Ricorda 1929: la grande crisi

Dopo la fine del primo conflitto mondiale alla fine dei cosiddetti “Roaring Twenties”, i “ruggenti anni ‘20”, il mondo sembrava ormai essere avviato verso un lungo periodo di prosperità economica e sociale. All’epoca l’economia occidentale era bene rappresentata dal capitalismo targato Stati Uniti d’America, il paese che stava vivendo il definitivo sorpasso sull’Inghilterra come prima potenza del globo. Lungo tutto quel decennio infatti gli Stati Uniti vissero un periodo di spettacolare espansione economica, diventando il paese del gotha finanziario mondiale. Dopo la fine della IWW era infatti diventato il dollaro la moneta forte dell’economia mondiale. Wall Street era ormai diventata il centro nevralgico del sogno americano e dell’”american way of life”, uno stile di vita caratterizzato dall’euforia portata dalla continua crescita e la forte propensione al consumismo. Tuttavia, tale momento, non sarebbe durato ancora per molto.

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L’euforia di quegli anni

La produzione in serie divenne un caposaldo di quegli anni, e la razionalizzazione del lavoro in fabbrica secondo i princìpi del taylorismo fece aumentare notevolmente la produttività. Gli sviluppi tecnologici fecero salire la disoccupazione fra gli operai e allo stesso tempo crebbe l’occupazione nel settore dei servizi; gli Stati Uniti in tale settore diventarono infatti, alla fine degli anni ’20, ad avere un numero di occupati nel terziario superiore a quello degli addetti all’industria. Grazie ai nuovi sistemi di vendita rateale, il consumo raggiunse tra le famiglie americane uno status di standardizzazione mai registrato prima. Esempio lampante di questa crescita dei consumi era rappresentato dall’automobile. All’inizio l’automobile era un bene per pochi e di extralusso; solo dopo, col sistema della catena di montaggio, attraverso l’intuizione di Henry Ford, venne creato un modello adatto anche al grande pubblico (la Ford T). L’automobile è l’esempio di una società in cui i consumi e il benessere crescono. Lo stesso valse per i primi elettrodomestici. Si arrivò anche ad una “febbre edilizia”: tutti volevano costruire o ristrutturare casa. In questa fase, famiglie e piccoli risparmiatori, vennero indotti a giocare in borsa, cosa che prima era riservata solo ai grandi capitalisti. Gli agenti di borsa invitavano a speculare, cioè cercare di lucrare grazie all’acquisto e la vendita ravvicinata delle azioni. Una larga parte della popolazione affidò i propri risparmi ad agenti di borsa, affinché questi giocassero in borsa per loro. Tale meccanismo fece crescere artificialmente il numero delle azioni. Nacque così una bolla speculativa con i titoli azionari delle imprese che crebbero più per effetto della speculazione che non del solo effetto di crescita economica. L’idea era che gli USA fossero su un cammino di espansione inarrestabile.

Il crollo

La situazione, diventata già piano piano incerta e condita da segnali allarmanti, precipitò improvvisamente col crollo della borsa di New York. Nel settembre del ’29 i titoli raggiunsero i livelli più elevati. Da quel momento in poi seguirono alcune settimane di incertezza, con gli speculatori maggiormente propensi a liquidare i propri pacchetti azionari. Il 24 ottobre, passato poi alla storia come il “giovedì nero”, furono scambiati 13 milioni di titoli. Arrivati al 29, le vendite arrivarono ad ammontare a ben 16 milioni. La precipitosa escalation di vendita dei titoli provocò la caduta del valore degli stessi. A metà novembre le quotazioni si erano dimezzate. Tutto questo ebbe profondi effetti a livello planetario, in quanto gli Stati Uniti come prima potenza economica globale, anziché farsi carico della stabilità del sistema finanziario internazionale, cercarono di proteggere la propria produzione inasprendo le misure protezionistiche. Ridussero inoltre, fino alla sospensione totale, l’erogazione creditizia all’estero. Fra il ’29 e il ’32, la produzione dell’oggettistica diminuì del 30% e quella delle materie prime del 26%. I prezzi scesero rapidamente e i disoccupati negli Stati Uniti raggiunsero i 14 milioni.

Le cause

La crisi del ’29 fu infatti una crisi di sovrapproduzione dovuta alla deflazione (crollo dei prezzi). Durante la IWW avvenne una grande rivoluzione sul commercio internazionale: Francia e Inghilterra, con i loro imperi coloniali, impegnate a fare la guerra, non poterono perciò alimentare il mercato internazionale dando così la possibilità a dei paesi di non primaria importanza di assumere rilevanza. Le nazioni che restarono fuori dal conflitto fornirono materie prime ai partecipanti (vedi i paesi del Sud-America) e altre merci. Questi altri paesi non abbandonarono più il mercato, e le nazioni belligeranti alla ripresa sui mercati internazionali, diedero avvio ad un fenomeno di saturazione del mercato. Il settore da cui partì fu quello dei produttori agricoli americani. Per i produttori agricoli americani, la guerra fu una ghiotta occasione per aumentare la produzione, avviando dei grandi percorsi di investimento per far produrre di più la terra. I produttori agricoli del Midwest accrebbero la produzione chiedendo prestiti alle banche locali. Queste piccole banche locali chiesero poi alle medie aiuti e prestiti per soddisfare la richiesta, e lo stesso fecero le medie nei confronti delle grandi, dando così avvio ad un effetto a catena. La chiave della crisi sta in questo. Quando le economie europee ricominciarono a produrre, i produttori americani ebbero difficoltà a smaltire la propria produzione ed i prezzi si abbassarono. L’ondata dei prezzi calanti venne percepita e analizzata erroneamente come una fase transitoria. Arrivò un punto in cui non si poterono più pagare i prestiti e la produzione divenne insostenibile, decretando la bancarotta di molte piccole imprese. Se fallisce un produttore, oppure due, tre o quattro, il problema è circoscritto, ma se una banca ne ha centinaia, il problema diventa delle banche in generale, creando una crisi del settore bancario. Molte piccole banche fallirono. Entro il ’29 erano all’incirca 24.000; in seguito ne rimasero solo un terzo. Il fallimento di migliaia di piccole banche, provoca quello di centinaia di medie e poi grandi banche, poiché per l’effetto della catena descritta sopra, si giunse al default. Il fallimento e la crisi delle banche, implicò la chiusura dei rubinetti del credito all’industria, provocando la crisi delle stesse, che si trovarono in difficoltà a causa delle adempienze da rispettare dei prestiti concessi loro. I corsi azionari delle imprese iniziarono quindi a scendere. I risparmiatori che avevano investito in borsa, vedendo una caduta delle azioni, diedero avvio alla corsa delle vendite delle stesse. La grande vendita non le rese remunerative, facendole diventare carta straccia. La crisi cominciò quindi precedentemente e lentamente secondo tale corso. La borsa era solo la punta dell’iceberg: la vera causa è da ricercare precedentemente, partendo dai produttori agricoli per arrivare alle imprese industriali.  Nel 1928, fu eletto presidente Robert Hoover, fondatore dell’omonima impresa di elettrodomestici tutt’oggi esistente. Hoover era un repubblicano che riteneva non bisognasse intervenire in campo economico. Ispirandosi a tale dottrina Hoover non fece nulla, peggiorando così la situazione. Quando nel novembre del ’32 si tennero le elezioni presidenziali venne eletto presidente Franklin Delano Roosevelt, il quale, a differenza del suo predecessore, credeva che fosse necessario un intervento del potere politico nell’ambito economico.

Il New Deal

L’espressione New Deal ha vari significati: “nuovo giro”, “nuova corsa” o anche “ridare le carte” (in una partita di poker). Quindi tale espressione serviva a dare un’idea di novità, in grado di rimettere tutto nella condizione di avere nuove opportunità. Per Roosevelt, come detto prima, era importante che lo stato non stesse a guardare con le mani in mano: lo stato doveva creare uffici che controllassero più settori. Roosevelt varò una grande campagna di opere pubbliche: nel ’34 il fiume Tennessee esondò nuovamente e il presidente reagì dando avvio alla costruzione della diga del Tennessee per dare lavoro a 150.000 persone e risolvere il problema. Ci fu quindi un legame profondo tra le teorie keynesiane e le politiche rooseveltiane. Altri due campi economici da trattare furono quelli dell’agricoltura e dell’industria. Nei primi 100 giorni di governo Roosevelt emanò una legge sull’agricoltura chiamata “AAA” (Agricultural Adjustement Act), una legge che prevedeva degli incentivi da parte del governo per chi avesse ridotto i terreni da coltivare. L’obiettivo era quello di porre rimedio alla sovrapproduzione facendo salire i prezzi e innescando una spirale positiva. Dal punto di vista industriale, la misura più importante, fu il cosiddetto NIRA (National Industrial Recovery Act), cioè la legge per il recupero dell’industria nazionale, per far salire i prezzi. Questo provvedimento consisteva nel far accettare ai sindacati che la crescita dei prezzi serviva a far aumentare il numero di lavoratori e non a far aumentare il salario agli operai. Gli industriali ottenevano quindi dei prezzi di vendita più alti, attraverso cui potevano assumere nuovi lavoratori, i quali poi però non potevano chiedere un salario più alto. La corte suprema rese necessaria la ripresentazione di queste leggi. L’amministrazione Roosevelt creò delle agenzie governative federali di tipo settoriale e ognuna di esse doveva occuparsi di un settore diverso fra quelli colpiti dalla crisi. La prima di queste agenzie si occupava dell’agricoltura: “Farm Credit Administration”, la quale si occupava di fornire prestiti ai piccoli proprietari terrieri, per farli riprendere, e non concederglieli a prezzo di mercato. Questo significava creare un sistema a credito agevolato con tasso di interesse più basso e un tempo di restituzione più lungo. Il secondo gruppo di agenzie che venne creato era quello della “Recostruction Finance Corporation”, che aveva l’obiettivo di finanziare le piccole imprese facendo anch’esso un credito agevolato. Il terzo gruppo si chiamava “Home Owners Loan Corporation”, un’agenzia che garantiva dei prestiti a proprietari di case, riferendosi quindi alle famiglie che potevano garantire un bene. Il New Deal e le politiche di Roosevelt rappresentarono il meglio che si potesse fare, ma la crescita fu parziale, poiché limitata dal contesto internazionale. Le grandi imprese fecero controvoglia ciò che gli fu imposto ma non favorirono la ripresa, che venne raggiunta durante la IIWW, con lo sviluppo dell’impresa bellica.

Fonti e approfondimenti

G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Bari, Editori Laterza

R.Cameron, L.Neal, Storia economica del mondo, vol II, Dal XVIII secolo ai nostri giorni, Bologna, Il Mulino

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