Ottant’anni fa, il primo settembre del 1939, la Germania nazista invadeva la Polonia, causando l’inizio del più grande conflitto della storia dell’uomo: la Seconda Guerra Mondiale. Tra i settanta e gli ottantacinque milioni di persone persero la vita, per ragioni legate direttamente o indirettamente alle ostilità, in un teatro bellico che spaziava dall’Europa stessa agli imperi coloniali a essa correlati. L’enormità dell’evento portò i principali protagonisti dell’epoca a ripensare l’ordine mondiale vigente, e a basarlo, almeno sulla carta, sulla cooperazione internazionale e sulla formale illegalità della guerra.
Il contesto storico
A seguito del primo conflitto mondiale e delle severe condizioni poste dal Trattato di Versailles, la Germania si trovava prostrata economicamente e umiliata politicamente. Eventi come la crisi del marco degli anni 20 favorirono il successo di movimenti populisti e iper-nazionalisti, incarnati dal Partito Nazionalsocialista di Adolf Hitler. Nonostante le iniziali difficoltà, il dittatore austriaco riuscì a centralizzare fortemente il potere in Germania. I mezzi principali furono la criminalizzazione delle sinistre, l’attuazione di purghe per ridurre gli avversari al silenzio e la creazione di uno straordinario consenso popolare, basato su un controllo endemico della società tramite le istituzioni di un regime totalitario. In questo, Hitler fu ben più efficiente del suo dichiarato maestro e ispiratore, Benito Mussolini.
Con il passare del tempo, la creazione di una contrapposizione tra regimi fascisti e democratici sembrò diventare inevitabile. Uno degli esempi più evidenti fu la guerra civile spagnola del 1936, che funse da banco di prova per l’imminente conflitto. Da un lato, Germania e Italia supportavano la ribellione del Generale Francisco Franco, mentre dall’altro decine di migliaia di volontari, incoraggiati dagli Alleati e dall’Unione Sovietica, combattevano contro il fascismo. Nonostante ciò, le due potenze anglosassoni non sembravano intenzionate a cercare lo scontro. Il Regno Unito faticava a gestire il suo immenso impero coloniale, e il suo status di potenza mondiale era sempre più compromesso dalla prepotente crescita economica e militare statunitense. Perciò, specialmente il primo ministro Neville Chamberlain portò avanti la cosiddetta politica di appeasement (riappacificazione) con la Germania nazista. Egli soprassedette infatti a gravi eventi come l’annessione dell’Austria (Anschluss) e l’occupazione della Cecoslovacchia nella speranza di placare le mire espansionistiche di Hitler. Allo stesso tempo, il Congresso degli Stati Uniti passava diversi Neutrality Acts, nel tentativo di smarcarsi dalla bellicosa politica europea. Washington sembrava decisa a non farsi coinvolgere, a differenza di quanto avvenuto nel corso della Prima Guerra Mondiale. Gli strascichi della Grande Depressione del 1929 giocarono la loro parte, tanto negli USA quanto in Europa: paradossalmente, diversi economisti sostengono che fu proprio il secondo conflitto mondiale a porre fine alla crisi, dati gli ingenti proventi derivanti dall’industria bellica.
Ben lungi dall’essere soddisfatto dalla situazione, il Führer tedesco cominciò a pianificare la mossa successiva: l’invasione della Polonia. Il passo più importante consisteva nell’assicurarsi la benevolenza sovietica, per scongiurare una sua reazione. L’accordo Molotov-Ribbentrop vide la luce nell’agosto del 1939, per lo sgomento del resto del mondo occidentale. Formalmente un patto di non aggressione, prevedeva un protocollo segreto, atto alla ripartizione della Polonia e alla creazione di sfere di influenza nell’area circostante. Hitler procedette così all’invasione della Polonia, il 1 settembre 1939, convinto che il Regno Unito e la Francia non avrebbero rispettato i rispettivi accordi con Varsavia in nome dell’appeasement. Fu smentito nel giro di due giorni: Londra e Parigi dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre, dando di fatto inizio alla Seconda Guerra Mondiale.
Lo svolgimento della guerra
Lo strapotere militare tedesco fu evidente sin dall’inizio. Sbrigata rapidamente la pratica polacca, la Wehrmacht si volse verso la Francia. Nel giro di sei settimane, attraverso i cosiddetti ‘caso giallo’ e ‘caso rosso’ (Fall Gelb e Fall Rot), le forze dell’Asse occuparono Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, instaurando il governo collaborazionista di Vichy già nel 1940. Le forze britanniche presenti in Francia vennero evacuate attraverso il porto di Dunkerque, grazie a una decisiva esitazione tedesca. Diversi storici sostengono che Hitler abbia deliberatamente permesso la fuga britannica, sperando di poter negoziare una pace con Londra a seguito dell’occupazione della Francia. Quando fu chiaro che il Regno Unito non aveva alcuna intenzione di cedere, il comando tedesco progettò l’Operazione Leone Marino, ossia l’invasione del Regno Unito. Questa venne rimandata più volte e infine abbandonata nel 1941, data l’incapacità da parte della Luftwaffe di assumere il controllo dei cieli sopra la Manica, grazie all’abilità della RAF britannica.
Il 1941 vide anche l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, a seguito dell’attacco giapponese alla base hawaiiana di Pearl Harbor. Tokyo, alleata di Roma e Berlino dal 1940, sperava di ridurre l’influenza statunitense nel Pacifico e di dominare l’estremo oriente tramite le cosiddette direttrice nord e sud. La prima prevedeva le invasioni di Corea e in Manciuria, mentre la seconda sarebbe stata attuata passando dal Sudest asiatico e dalle filippine per raggiungere il sud della Cina. Gli Stati Uniti, che consideravano la guerra come inevitabile da tempo e che supportavano militarmente gli Alleati tramite il cosiddetto Land-Lease Act, decisero di concentrarsi prima sulla sconfitta della Germania, e poi su quella del Giappone. Diedero così il via all’invasione del Nord Africa e della Sicilia, approfittando dell’inizio delle ostilità tra Germania e Unione Sovietica a seguito del lancio dell’Operazione Barbarossa. Iniziata nel 1941, si rivelò il più grande errore di calcolo tedesco, dato che il suo fallimento esaurì le energie belliche naziste. Il DDay, l’invasione della Normandia da parte degli Alleati nel 1943, sancì il definitivo accerchiamento delle forze tedesche: Hitler si suicidò il 30 aprile 1945, e la Germania siglò la sua resa incondizionata tra il 7 e l’8 maggio dello stesso anno.
Con l’Italia attore minore e passato dalla parte degli Alleati dopo la caduta di Mussolini, rimaneva da sconfiggere il solo Giappone. Consci della possibilità che la guerra potesse protrarsi per anni, e temendo l’avanzata sovietica ad est, gli USA decisero di sfruttare l’arma definitiva. Frutto di anni di ricerche da parte delle migliori menti dell’epoca, la bomba atomica risolse in pochi secondi ciò che rimaneva della Seconda Guerra Mondiale: iniziava una nuova epoca.
L’eredità della Seconda Guerra Mondiale
Un conflitto delle proporzioni di quello appena terminato non poteva che lasciare profonde cicatrici. L’Europa si ritrovò quasi del tutto devastata, e incapace di mantenere il controllo su quegli imperi coloniali che le avevano assicurato il predominio mondiale sino a quel punto. In uno degli esempi più lampanti di globalizzazione, il modello statale europeo si diffuse in tutto il mondo, in diverse ondate di decolonizzazione che portarono all’indipendenza formale delle vecchie colonie. Questo fu uno dei lasciti fondamentali della Seconda Guerra Mondiale: l’invenzione statale europea coprì il mondo, nel momento stesso in cui l’Europa perdeva la sua centralità negli affari globali.
Al suo posto, le due principali potenze vincitrici, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Non ci volle molto prima che i due vecchi alleati si voltassero lo spalle a vicenda, dando inizio a quello scontro ideologico totale che prese il nome di Guerra Fredda. Sull’Europa scese una “cortina di ferro” – famoso termine utilizzato da Churchill – e la Conferenza di Yalta sancì la sua divisione in sfere di influenza. L’Europa orientale finì per essere composta da Stati satellite dell’URSS, la cui purezza ideologica venne contaminata dalle atrocità dello stalinismo e compromessa dalla strutturale debolezza economica dei piani quinquennali. L’Europa occidentale, controllata dagli Stati Uniti, fu invece aiutata nella sua ricostruzione dal colossale Piano Marshall. Nonostante gli evidenti interessi economici statunitensi, il suo apporto per la rinascita economica europea fu incalcolabile, creando un gap di ricchezza tra le due parti d’Europa percepibile ancora oggi.
Fondamentale conseguenza del secondo conflitto mondiale fu la nascita dell’idea di comunità europea. Una combinazione di idealismo – rifiuto della guerra, desiderio di fratellanza europea, attenzione a tematiche socio-economiche – e Realpolitik – massiccia presenza statunitense su suolo europeo, sicurezza fornita dalla Nato, dipendenza dagli USA – permisero la nascita di un progetto per porre fine alle guerre fratricide europee. Nata con la creazione della Ceca e con la Dichiarazione Schuman del 1950, quest’idea ha oggi l’aspetto dell’Unione Europea. Quest’ultima, nonostante i sui difetti e le sue debolezze, rappresenta ancora oggi la più grande speranza di pace del continente europeo. Un aspetto che non andrebbe mai dimenticato, e che vogliamo ricordare oggi con questo articolo.
Fonti ed approfondimenti
Sabbatucci, Giovanni, e Vidotto, Vittorio. 2008. Storia contemporanea. Il Novecento. Roma: Laterza.
Taylor, Alana, World War II: Before the War, The Atlantic, 19/06/2011.
Amadeo, Kimberly, The Economic Impact of World War II, The Balance, 25/06/2019.
Rodye-Smith, John Graham e Hugher, Thomas A., World War II, Encyclopaedia Britannica, 19/07/2019.
Lee, Timothy B., 75 years ago, Hitler invaded Poland. Here’s how it happened, Vox, 01/09/2014.