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Il sistema politico russo si basa su un delicato equilibrio di poteri fra presidente, governo federale (il Consiglio dei ministri) e governi regionali. Nei suoi vent’anni al potere, Putin ha instaurato un regime sempre più personalistico: da un lato, nella sua carica si concentra il potere de facto, dall’altro, la sua figura è di per sé rappresentativa della stabilità e della solidità dello Stato russo.
Perciò, il rapporto fra figura presidenziale, governo federale e governi regionali è sempre più improntato al consolidamento di questa verticalità. Un esempio di ciò è la gestione delle risorse basata su relazioni di reciprocità fra governo federale e governi regionali, volta ad assicurare maggiore controllo al potere centrale.
Oltre a ciò, ci sono stati numerosi casi in cui la responsabilità di politiche controverse è stata attribuita a figure diverse da quella del presidente Putin, allo scopo di preservare la sua popolarità. Il caso più eclatante è quello dell’impopolare riforma delle pensioni del 2018, di cui Putin stesso ha addossato la responsabilità al Consiglio dei ministri. Questa mossa, naturalmente, non è stata sufficiente a depistare l’opinione pubblica e a risparmiare il presidente da un crollo nell’indice di gradimento, ma rappresenta un esempio fondamentale dell’atteggiamento ormai consolidato da parte del Cremlino.
La pandemia di COVID-19 ha offerto uno spaccato ulteriore sullo stato del federalismo russo e sui meccanismi che lo governano. Nel Paese più grande del mondo, l’emergenza sanitaria sta venendo gestita perlopiù su base regionale, con ingerenze federali piuttosto scarne. Ciò non è dovuto solamente all’adattamento delle politiche alla specifica situazione locale, ma anche a meccanismi istituzionali che sono fondamentali per la stabilità del regime politico russo.
L’importanza del consenso popolare
L’emergenza sanitaria ha rimescolato le carte di un delicato gioco istituzionale iniziato a gennaio scorso, confondendone le regole. All’inizio, il crollo del rublo e la minaccia della pandemia sono stati sufficienti a spingere Russia Unita ad avanzare una proposta di riforma costituzionale molto meno sofisticata e ben più radicale della precedente, appoggiata da un generale clima di allarmismo. Ora la situazione presenta risvolti più complessi, ed è necessaria una strategia istituzionale efficace affinché il favore del presidente non venga intaccato dalla crescente instabilità.
Il Cremlino, infatti, non è più del tutto impermeabile all’opinione pubblica. Già nel 2012, in seguito al ritorno in carica di Putin, all’estensione del mandato presidenziale da 4 a 6 anni e al generale irrigidimento della struttura politica, violente proteste animarono il centro di Mosca. Nel 2018, la riforma delle pensioni ha causato grande malcontento. L’estate del 2019 ha visto un continuo susseguirsi di proteste violente e dalla grande affluenza contro la corruzione, il regime repressivo e le politiche ambientali.
La Russia di Putin, tuttavia, non ha risorse sufficienti per basare la propria stabilità solo su un apparato repressivo: è necessario il favore del popolo per assicurarsi la legittimità politica, anche ai fini del riconoscimento internazionale come potenza globale. Anche per questi motivi, dunque, Putin ha esitato a rimandare il referendum costituzionale – inizialmente previsto per il 22 aprile – a data da destinarsi, salvo poi doversi arrendere all’evidenza dei rischi sanitari connessi alla pandemia di COVID-19.
La situazione attuale
La posizione in cui si trova il Cremlino adesso è ambivalente. Da un lato, è importante mostrare ai cittadini che “va tutto bene”, e dunque mostrare una Russia calma, solida, ed efficiente nel contenimento dell’emergenza, al fine di dimostrare che assicurare a Putin la possibilità di rimanere in carica fino al 2036 è un atto di buonsenso. Dall’altro, è importante avere una valvola di sfogo che permetta il riconoscimento di eventuali mancanze, senza che queste vadano a minare la figura presidenziale.
Qui entrano in gioco le regioni: anche in questa occasione, la concezione utilitaristica del federalismo russo si rivela un ottimo strumento per centralizzare il potere. Il 1° aprile 2020, Putin ha firmato una nuova legge che consente al governo federale e ai governi regionali di dichiarare lo stato d’emergenza e di stabilire le regole di condotta per farvi fronte, senza previa autorizzazione da parte del presidente.
Il governo federale, però, si è rifiutato di farlo finora. Ciò è da attribuire in parte al fatto che l’attuale primo ministro, il tecnico Mikhail Mishustin, è entrato in carica solo il 16 gennaio scorso. Perciò, è ancora praticamente sconosciuto e certamente molto lontano dal popolo russo, a differenza del suo predecessore Dmitry Medvedev: ogni azione del governo nella situazione d’emergenza sarebbe immediatamente ricondotta a Vladimir Putin, minando la sua aura di “calma” e stabilità.
La strategia Cremlino-regioni
Pertanto, nel triangolo presidente-governo-regioni, la valvola di sfogo rimasta sono, ancora una volta, i governi regionali. Di conseguenza, la strategia del Cremlino si basa su due principi.
Il primo consiste nel dare maggiori poteri alle regioni. Il 2 aprile, Putin ha fatto un discorso alla nazione molto rassicurante, in cui sono state promesse grandi manovre di assistenza sociale. Nello stesso giorno, Putin ha ordinato ai governi regionali di “assicurare lo sviluppo e l’implementazione di nuove norme atte a limitare la diffusione del virus”. Come ha sottolineato Carnegie, non si tratta di maggiori libertà (tanto agognate), bensì di maggiori responsabilità, e dunque di ulteriori limitazioni.
La lotta al COVID-19, infatti, rientrerà negli indicatori delle performance regionali, fondamentali de facto per assicurare a molti governatori il rinnovo del mandato alle prossime elezioni del 13 settembre. La responsabilità di eventuali errori sarà interamente attribuita alle regioni, così come quella dell’inasprimento del regime causato dalle limitazioni alle libertà personali e del malcontento popolare che ne conseguirà.
Dal canto loro, i governatori hanno apertamente dichiarato di non seguire le linee guida governative, bensì quelle del sindaco di Mosca, Sergey Sobyanin. Quest’ultimo ha fin da subito introdotto a Mosca pesanti restrizioni e sistemi di controllo della cittadinanza (la cui efficacia è stata messa ampiamente in discussione), in modo del tutto autonomo. Sobyanin ha fatto così da apripista alla lotta al COVID-19, mostrando alla scena internazionale l’impegno di Mosca nel contrastare la pandemia, nonostante nelle altre regioni non fosse stato ancora preso alcun provvedimento.
Il secondo principio strategico è legato all’indice di gradimento dei governatori stessi. Sempre il 2 aprile, i governatori delle regioni di Arkhangel’sk e Komi, rispettivamente Orlov e Gaplikov, hanno improvvisamente dato le dimissioni. Queste due figure godevano di scarsissimo consenso popolare, a causa delle loro politiche ambientali: dal 2017, in questi territori vanno avanti delle proteste violentissime legate alla costruzione di discariche che dovrebbero ospitare i rifiuti urbani moscoviti.
I nuovi governatori nominati dal governo, Cybulskiy e Uyba, hanno subito espresso la loro posizione contraria alla costruzione di queste discariche, allineandosi dunque alla volontà popolare. Questa improvvisa sostituzione dei governatori non è da ricondurre alla volontà di fare un’inversione di rotta per quanto riguarda le politiche ambientaliste. Il Cremlino spera di raccogliere consenso tramite la nomina di governatori regionali che risultino graditi alla popolazione locale.
Questa mossa, però, rischia di rivelarsi un ulteriore “autogol”. Una figura come Sobyanin può apparire autorevole e credibile, grazie alle sue rigide politiche di contenimento della pandemia (seppure circondate da polemiche relative all’inasprimento del controllo sociale). Non è detto, tuttavia, che lo stesso valga per i neoeletti governatori di Komi e Arkhangel’sk. In queste regioni serpeggia la percezione che i due ex-governatori Orlov e Gaplikov – vicinissimi al governo centrale e da esso sempre supportati – siano letteralmente “scappati” dalle proprie responsabilità. Questo non gioca di certo a favore del Cremlino.
Conclusioni
Il federalismo russo si dimostra, ancora una volta, di carattere fortemente utilitaristico. Le suddivisioni delle competenze e delle varie giurisdizioni non sono improntate a un’equa spartizione dei poteri, bensì alla tutela e al consolidamento della stabilità del potere centrale.
Nella situazione di emergenza attuale, inoltre, il Consiglio dei ministri si ritrova a essere un organo ancora debole, non sufficientemente autorevole e autonomo dalla presidenza per poter fare da catalizzatore di politiche impopolari. Perciò, il Cremlino ha delegato responsabilità significative agli enti regionali – insieme alle loro conseguenze – nella speranza di rimuovere qualsiasi minaccia alla solidità del potere personale di Putin, finché non verrà confermato dal referendum costituzionale.
I vantaggi del rapporto centro-regioni si dimostrano unilaterali: il governo centrale sfrutta grandi opportunità politiche senza apportare altrettanti benefici alle comunità locali. I governi regionali sono gli elementi principali del gioco strategico del Cremlino, prima di essere lo strumento di implementazione locale di politiche condivise.
Fonti e approndimenti
Percev, Andrey; Rustamova, Farida, В России растет число заболевших COVID-19, но российские власти разрешили регионам ослабить карантин. Так они хотят сэкономить деньги , Meduza, 10/4/2020
Kolesnikov, Andrey, Are Russians Finally Sick of Putin?, Carnegie, 7/4/2020
Percev, Andrey, Вирусный федерализм. Как эпидемия обнажила устройство региональной власти в России, Carnegie, 7/04/2020
Percev, Andrey, COVID-19 VS The Constitution, Meduza, 27/3/2020ù
Starodubcev, Andrey, Decentralise but not Federalise: The Authoritarian Pattern of Regional Policy, Report for ECPR General Conference, 2013
In copertina: Kremlin.ru
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