Sono ormai vent’anni che Vladimir Putin è a capo della Federazione Russa. A partire dalle dimissioni di Boris Nikolaevič El’cin nel 2000, Putin è rimasto pressoché ininterrottamente presidente, a eccezione della breve parentesi fra il 2008 e il 2012, in cui ha servito il Paese come primo ministro del suo delfino Dmitrij Medvedev. Oggi è al suo quarto mandato, e molti osservatori hanno iniziato già da tempo a interrogarsi sui suoi piani per il 2024, anno della scadenza del mandato. La Costituzione russa, infatti, vieta di candidarsi per la presidenza per più di due mandati consecutivi, o almeno lo ha vietato fino a questo momento.
All’inizio di quest’anno, lo stesso Putin aveva annunciato una riforma costituzionale di natura abbastanza ambigua, che prevedeva una nuova redistribuzione dei poteri fra gli organi dello Stato. Il 10 marzo scorso, tuttavia, Valentina Tereshkova ha offerto una soluzione più rapida alla “questione 2024”. La deputata di Russia Unita, infatti, ha proposto alla Duma un emendamento costituzionale che azzererebbe il conteggio dei mandati di Putin finora, permettendogli di candidarsi per altri due turni. Approvato in Parlamento con una maggioranza schiacciante, l’emendamento è appena stato firmato dalla Corte costituzionale. La riforma dovrà essere sottoposta a referendum, la cui data resta da confermare.
La possibilità che Putin rimanga al potere fino al 2036 si fa sempre più concreta. Nel frattempo, quindi, pare opportuno ricapitolare in che modo quest’uomo ha modellato, da solo al comando, ogni aspetto della Russia contemporanea nel corso degli ultimi vent’anni. Con questo articolo, inizieremo la nostra panoramica sul governo di Putin proprio a partire dalle sue politiche sociali.
La transizione del welfare dal comunismo alla liberalizzazione
L’eredità lasciata dall’URSS alla Federazione russa per quanto riguarda il welfare è estremamente significativa. Lo stato sociale sovietico, infatti, forniva una vasta gamma di servizi ai propri cittadini, come abitazioni garantite, pensioni minime, istruzione e assistenza sanitaria gratuite e universali. Dopo il 1991, questo vasto sistema divenne troppo costoso da reggere per un Paese in piena fase di transizione dal comunismo alla liberalizzazione. Tuttavia, il ricordo del welfare sovietico ha lasciato nei cittadini chiare aspettative in materia di previdenza sociale.
Secondo dati pubblicati dallo European Social Survey (ESS) nel 2018, i russi ancora oggi sono particolarmente attaccati a benefici di welfare che riguardano il benessere generale della popolazione, come il reddito minimo (di cui si è incominciato a discutere solo di recente) o le pensioni di vecchiaia. Un atteggiamento molto diverso da quello verso i provvedimenti a favore di minoranze e categorie sociali particolarmente vulnerabili: fra i cittadini russi, sono molto meno popolari i programmi di assistenza rivolti a specifici gruppi, come i disoccupati, i genitori single e i migranti.
Sin dal crollo dell’URSS, quindi, il governo russo ha dovuto bilanciarsi fra le aspettative dei cittadini e le forti pressioni necessarie a ristrutturare l’economia del Paese, tagliando le spese e adottando modelli di welfare che fossero più conformi alla nuova economia di mercato. Se durante la presidenza di El’cin negli anni Novanta il welfare e l’economia soffrirono molto della privatizzazione selvaggia, dal 2000 in poi Putin è riuscito a imbrigliare la liberalizzazione in un maggiore controllo statale. Grazie al confronto con il decennio precedente, Putin ha consolidato la sua figura di leader forte in grado di offrire stabilità e sicurezza, nonostante i pesanti tagli al welfare del suo stesso governo.
Infatti, l’arena delle politiche sociali si è rivelata un campo fondamentale per la strategia del consenso del regime putiniano, che ha fatto spesso ricorso a promesse in materia di pensioni, istruzione e assistenza sanitaria per rafforzare il sostegno popolare in vista delle elezioni presidenziali che si sono succedute negli ultimi anni.
Sanità, istruzione e pensioni
Il successo di Putin nella realizzazione di queste promesse finora è stato variabile – soprattutto nei settori della sanità e dell’istruzione, dove la situazione rimane stagnante. I finanziamenti statali in questi due campi sono progressivamente diminuiti nel corso della sua presidenza.
Oggi, il sistema sanitario si basa su un modello assicurativo che finanzia l’assistenza fornita dallo Stato a cui tutti i cittadini possono accedere. Tuttavia, la qualità e la disponibilità dei servizi variano notevolmente fra le diverse regioni, con alcune aree in grado di fornire servizi eccellenti (prima fra tutte, l’oblast’ di Mosca) mentre altre lottano per offrire il minimo indispensabile.
Per quanto riguarda l’istruzione, lo Stato copre i costi di quella pubblica fino alla scuola secondaria e finanzia diverse importanti università, come l’Università statale di Mosca. Tuttavia, sia la quantità che la qualità delle scuole, insieme all’ammontare degli stipendi degli insegnanti, sono ancora questioni in sospeso. La promessa di Putin, alla vigilia delle elezioni del 2012, di costruire più scuole, alzare gli stipendi e creare più posti per i bambini in età prescolare è rimasta sostanzialmente inadempiuta.
Al contrario, finora Putin è stato molto attento a non ledere i benefici sociali di una specifica parte della popolazione russa, ossia i pensionati. Aumentare le pensioni durante la campagna elettorale, infatti, è una strategia consolidata fin dai tempi di El’cin. Tuttavia, l’importo delle pensioni è sempre rimasto mediamente basso in relazione al costo della vita e all’inflazione, tanto che molti pensionati sono costretti a continuare a lavorare per riuscire a vivere dignitosamente. Nel 2018, la pensione media russa si aggirava intorno ai 14.400 rubli, ossia 190 euro, mentre l’inflazione era circa al 2.88%. Eppure in Russia le pensioni sono una delle maggiori spese dello Stato, anche perché la popolazione anziana sta aumentando vertiginosamente: la World Bank stima che, entro il 2025, oltre il 25% dei russi avrà più di 65 anni.
La riforma delle pensioni del 2018
Per questo, Putin e la sua amministrazione sono ben consci del peso politico che i pensionati rivestono nel Paese, e non possono permettersi di ignorarne le frustrazioni. Gli stessi tentativi sistematici di aumentare le prestazioni pensionistiche appena prima delle elezioni non sono affatto una coincidenza. Tuttavia, subito dopo la sua ultima elezione nel 2018, Putin ha dovuto attuare una riforma a lungo rimandata: elevare l’età del pensionamento, la più bassa fra i Paesi dell’OSCE da quando Stalin aveva riformato il sistema previdenziale nel 1932. Da allora, infatti, l’età era rimasta ferma a 55 anni per le donne e 60 anni per gli uomini.
Dopo un iter parlamentare estremamente difficile, la “legge sul cambiamento delle pensioni” è stata firmata da Putin il 3 ottobre 2018. Nel primo disegno, presentato dall’allora governo Medvedev, era previsto il pensionamento per gli uomini a 65 anni e per le donne a 63. Ma le proteste che si sono scatenate in tutto il Paese, sia nelle maggiori città che nelle zone periferiche (compresa la Crimea), hanno costretto Putin a intervenire personalmente, apportando delle modifiche.
A fine agosto 2018, con un appello televisivo, il presidente ha spiegato che “non si può più rinviare” questa misura: fra il 2019 e il 2028, l’età pensionabile salirà gradualmente a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. Inoltre, ha garantito il pensionamento anticipato per le donne con tre o più figli, l’inasprimento delle sanzioni per i licenziamenti ingiustificati dei lavoratori prossimi al pensionamento, un’indicizzazione e, soprattutto, un aumento del 40% dell’ammontare delle pensioni entro la fine del suo mandato nel 2024. Dalla riforma, sono stati esclusi i membri dell’esercito e dei servizi segreti, secondo alcuni osservatori per non danneggiare il consenso verso Putin in questi due settori nevralgici per il suo potere.
Sempre nello stesso discorso, Putin ha affermato che “non fare nulla sarebbe stato irresponsabile verso i figli e il Paese [poiché] la situazione ci dimostra che ritardare [la riforma] non è più possibile”. Secondo un report della Banca centrale russa, infatti, questa riforma servirebbe a mantenere il numero dei pensionati al di sotto di quello dei lavoratori attivi, raggiungendo un aumento del PIL fino al +0,3% entro il 2021.
Le politiche pronataliste
La questione delle pensioni è l’altra faccia della medaglia del problema demografico della Federazione. La popolazione russa sta invecchiando, mentre nel Paese si fanno sempre meno figli. Tra gennaio e ottobre 2017, in Russia sono nati 1 milione e 420 mila bambini, il 10,7% in meno rispetto all’anno precedente. Così, in 10 mesi la popolazione si è ridotta di 115.000 persone, vanificando la crescita demografica del triennio 2013-2015.
Per questo, negli ultimi anni, il governo ha intensificato le politiche pronataliste. Nel 2017, Putin ha varato una serie di misure a sostegno delle nascite e delle famiglie con bambini, per un totale previsto di 7,2 miliardi di euro spesi entro quest’anno. La novità principale è stata quella del “bonus bebè” di circa 150 euro al mese per il primo figlio, emesso (anche in contanti) per tutto il suo primo anno e mezzo di vita. Fino alla fine del 2021, inoltre, è previsto un bonus di 6500 euro per il secondo o terzo figlio, oltre ad aiuti statali per pagare il mutuo della casa di queste famiglie.
Questa politica è perfettamente coerente con l’impronta conservatrice e tradizionalista del regime putiniano in materia di ruoli di genere, dal 2000 a oggi.
Conclusioni
Fra il 2000 e il 2020, pertanto, i settori maggiormente toccati dalle riforme sociali presidenziali sono stati quello delle pensioni e quello delle politiche demografiche, con un successo altalenante. Tuttavia, Putin ha ancora quattro anni davanti a sé prima della scadenza del suo mandato.
Nel discorso che ha tenuto di fronte all’Assemblea Federale lo scorso gennaio, infatti, non ha solo annunciato delle radicali riforme costituzionali, ma ha anche promesso maggiori incentivi per il welfare sociale. A febbraio, quindi, il governo Mishustin ha presentato un nuovo disegno di legge (n.904447-7) alla Duma, per aumentare del 13% la spesa pubblica per le politiche sociali fra 2020 e 2022. Buona parte di questi finanziamenti sembrano destinati agli assegni di maternità e di sostegno alle famiglie, e in minor parte all’istruzione e all’assistenza sanitaria primaria.
Ancora una volta, quindi, Putin utilizza la politica sociale per cercare di rafforzare il sostegno popolare al regime con promesse rivolte ai principali gruppi elettorali, come gli anziani, senza aumentare il benessere reale della popolazione. Il livello di povertà in Russia nel 2016 era al 13,4%: una cifra significativamente più bassa rispetto al quasi 35% degli anni Novanta, ma ancora sopra la media di molte delle maggiori economie del mondo. Inoltre, le principali frustrazioni dei cittadini in materia di istruzione, assistenza sanitaria e pensioni rimangono tuttora irrisolte.
Fonti e approfondimenti
BBC, “Life in Vladimir Putin’s Russia explained in 10 charts“, 12/03/18.
Cerami, A., Welfare State Developments in the Russian Federation: Oil-led Social Policy and ‘The Russian Miracle’, Social Policy & Administration, ISSN 0144–5596, DOI: 10.1111/j.14679515.2009.00650.x, Vol. 43, No. 2, April 2009, pp. 105–120.
Delfino F., “Russia: riforma pensioni Putin tra proteste e consensi“, Affari Internazionali, 08/11/18.
European Social Survey (ESS), “New report examines Russian attitudes on welfare“, 27/11/18.
Greene S., “I might have been wrong about Putin“, Moscow-on-Thames, 10/03/20.
Manuilova A., “Russia launches cash incentives to boost birth rate“, Global Government Forum, 15/03/18.
Meduza, “The Russian government is pulling big strings to fund new social programs on Putin’s orders. Here’s where the two trillion rubles are going, at a glance.“, 21/02/20.
Noble B., “Putin’s six tasks“, Riddle, 06/02/20.
Statista, “Russia: Inflation rate from 1994 to 2024“.
Wilson Sokhey S., “Buying support? Putin’s Popularity and the Russian Welfare State“, Foreign Policy Research Institute, 15/02/18.