Crimini ambientali: un business da 259 miliardi di dollari l’anno

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

di Chiara Scissa

UNEP (UN Environment Programme) conferma nel suo ultimo report del 2018 le già impressionanti cifre pubblicate nel 2016 in collaborazione con INTERPOL. In entrambi i documenti si stima che i crimini ambientali abbiano alimentato un business tra i 91 e i 259 miliardi di dollari l’anno, un profitto che li ha resi in media il quarto crimine più redditizio al mondo, dopo il traffico di droga (344 miliardi di dollari), la contraffazione (288 miliardi di dollari) e il traffico di esseri umani (157 miliardi di dollari). L’aumento esponenziale delle attività ambientali illecite contrasta con un’analoga perdita di risorse per i governi e le comunità, da 9 a 26 miliardi di dollari all’anno a seconda del Paese di riferimento.

I crimini ambientali hanno recentemente attirato l’attenzione della comunità internazionale a causa dei danni compiuti contro l’ambiente e gli ecosistemi, nonché per le drastiche ripercussioni per la pace, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile. II rapporto UNEP del 2018 mette in guardia dagli effetti drammatici che queste attività illecite hanno, da un lato, sull’esacerbazione dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale e, dall’altro, sull’inasprimento di conflitti interni e tra nazioni. A questo punto, una domanda sorge spontanea: “Che cosa sono i crimini ambientali?”

Una concezione ancora incerta

Ad oggi, non vi è ancora una definizione universalmente accettata di tali illeciti né una lista esaustiva di atti che possono essere identificati come tali. Al fine di arginare almeno parzialmente tale incertezza normativa, organizzazioni come INTERPOL, EUROPOL e UNEP hanno concordato che il termine “crimine ambientale” possa essere utilizzato per identificare “quelle attività illegali che danneggiano l’ambiente e da cui traggono beneficio individui o gruppi o società tramite lo sfruttamento, il danneggiamento, il commercio o il furto di risorse naturali, compresi, ma non limitati a, reati gravi e crimini organizzati transnazionali“.

INTERPOL ed EUROPOL hanno incluso nella lista di emblematici crimini ambientali internazionali i traffici di specie rare e protette (flora e fauna), i crimini forestali e della pesca, la gestione criminosa delle acque, lo scarico illegale di rifiuti, il contrabbando di sostanze che riducono lo strato di ozono e l’estrazione illegale.

Questa indeterminatezza giuridica deriva in parte dal fatto che la legislazione internazionale a proposito di questi illeciti è molto giovane e pertanto in via d’evoluzione. Un ulteriore deterrente è da ricercare nella discrezionalità dei singoli Stati nel giudicare un atto come crimine ambientale. In altre parole, ciò che può costituire un reato in un Paese non lo è necessariamente in un altro, indebolendo inevitabilmente l’efficacia delle sanzioni. II rapporto UNEP-INTERPOL del 2016 svela che i criminali scelgono in quale Paese condurre il proprio business anche in base alle carenze nelle legislazioni penali nazionali e al livello di corruzione, al fine di ottenere il massimo profitto possibile. Un altro ostacolo è la mancata attuazione di strumenti giuridicamente e non giuridicamente vincolanti per affrontare questi reati.

 

I mittenti e i destinatari nel business dei crimini ambientali

Dalle analisi condotte dalle organizzazioni internazionali si evince che il traffico di fauna selvatica e di rare specie animali è particolarmente diffuso in Africa, Asia e America Latina; mentre Nord America, Europa e Asia sono i principali clienti di tale mercato, pari al 25% del commercio internazionale totale.

Inoltre, le destinazioni privilegiate per il trasporto e il traffico illegale di rifiuti sono il continente africano (principalmente Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Sierra Leone, Tanzania) e asiatico (Cina, Indonesia, India, Malesia, Pakistan e Vietnam). La percentuale più alta di questi rifiuti proviene da Europa, Nord America e Australia.

Dal 2016, la Colombia presenta il maggior numero di sfollati nel mondo, di cui l’87% è stato costretto a fuggire da aree con una forte presenza di attività estrattive illegali che ha comportato un grave inquinamento da mercurio dell’acqua e del suolo. Insieme all’America Latina, anche l’Africa e l’Asia sono gravemente colpite dall’estrazione illegale di risorse naturali, specialmente di oro, coltan e diamanti.

Pertanto, ciò che emerge dall’analisi dei dati UNEP e INTERPOL è che l’Europa e il Nord America, insieme ad altri Stati a seconda del settore commerciale, sfruttano le risorse dei Paesi meno sviluppati, scambiando rifiuti tossici per minerali e fauna.

 

Mille e uno motivi per delinquere a danno dell’ambiente

I report esaminati evidenziano poi tre principali fattori che favoriscono la proliferazione dei reati ambientali che riguardano, rispettivamente, il beneficio economico per i responsabili, la domanda sempre crescente di attività ambientali illecite e il fallimento istituzionale nel regolare e combattere efficacemente tali crimini. La povertà rappresenta un incentivo a commettere tali atti, spesso considerata come l’unica via di sopravvivenza. Un esempio emblematico riguarda il caso del “turismo dei rifiuti” o del cosiddetto “eWaste”: cittadini africani che arrivano in Europa con un visto turistico per raccogliere rifiuti elettronici (telefoni cellulari, componenti di computer o altra apparecchiatura elettronica) per poi farli circolare illegalmente in Africa con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente.

I crimini ambientali possono essere condotti da individui – come appena riscontrato – società, attori statali o gruppi di criminalità organizzata. Un esempio pragmatico di responsabilità statale per crimini ambientali è il noto caso dell’acciaieria Ilva di Taranto, per cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha recentemente condannato l’Italia per violazione dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Particolarmente preoccupante è, inoltre, il crescente coinvolgimento della criminalità organizzata in attività illecite. II termine “crimini ambientali da colletti bianchi” è stato coniato per evidenziare il fitto collegamento tra crimini ambientali e riciclaggio di denaro, la frode, l’evasione e la corruzione fiscale. Alcuni dei gruppi di criminalità organizzata transnazionale più pericolosi al mondo – la camorra e la ndrangheta in Italia, Solntsevskaya Bratva nella Federazione Russa, Yamaguchi Gumi in Giappone e Sinaloa in Messico – hanno investito massivamente in questo mercato emergente e ancora non sufficientemente regolamentato, dunque a basso rischio e con alte possibilità di profitto. II nesso tra crimini ambientali e malavita italiana è altresì prorompente nel traffico e smaltimento illecito di rifiuti. A tal proposito, nel febbraio 2017 la Commissione bicamerale di inchiesta sulle ecomafie ha stabilito la desecretazione di alcuni documenti dell’AlSE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna), dai quali è emerso che novanta navi sarebbero state affondate dolosamente nel Mar Mediterraneo dalla criminalità organizzata a partire dagli anni ’90 nel corso di operazioni internazionali di rifiuti illeciti, triangolazioni con traffici illegali di armi e operazioni di riciclaggio di denaro.

 

Conclusioni

Sebbene la legislazione internazionale sui crimini ambientali si stia sviluppando molto rapidamente, si constata che le reti criminali sviluppano le loro strategie ancora più velocemente, sfruttando infatti l’impreparazione internazionale al problema, nonché la divergenza degli approcci adottati dai singoli Stati. Le organizzazioni internazionali maggiormente coinvolte nella lotta contro i crimini ambientali richiedono già da tempo maggiore collaborazione e impegno a tutta comunità internazionale per l’adozione di strategie comuni e coordinate. Infatti, soluzioni nazionali frammentate non sarebbero in grado di rispondere adeguatamente non solo a un fenomeno di portata transnazionale come quello dei crimini ambientali, ma non produrrebbero nemmeno soluzioni omogenee per far fronte alle nefaste conseguenze per l’ambiente e le popolazioni vittime di tali reati.

 

Fonti e approfondimenti

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza in prima sezione del 24 gennaio 2019, caso Cordella e altri c. Italia, Ricorsi nn. 54414/13 e 54264/13, Strasburgo

Chiaff I, Discarded Electronics and Ghana’s Environmental Conundrum: The E-waste Republic, Der Spiegel

Savi M., Lo scontro tra “Land grabbing” e diritti delle comunità, Lo Spiegone, 15 maggio 2018

Manca, V., La tutela delle vittime da reato ambientale nel sistema CEDU: il caso Ilva, In Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale N. 1/2018

Palmisano, M., Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, In Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale N. 1/2018

UNEP, The State of Knowledge of Crimes that have Serious Impacts on the Environment, 2018

UNEP-INTERPOL, The Rise of Environmental Crime – A Growing Threat To Natural Resources Peace, Development And Security. A UNEP-INTERPOL Rapid Response Assessment. In C. Nellemann, et al., 2016

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