Capodichino.
Non deve quindi sorprendere come l’Italia sia stata seconda in Europa per contributo militare in Iraq e Afghanistan o come sia stato il primo Paese europeo visitato dal presidente Trump.
L’incontro a fine luglio tra Donald Trump e Giuseppe Conte ha poi rilanciato le storiche relazioni bilaterali tra i due Paesi nell’ambito di un nuovo dialogo strategico. Al centro dell’agenda quattro punti cardine:
- sviluppo e investimento in azioni congiunte e multilaterali per migliorare la sicurezza e la cooperazione nel campo della difesa nella regione del Mediterraneo;
- rafforzamento del contrasto alle minacce terroristiche nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti;
- sostegno a una Libia stabile e unita;
- miglioramento della sicurezza e della diversificazione energetica in Europa.
Roma, da sempre principale alleato politico europeo degli Stati Uniti, dovrebbe così fungere da cabina di regia con Bruxelles e con l’area del Mediterraneo allargato, comprensiva del Golfo Persico e delle regioni limitrofe.
Le collaborazioni con Pechino a margine della visita di Xi Jinping in Italia hanno però messo in dubbio l’affidabilità del partner italiano agli occhi degli USA. L’ambasciatore americano a Roma, Lewis M. Eisemberg ha personalmente sottolineato i rischi di una condivisione di informazioni sensibili con Paesi che adottano tecnologie cinesi. L’Italia, di fronte alle pressioni incrociate americane ed europee, aveva già fatto una parziale marcia indietro rispetto alle prime bozze circolate su alcuni punti considerati di natura strategica, come le infrastrutture 5G. Di Maio si è poi recato alla Casa Bianca, dove nel corso di un incontro con John Bolton, Consigliere per la Sicurezza di Donald Trump, ha ribadito la vicinanza italiana agli Usa. Resta però da verificare quali e di quali dimensioni saranno le conseguenze a lungo termine per quanto concerne l’interoperabilità e il rapporto di fiducia tra i due Paesi.
Le relazioni commerciali
Gli Stati Uniti sono il terzo mercato di sbocco per le esportazioni italiane (9,2% del totale delle esportazioni italiane), e in settima posizione tra i mercati di approvvigionamento per l’Italia (3,8%). Nel 2018, le esportazioni di beni da Roma a Washington sono ammontate a 42,4 miliardi di dollari (+57% rispetto al 2013), oltre il doppio dell’import pari a 15,9 miliardi di dollari (+38% rispetto al 2013), definendo così un disavanzo commerciale nettamente favorevole al nostro Paese.
Il principale settore di esportazione per l’Italia verso gli Stati Uniti è rappresentato dagli autoveicoli – 4,4 miliardi di euro nel 2018 – seguiti dai 3,4 miliardi di euro di prodotti farmaceutici e 2,2 miliardi di macchine per impieghi speciali. Ad arrivare in Italia sono soprattutto prodotti farmaceutici, aeromobili, macchinari, metalli preziosi e greggio.
Data questa composizione degli scambi commerciali bilaterali, i dazi su alluminio e acciaio (0,2% delle esportazioni totali italiane di beni) sono stati quasi innocui per il Bel Paese. Lo stesso non può dirsi dei nuovi dazi su pesce, burro, formaggi, olio di oliva, marmellate, vini, liquori prodotti in uno qualsiasi dei 28 Paesi membri dell’Unione europea. Gli Stati Uniti rappresentano infatti il principale mercato di sbocco del vino Made in Italy (24% del totale delle esportazioni vinicole) con un valore di 1,5 miliardi. Le esportazioni di olio di oliva nel 2018 sono state pari a 436 milioni mentre quelle di formaggi italiani sono valse 273 milioni. In particolare, l’Italia è il primo Paese del mondo per export caseario verso gli Usa, con più di 30mila tonnellate di formaggi, circa un terzo dell’export nazionale extra Ue.
Considerando poi che le esportazioni sono una componente cruciale della domanda aggregata in Italia, nel lungo periodo si potrebbe verificare un possibile effetto negativo, dovuto anche allo scoraggiamento verso l’internazionalizzazione di molte imprese nostrane. Ulteriori preoccupazioni derivano poi dalla possibilità di dazi sul settore automobilistico europeo, per ora solo minacciati, ma che avrebbero conseguenze gravissime dato il peso che ricoprono gli autoveicoli nel paniere di esportazioni dall’Italia verso gli Stati Uniti.
I fattori del cambiamento
Il più incerto rapporto Italia-Stati Uniti deve essere letto, però, anche rispetto al cambiamento dell’intero sistema di rapporti che sta avvenendo a livello globale. L’ordine mondiale introdotto dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale è messo in dubbio dagli stessi nei suoi pilastri, ovvero quelle organizzazioni internazionali quali Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale del Commercio e NATO. La linea dettata da Trump in questo senso è netta, con continui attacchi per mezzo stampa – o per meglio dire, tramite Twitter – all’efficacia di questi organi. Dal punto di vista commerciale l’inversione rispetto all’amministrazione Obama è totale con lo stallo su tutti gli accordi commerciali multilaterali quali TPP, TTIP e NAFTA, e il blocco dell’elezione dei giudici per il meccanismo di risoluzione delle controversie dell’OMC.
Si tratta di una strategia aggressiva, studiata sia per ribadire la necessità di modernizzare le istituzioni mondiali sia per contrastare l’espansionismo cinese, con metodi che però non trovano sostegno dalle parti di Bruxelles. L’Unione Europea si erge infatti a paladina dell’attuale sistema multilaterale cercando un consenso diffuso per promuovere cambiamenti condivisi – come dimostrato dall’accordo per un piano di rafforzamento dell’OMC raggiunto con Pechino in occasione del bilaterale di inizio aprile. Inevitabilmente, quindi, si sta rivelando per l’Italia sempre più difficile quella conciliazione tra l’europeismo e l’atlantismo che ha caratterizzato la nostra politica estera repubblicana.
Conclusioni
Per quanto una parte della maggioranza insista sul sovranismo nazionale, appare evidente come in questa precisa fase storica e politica l’Italia si trovi a dipendere in maniera preponderante dalle scelte e dalle strategie di Stati terzi e organizzazioni sovranazionali. Per evitare di rimanere in balia degli eventi sarà quindi importante rafforzare il più possibile le sinergie con i partner storici e con il resto dell’Europa, per concordare una posizione comune e quindi più affidabile nei confronti delle progettualità legate alla Belt and Road Initiative, ma anche nella speranza che le trattative commerciali tra l’Unione europea e gli Stati Uniti scongiurino una guerra commerciale che vada a penalizzare ulteriormente lo stato di salute precario della nostra economia.
Fonti e approfondimenti
Lucia Tajoli, “I rapporti commerciali tra Italia e Usa al tempo dei dazi”, ISPI online, 27/07/2018
Luca Salvioli, “Europa, Stati Uniti, Italia: la guerra dei dazi spiegata in 5 grafici”, Il Sole 24 ore, 09/04/2019
“Italia-Usa: storia di una partnership consolidata”, The Brockford Post, 22/04/2017
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