Il Kosovo è patria di numerosi foreign fighters che hanno deciso di combattere in Siria tra le fila dell’ISIS. Con la disfatta del Califfato, in molti stanno facendo ritorno nel piccolo Paese balcanico, che ha adottato diverse misure per affrontare il problema.
Categorizzare i returning foreign fighters
La storia recente dei Balcani è legata a doppio filo a quella dei foreign fighters. Nel corso delle sanguinose guerre negli anni Novanta, la zona era una delle destinazioni più comuni di combattenti provenienti dall’estero. In anni recenti, invece – e soprattutto durante il periodo di massimo splendore dello Stato Islamico in Iraq e Siria (ISIS) – i Balcani sono diventati terra d’origine di numerosi individui che, per svariati ordini di ragione, hanno deciso di intraprendere la via delle armi in un Paese diverso dal proprio.
Abbiamo già avuto modo di analizzare le radici storiche, religiose e culturali dietro questo fenomeno. Ciò che non è sempre chiaro è il motivo per cui questi combattenti decidono di tornare in patria, diventando perciò dei returning foreign fighters. È particolarmente importante distinguere tra tre categorie di returnees, elaborata dalla nascente letteratura accademica dedicata alla questione:
- coloro che sono stati in Siria o in Iraq, magari più volte, e hanno definitivamente fatto ritorno nei Balcani;
- coloro che hanno provato a recarsi nelle terre del Califfato, ma sono stati intercettati e fermati dalle autorità;
- coloro che, pur avendone avuta intenzione, hanno deciso di non partire o sono stati trattenuti.
Si tende a identificare come foreign fighters solamente la prima categoria di individui, ma le rimanenti due sono da tenere in considerazione per comprendere meglio gli effetti che il fenomeno ha sulle popolazioni locali nei Balcani.
Il caso del Kosovo: la legge del 2015
Varie fonti riportano che, nel corso degli anni, il Kosovo è stato terra d’origine di oltre 300 combattenti in Siria. Un numero già di per sé impressionante, che lo diventa ancora di più se lo si compara alla popolazione totale del Paese, di meno di due milioni di persone. Ciò rende il numero di foreign fighters pro-capite kosovaro uno dei più alti al mondo. Ecco perché il Kosovo possiede una legislazione al riguardo particolarmente innovativa e punitiva, in relazione sia ai Paesi confinanti che a quelli più avanzati dell’Europa occidentale.
Infatti, le autorità di Pristina sono le uniche, nella zona, ad aver adottato dei provvedimenti ad hoc, introducendo un intero corpo di leggi dedicato al fenomeno. I Paesi limitrofi, invece, si sono limitati ad aggiungere provvedimenti a sistemi già esistenti. Tuttavia, la nuova legge kosovara del 2015 si è rivelata essere tardiva, dato che un gran numero di combattenti ha fatto ritorno in patria tra 2013 e 2014. Data l’impossibilità per le leggi con conseguenze penali di avere valenza retroattiva, a questo primo gruppo di returnees la nuova legge non può essere applicata.
In linea generale, la legge del 2015 tratta gli uomini di ritorno in Kosovo come dei terroristi, inasprendo fortemente le pene. In più, le autorità hanno adottato un approccio particolarmente aggressivo, processando quasi il 70% dei combattenti maschi di ritorno dalla Siria e dall’Iraq. Una percentuale nettamente più alta del 10% del Regno Unito. Ciò avviene nonostante il costante problema delle prove da portare in tribunale: spesso risulta difficile ottenere le informazioni necessarie per dimostrare che un combattente specifico abbia compiuto atti terroristici.
I returnees sono pericolosi?
Il caso kosovaro risulta utile per comprendere l’effettivo livello di pericolosità dei combattenti di ritorno dalla guerra. Delle quasi 250 persone tornate in patria, solo gli uomini sono considerati dalle autorità come potenzialmente pericolosi, riducendo il numero a 124. Le donne e i bambini sono supportati dallo Stato tramite fondi e tentativi di riabilitazione, anche se in determinati casi si sospetta che le donne possano giocare un ruolo nel radicalizzare la popolazione.
Dei 124 uomini, ben l’87% è considerato come a basso rischio di commettere atti terroristici in patria. Questo accade perché, in molti casi, la decisione di ritornare in patria coincide con un senso di disillusione nei confronti dello Stato Islamico, del suo potenziale unificatore o dei suoi metodi violenti. In altri casi, i returnees mantengono un’ideologia radicale – contribuendo a diffonderla tra la popolazione – ma non sono più disposti a utilizzare la violenza per promuoverla.
Il terzo caso è quello diventato più oggetto di attenzione da parte delle autorità: quello di coloro che non si pentono di aver compiuto il viaggio in Siria, e decidono di tornare in patria per compiere attività di reclutamento e/o azioni terroristiche in Kosovo.
A quest’ultima categoria appartengono due noti foreign fighters che, oltre ad aver tentato di organizzare attentati in patria, si sono anche rivelati molto attivi sui social media, promettendo “tempi bui” in arrivo in Kosovo: Lavdrim Muhaxheri e Ridvan Haqifi. I due hanno coinvolto nelle loro attività altri cinque combattenti – ritornati in patria grazie ai loro piani – e si tratta dell’unico caso in cui dei returnees sono stati effettivamente processati. Ciò conferma le basse percentuali di pericolosità che vengono attribuite loro dalla maggior parte degli studi di settore.
Reintegrare o criminalizzare?
Nonostante le innovazioni presentate dalla legislazione kosovara, esistono ancora delle criticità che impediscono la reintegrazione dei returning foreign fighters all’interno della società. Uno di questi è di natura pratica: le condanne tendono a comminare un numero di anni di carcere notevolmente inferiore a quanto previsto dalla legge del 2015. La media è attorno ai 3.5 anni, un periodo non sufficiente per efficaci programmi di riabilitazione all’interno del sistema carcerario.
D’altronde, il fatto stesso di trascorrere del tempo in prigione è motivo di grande risentimento nei confronti dello Stato kosovaro da parte dei returnees, che in molti casi non ritengono di aver compiuto in Siria degli atti meritevoli d’incarcerazione. La soluzione consisterebbe nell’effettuare sforzi sistematici di reintegrazione: passi in tal senso sono stati compiuti dal ministero della Giustizia kosovaro soltanto dal 2018.
Criminalizzare o isolare i foreign fighters non sembra quindi essere la soluzione migliore, soprattutto data la presenza, sul territorio nazionale, delle due categorie escluse dalle definizioni tradizionali menzionate nel primo paragrafo. Non avendo sperimentato il senso di disillusione tipico di chi ha partecipato davvero alle battaglie dell’ISIS, queste categorie potrebbero essere più recettive nei confronti di incitazioni alla violenza.
Un ulteriore modo per scoraggiare tali situazioni consisterebbe nell’assumersi la responsabilità dei propri cittadini ancora all’estero. In questo caso, il Kosovo è un esempio virtuoso. Pristina ha compiuto notevoli sforzi per rimpatriare i combattenti, e le rispettive famiglie, ancora in territorio siriano. L’esempio più recente risale all’aprile 2019, quando oltre cento persone (4 uomini, 32 donne e 74 bambini) sono state riportate in Kosovo dai campi di prigionia curdi in cui si trovavano. Lo sforzo delle autorità kosovare contrasta con il comportamento tenuto da alcuni Stati europei che tendono a ignorare il problema, data la spinosità della questione.
Eppure, non ci sono dubbi sul fatto che un problema di tale portata possa essere risolto solo mostrando di avere a cuore l’interesse di questi individui. In questo, il Kosovo è stato definito “più maturo del normale”, compiendo passi nella giusta direzione.
Fonti e approfondimenti
Hopkins, Valerie, Isis fighters struggle on return to Balkan states, Financial Times, 20/05/2019
Kursani, Shpend, Report inquiring into the causes and consequences of Kosovo citizens’ involvement as foreign fighters in Syria and Iraq, Kosovar Center for Security Studies, Aprile 2015
Bytyqi, Jujtim & Mullins, Sam, Returnee Foreign Fighters from Syria and Iraq: The Kosovan experience, Combating Terrorism Center, Agosto 2019
Metodieva, Asya, Balkan Foreign Fighters Are Coming Back: What Should Be Done? Strategic Policy Instiute, 2018
Reuters, Thomson, Over 100 citizens return to Kosovo following ISIS collapse in Syria, CBC News, 20/04/2019
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