La politica estera di Trudeau

Il Canada a ottobre tornerà al voto dopo 5 anni di governo del primo ministro Justin Trudeau. Mentre la campagna elettorale si sta per scatenare su temi di politica interna, uno degli elementi che verrà valutato è la politica estera  costruita dal governo in questi 5 anni.

Justin Trudeau si era presentato nel 2015 con una promessa di cambiamento radicale per il Paese dopo tre mandati di premiership conservatrice di Steven Harper. Questa rivoluzione avrebbe dovuto coinvolgere anche la posizione internazionale di Ottawa, cambiando alcuni punti focali della direttrice canadese nel mondo, come dettata dai conservatori negli anni precedenti.

Le direttrici geopolitiche canadesi

La politica estera canadese ha sempre avuto delle direttrici basate sulla sua posizione geopolitica, sui suoi interessi vitali e sui valori fondanti del Paese. Il Canada ha dovuto gestire il gigante al suo confine meridionale: gli Stati Uniti. La vicinanza con Washington è uno dei fattori geopolitici centrali per ogni primo ministro canadese. Proprio per questo Ottawa vive rispetto agli Stati Uniti una sorta di relazione flessibile in un costante rapporto tra dipendenza e indipendenza.

I due Paesi sono legati da rapporti inscindibili. Sicuramente dal punto di vista delle politiche di sicurezza a partire dalla NATO e dal NORAD, che dopo l’11 settembre si è di fatto trasformato da un trattato di difesa per lo spazio aereo in un accordo che copre ogni aspetto della sicurezza. Lo stesso rapporto si può notare per le due economie, unite dal NAFTA prima e dal USMCA adesso, per i piani infrastrutturali, energetici e per moltissimi settori critici dei due Paesi.

Il rapporto con gli USA è dunque un fattore geopolitico fondamentale. Al fianco di questo, come abbiamo già detto, vi sono gli interessi vitali del Canada come il mercato degli idrocarburi, primo bene del paniere dell’export canadese, e la questione Artica con tutto quello che ne consegue.

A questi tre fattori geopolitici centrali si deve affiancare una tradizione liberale internazionale del Paese che si basa su pilastri come il rispetto dei diritti umani e il ruolo delle Organizzazioni Internazionali.

La rivoluzione Trudeau

Harper ha cercato durante i suoi tre mandati di evitare protagonismi sulla scena globale, rispettando e curando questi punti focali, partecipando ad esempio alle missioni in Iraq e Afghanistan, ma senza far diventare il Canada uno dei protagonisti sul panorama internazionale. Al contrario, il primo ministro Justin Trudeau aveva promesso, nel suo programma Real Change Now, uno status da protagonista per il Paese dietro la bandiera del progressismo liberale internazionale.

 

Il nuovo primo ministro proponeva una linea molto chiara nei confronti degli Stati Uniti: un rapporto molto più stretto con l’allora coinquilino della Casa Bianca Barack Obama, non più in una posizione laterale, ma nel ruolo di partner pro-attivo. Il fatto di voler avere un ruolo nuovo sottintendeva anche una maggiore indipendenza dagli USA, espressa già nel primo incontro alla Casa Bianca con il presidente Obama, con il quale il primo ministro aveva parlato di alcune modifiche nel NORAD e della disponibilità canadese a prendersi nuove responsabilità sul piano internazionale, per esempio sul tema dei migranti.

Rispetto ai cosiddetti interessi vitali, idrocarburi e Artico, la rivoluzione di Trudeau era meno marcata. Il tema della lotta al cambiamento climatico è centrale nella nuova politica estera dei liberali canadesi, ma non vi era un’immediata volontà di limitare l’estrazione di idrocarburi. La stessa cautela era mantenuta sulla posizione da mantenere nell’Artico, condivisa da Obama. In questa visione, i territori in questione erano affare canadese, mentre gli Stati Uniti dovevano aiutare nella lotta ai cambiamenti climatici e nel limitare le influenze di Paesi terzi, come Russia e Cina.

Il progressismo liberale era la vera bandiera di politica estera di Trudeau che si manifestava concretamente nell’apertura del Canada all’arrivo di rifugiati dai teatri di guerra mediorientali, l’impegno nel promuovere il libero scambio, l’interesse primario verso il tema dei diritti umani, il grande impegno nelle organizzazioni internazionali, anche con il supporto a diverse missioni di peace-keeping come quella in Mali.

Dalle prospettive alla realtà

Queste erano le prospettive geopolitiche del nuovo progetto di politica estera di Trudeau, ma nel frattempo vari fattori nuovi si sono inseriti nel contesto. Il primo colpo all’architettura dello scenario del primo ministro liberale è arrivato nel 2016 con l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump.

Il nuovo inquilino della Casa Bianca, proprio in base a quel rapporto bilaterale così saldo tra Canada e USA, ha travolto la politica estera di Ottawa, facendone cambiare drasticamente le priorità. La volontà di Trump di rimettere mano al NAFTA, cosa che Trudeau non avrebbe mai voluto fare, ha spostato molte forze del governo canadese dall’implementazione di nuovi programmi di libero scambio, come il CETA, ai negoziati con USA e Messico. Questi si sono inoltre dimostrati molto più duri di qualsiasi aspettativa: Trudeau ha dovuto accettare quasi tutte le condizioni di una Casa Bianca poco interessata a mantenere buoni rapporti di vicinato, sotto la minaccia di una firma bilaterale statunitense con il solo Messico, che escludesse le imprese canadesi dal mercato americano.

Il NAFTA è stato solo il più eclatante dei casi, ma la politica estera di Trump nei confronti del vicino settentrionale è stata aggressiva su vari aspetti. Sono stati messi in discussione accordi storici firmati tra i due Paesi come l’ Artic Water Coopertaion Agreement del 1988 e gli accordi informali sulla pesca nelle acque del Maine che esistevano da quasi un secolo.

 

Trudeau davanti a un vicino così prepotente ha cambiato la propria direzione politica cercando di avvicinarsi anche ad altri centri geopolitici. Il CETA è il simbolo del tentativo di stringere rapporti molto più forti con l’Unione Europea, che si è però rivelata un partner non abbastanza solido per creare un’alleanza geopolitica. Questa vicinanza con l’Europa si è vista anche all’ultimo G20 dove Trudeau ha passato la maggior parte del tempo in bilaterali con Paesi europei.

Altri tentativi sono stati fatti con la Cina e con l’India, ma ambedue hanno portato più danni di immagine e rischi che vantaggi. Il rapporto con la Cina si è deteriorato con grande velocità dopo il caso Huawei e l’arresto dell’amministratrice delegata della compagnia proprio in Canada, a seguito di un mandato di cattura americano. Questo caos ha costretto sulla difensiva il primo ministro in patria. I conservatori di Scheer infatti hanno accusato Trudeau di essere stato debole nella vicenda non curando gli interessi canadesi e nordamericani, mentre da sinistra gli sono arrivate critiche dure per essere stato troppo debole verso gli USA.

La stessa cosa si può dire rispetto all’India durante il viaggio del primo ministro a Nuova Delhi, in cui Trudeau è sembrato un burattino nelle mani di Modhi. Questi, infatti, attraverso strane danze e rituali, ha usato il leader dei liberali canadesi per dimostrare al mondo come l’India possa tenere in pugno il primo ministro di un Paese occidentale, senza poi concedergli niente dal punto di vista economico.

Sui cosiddetti interessi vitali del Paese, Trudeau ha vissuto fasi alterne. Dopo la prima grande spinta su questi temi, gli interessi economici nell’Artico e il mercato degli idrocarburi, rappresentato anche dai rapporti che Trudeau ha dovuto mantenere con le monarchie del Golfo, hanno iniziato a cozzare prepotentemente con le istanze ambientali e della difesa dei diritti umani che erano bandiere centrali nel programma elettorale del primo ministro. Quando queste contraddizioni si sono presentate, la strategia è cambiata e quelle che erano parti principali del programma sono diventate solo prospettive a lungo termine.

La valutazione


La politica estera di Trudeau a 5 anni dalle sue elezioni ha mostrato molti più limiti che successi. La grande rivoluzione promessa dal leader liberale non sembra essere riuscita. Il risultato più grande  ottenuto dal primo ministro sembra più che altro personale, essendo lui diventato in qualche modo un’icona dei valori liberali nella cultura pop globale.

L’elezione di Trump e un quadro di politica internazionale profondamente complesso hanno inficiato molto le prospettive di successo di Trudeau, ma allo stesso tempo sono venute a galla anche le contraddizioni che vi erano all’interno del suo nuovo innovativo progetto. Le sfide che aspettano il Canada sono molte anche se il futuro è incerto, con le elezioni americane alle porte e un andamento economico globale altalenante.

Fonti e approfondimenti

Canadian Global Affairs Institute, Colin Robertson, Positioning Canada in a Messy WorldMaggio 2019

Washington Post, Emily Rahula, Justin Trudeau’s rise to power seemed charmed. Now he faces a fight for his political life, 5 Marzo 2019

Norman Hillmer e PhilippeLagassé , Justin Trudeau and Canadian Foreign Policy, Pallgrave Macmillan, New York,  2018

 

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