Ai margini del movimento curdo: i curdi iraniani

curdi
@Keyvan Firouzei - Wikimedia Commons - Licenza: Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

di Francesco Nasi

Nell’articolo precedente abbiamo interrotto la storia del popolo curdo alla Pace di Losanna, il trattato firmato nel 1923 tra Turchia e le potenze occidentali che concluse la guerra civile turca. Ebbe lo scopo di  disegnare un nuovo equilibrio tra i resti dell’Impero Ottomano e l’Europa. Il Trattato di Losanna infranse le speranze suscitate dal Trattato di Sèvres di un Kurdistan indipendente e confermò la divisione della popolazione curda in quattro Paesi: Turchia, Siria, Iraq e Iran.

Negli ultimi decenni, curdi turchi, siriani e iracheni si sono ritagliati un ruolo all’interno del dibattito pubblico, seppur in modo diverso. I curdi turchi sono ascesi all’onore delle cronache internazionali per la violenza del confronto con lo Stato centrale e il ruolo di riferimento giocato dal PKK per gli altri movimenti. Curdi siriani e curdi iracheni invece hanno conquistato le pagine di politica estera dei giornali per la quotidiana lotta contro lo Stato islamico e più di recente per il confronto con la Turchia nel caso dei curdi siriani.

Fuori da questo quadro rimangono i curdi dell’Iran, i meno citati dai media e dalla ricerca accademica. In particolare, dopo la rivoluzione del 1979, essi sono diventati in qualche modo i “dimenticati” di un popolo già “dimenticato”. Per comprendere il perché della marginalizzazione dei curdi iraniani nella storia del Medio Oriente e nel dibattito pubblico internazionale, in questo articolo ripercorreremo la loro storia da dopo il Trattato di Losanna, fino a giungere a un’analisi delle attuali dinamiche interne alla Repubblica Islamica e al movimento nazionale curdo in Iran.

Dalla Prima guerra mondiale alla Repubblica di Mahabad

L’Iran si trovò alla fine del primo conflitto mondiale in una situazione di semi-anarchia, dovuta alla debolezza dello stato centrale e alle interferenze di Russia e Regno Unito. In tale contesto, si rivelò vincente il nazionalismo del ministro della guerra Reza Shah, che venne proclamato re nel 1925.

La sua politica di centralizzazione del potere e di omogeneizzazione culturale venne osteggiata da alcuni leader curdi, in particolare da Ismail Agha Simko. Simko rispose però principalmente agli interessi particolaristici della sua tribù più che a un ideale nazionale curdo. In questo modo, non riuscì a unire sotto una stessa bandiera tutte le tribù curde. Simko venne poi assassinato nel 1930.

Durante la Seconda guerra mondiale, l’Iran venne occupato dalle forze britanniche e sovietiche. Reza Shah abdicò nel 1941 e nel vuoto di potere che seguì il movimento curdo acquistò nuovo vigore. Sorto in origine come movimento di intellettuali, in quegli anni nacque il Kurdistan Democratic Party (KDP o KDPI, Kurdistan Democratic Party of Iran) che nel gennaio del 1946 fondò a Mahabad, sotto la leadership di Qazi Muhammad, la Repubblica del Kurdistan. Il suo territorio era estremamente ridotto, comprendendo solo le zone circostanti le città curde di Urumuia e Saqiz, situate all’estremo nord-ovest dell’Iran, nelle province dell’Azerbaijan dell’Ovest e del Kurdistan. Quest’ultime, insieme a quella del Kermanshah e dell’Ilam, costituiscono da allora le zone a maggioranza curda dell’Iran.

La Repubblica di Mahabad ebbe tuttavia vita breve. Da un lato, si scontrò con una fortissima delegittimazione internazionale, venendo riconosciuta esclusivamente dall’Unione Sovietica. Dall’altro, dovette fare i conti con le divisioni tribali ancora presenti al suo interno. Proprio per queste intrinseche debolezze, la repubblica di Mahabad sarà riconquistata dall’esercito iraniano guidato dal nuovo Scià Reza Pahlevi poco meno di un anno dopo, nel dicembre del 1946. IL KDPI venne dichiarato illegale e costretto alla clandestinità. Spostata la sua sede operativa nel Kurdistan iracheno, a parte sporadiche azioni di guerriglia e alcune manifestazioni pubbliche in Iran, i suoi sforzi si concentrarono soprattutto sul risolvere i propri dissidi interni. Almeno fino alla rivoluzione del 1979.

La rivoluzione di Khomenei 

La rivoluzione del 1979 e l’ascesa al potere dell’Ayatollah Khomeini sembrarono aprire nuove opportunità per il KDPI e per il riconoscimento dei diritti delle minoranze in Iran. Infatti, il partito curdo aveva giocato un ruolo considerevole nel rovesciamento del regime dello scià. Ma per i curdi la rivoluzione sciita si rivelò essere amaramente gattopardiana: tutto cambiò, perché nulla cambiasse davvero.

L’Ayatollah proclamò nell’agosto del 1979 la jihad contro i curdi. Seguirono esecuzioni sommarie e una feroce oppressione. Dal 1979 ad oggi, il KDPI stima che siano state circa 30.000 – 35.000 le vittime provocate dal conflitto con lo Stato iraniano.

A queste vanno aggiunte le decine di migliaia di persone imprigionate arbitrariamente e le migliaia costrette ad abbandonare le proprie case e subire la sistematica negazione di diritti civili e politici. Senza contare che, nelle regioni a maggioranza curda, la ricchezza pro-capite e il livello d’istruzione sono tra i più bassi nel Paese.

L’avversione verso i curdi non derivava soltanto dal fatto che una buona maggioranza dei curdi (circa il 75 %) professasse la religione sunnita. La motivazione principale risiedeva invece nell’idea, alla base dell’ideologia della rivoluzione di Khomeini, che le minoranze etniche non avevano alcun motivo di esistere poiché fonte di divisione all’interno della comunità musulmana.

La scissione dei curdi iracheni

In questi anni il fronte curdo si rivelò però fragile e poco compatto. Quest’ultimo era composto per la maggior parte dal KDPI, di orientamento socialdemocratico e laico. Ma, al suo interno, un grande ruolo era giocato anche dal Komala, partito curdo d’ispirazione comunista, fondato da alcuni studenti universitari sul finire degli anni Sessanta. Inizialmente, KDPI e Komala riuscirono a creare un fonte unito per trattare con Tehran, assieme all’Organization of Iranian People Fadayee Guerrillas (partito minore di orientamento marxista-leninista).

Il KDPI, guidato dal segretario Abdul Rahman Ghassemlou, cercò di intavolare un dialogo con il governo centrale e di mantenere posizioni abbastanza moderate, nel tentativo di raggiungere un accordo con Teheran. Le sue richieste si limitarono alla possibilità di ricevere un’educazione in curdo, di creare un corpo di sicurezza curdo e scegliere i propri amministratori locali.

Ma ben presto gli obbiettivi divergenti e la differenza di approccio – più diplomatica per il KDPI, più militante per il Komala – portarono le due formazioni curde a un piccolo conflitto civile nel 1984. Così, anche a causa della rigidità di Teheran, il tavolo di trattative con il governo centrale fallì. A causa della sconfitta e delle rivalità interne, il KDPI si scinderà in due nel 1988 e il suo leader, Ghassemlou, sarà assassinato da Teheran nel 1989.

Il nuovo millennio e i nuovi partiti

In seguito all’assassino di Ghassemlou, il KDPI iniziò una nuova fase di guerriglia contro Teheran. Essa si concluse solo nel 1996, con la vittoria del governo centrale e il cessate il fuoco unilaterale del KDPI. Ma con l’avvicinarsi del nuovo millennio molte cose iniziarono a cambiare. Rifiorì un movimento culturale curdo con la pubblicazione di libri e l’organizzazione di eventi culturali, soprattutto nelle università e nel Kurdistan iracheno.

I giovani degli anni Novanta, nati nel periodo della repressione più feroce, possedevano una maggiore consapevolezza politica e nazionale rispetto alle generazioni precedenti. Ma le nuove generazioni erano anche più distaccate dal classico movimento nazionalista curdo, rappresentato dal KDPI e dal Komala.

Non a caso, nuovi partiti più radicali si sono affermati sulla scena politica. Nel 1991, nacque Revolutionaries’ Union of Kurdistan, che nel 2006 ha cambiato nome in Kurdistan Freedom Party (PAK): la nuova formazione politica si è posta come obbiettivi l’autodeterminazione, la democrazia e il socialismo.

Il nuovo movimento femminista e socialista

Ma ancora più importante è l’influenza del PKK turco, che ha portato all’inizio degli anni 2000 alla nascita del Free Life Party of Kurdistan (PJAK), ispirato al femminismo e all’ecologia sociale del confederalismo democratico di Abdullah Ocalan. È proprio il PJAK che negli ultimi anni si è mostrato più attivo, sia sul fronte delle attività culturali che su quello della guerriglia armata contro il governo centrale.

Infatti, nonostante alcuni miglioramenti, si è ancora estremamente lontani da un pieno riconoscimento dei diritti dei curdi. I membri dei partiti politici curdi costituiscono metà della popolazione carceraria per crimini politici e sono oggetto di un quinto delle esecuzioni capitali. L’utilizzo della lingua curda per l’educazione è ancora osteggiato e il sistema del gozinesh, in base al quale si può accedere a certi uffici solo dimostrando piena fedeltà alla Repubblica Islamica, impedisce a molti curdi la possibilità di lavorare.

Attivisti dei diritti umani e giornalisti devono fronteggiare arresti arbitrari e persecuzioni. Le pubblicazioni di giornali, libri e programmi televisivi in curdo è teoricamente legale, ma di fatto limitata e spesso arbitrariamente proibita dal governo, come avvenuto ripetutamente durante la presidenza di Ahmadinejad.

Conclusione

Alla luce di questo breve excursus storico, si possono delineare gli elementi che hanno marginalizzato il discorso nazionalista curdo iraniano. Innanzitutto, il movimento autonomista-indipendentista curdo in Iran si è spesso mostrato moderato, preferendo in molte occasioni la via del dialogo a quella insurrezionale. Come ha dichiarato negli anni Ottanta il segretario del KDPI, Ghassemlou: “Non si parla molto dei curdi iraniani perchè non abbiamo mai preso ostaggi, o non abbiamo mai dirottato un areo. Eppure, io sono fiero di questo”.

Non è un caso che, tra le proposte del KDPI, il partito che per anni è stato il principale rappresentante delle istanze curde, non figurasse la totale indipendenza. Al contrario delle formazioni curde negli altri Paesi più celebri e più violente, come il PKK in Turchia o KDP e PUK nel Kurdistan iracheno.

Vi è inoltre un aspetto culturale: tra tutte le popolazioni del Medio Oriente, i curdi sono più simili per lingua e tradizioni proprio al ceppo persiano. Questo ha probabilmente favorito un’integrazione maggiore rispetto ad altri Paesi in cui il conflitto è stato più aspro.

Infine, troviamo una costante nella storia di questo popolo: la frammentarietà delle sue istanze e l’incapacità di unirsi sotto un’unica bandiera. Qui si gioca la contraddizione fondamentale della cultura politica curda. La tradizione autonomista, data dalla millenaria divisione in tribù, accentua da una parte la volontà di non sottomettersi agli Stati in cui i curdi risiedono e di mantenere la propria libertà.

Ma, dall’altra parte, impedisce ai curdi di unirsi e farsi sentire con una sola voce e di aumentare così la forza delle proprie richieste e la capacità di influenzare i policymakers anche negli Stati più autoritari. Dato lo stato attuale delle cose, difficilmente questa contraddizione potrà risolversi nella direzione dell’emancipazione dei curdi iraniani.

Fonti e Approfondimenti

Mirella Galetti, I Curdi Nella Storia (Vecchio Faggio, 1990)
Ahmadzadeh, Hashem, and Gareth Stansfield. “The Political, Cultural, and Military Re-Awakening of the –Kurdish Nationalist Movement in Iran” Middle East Journal, vol. 64, no. 1, 2010, pp. 11–27.
Neil Hicks, The Human Rights of Kurds in the Islamic Republic of Iran (ECOI, 2000)
Iran: Human Rights Abuses Against the Kurdish Minority, Amnesty International Report, 2008

Be the first to comment on "Ai margini del movimento curdo: i curdi iraniani"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: