di Gianluca Petrosillo
I nativi americani si sono da alcuni anni ritagliati un certo spazio nel dibattito pubblico americano. Nonostante il loro numero molto ridotto, già Obama – durante la sua prima campagna elettorale, nel 2008 – aveva dedicato loro una particolare importanza. Egli venne poi pienamente ricompensato alle urne, dove ricevette circa il 70% dei voti degli indiani. Memori di ciò, molti dei candidati che hanno corso per la nomination del partito democratico hanno deciso di porre attenzione alle questioni che riguardano i nativi. A chi di loro questi hanno dato fiducia in queste primarie democratiche?
I nativi americani negli USA
Da quando ebbe inizio la colonizzazione europea nell’America settentrionale, il numero complessivo dei nativi ha iniziato a calare via via che i coloni avanzavano nell’ovest, cacciando e sterminando intere popolazioni dei cosiddetti “indiani”. Oggi sono la minoranza meno rappresentata all’interno degli Stati Uniti, di cui compongono appena l’1,3% della popolazione totale.
Dopo le guerre indiane, i nativi sopravvissuti al genocidio furono confinati nelle riserve, che furono prima campi di concentramento, poi ghetti e dopo ancora luoghi di residenza. Adesso buona parte di loro vive all’interno di questi territori, detti anche nazioni indiane, concentrati principalmente nelle regioni occidentali e nel Midwest. Fra gli Stati che ospitano grandi nazioni indiane ci sono South e North Dakota, Colorado, Nevada, Montana, Wyoming, Utah, New Mexico, Minnesota, Oklahoma, Michigan e Arizona. Non bisogna credere però che tutti i nativi americani si trovino all’interno delle riserve. Al contrario, quasi il 70% dei nativi oggi vive in zone urbane e nei sobborghi.
Se c’è qualcosa che accomuna i nativi negli Stati Uniti, questa è sicuramente la situazione di estrema marginalità in cui vivono, sia che si tratti di abitanti delle riserve, sia che si parli dei residenti nelle grandi città. Tra i temi principali di questa marginalità, sono molto conosciute le discussioni sulle frequenti espropriazioni forzate di terre o di risorse nelle riserve indiane effettuate dallo Stato, sull’utilizzo improprio di simboli indiani negli stemmi delle società sportive e sull’annosa questione della dipendenza da oppioidi, notevolmente più diffusa fra i nativi.
Meno conosciute sono altre criticità, come incarcerazione di massa, gli alti tassi di povertà e disoccupazione, le violenze sulle donne native, l’alto numero di suicidi, il basso livello di scolarizzazione e le frequenti violenze della polizia. Alcune fra queste sono diffuse anche fra le altre minoranze. Altre, come la distanza fra le riserve e le scuole, i luoghi di lavoro e i seggi elettorali, il cattivo stato delle stesse o la difficoltà nel vedere riconosciute dallo Stato le tribù sono problematiche esclusive dei nativi americani. Nonostante tutto ciò, la politica ha quasi sempre ignorato i loro problemi, ma la situazione sta cambiando.
L’incontro di Sioux City
I nativi non sono abbastanza numerosi per poter spostare da soli l’ago della bilancia delle presidenziali dell’anno prossimo, ma in alcuni Stati potrebbero realmente fare la differenza fra una vittoria di misura e una sconfitta per i democratici. Specialmente in quei territori, come Minnesota e North Carolina, dove il distacco fra Donald Trump e l’avversaria Hillary Clinton nel 2016 fu più ristretto.
Questo i democratici sembrano averlo capito. Ne sono la prova il forte impegno in tal senso dimostrato da alcuni di loro, come Klobuchar, Sanders e, in particolar modo, Warren. Impegno confermato e ribadito con forza durante il Frank LaMere Native American Presidential Forum di Sioux City in Iowa, il primo incontro con i candidati democratici destinato specificatamente ai nativi americani.
Questo incontro, avvenuto il 19 e 20 agosto del 2019, ha visto la partecipazione di dieci degli allora candidati alla guida del partito, e ci fornisce alcune indicazioni per capire quali fra loro i nativi abbiano preferito. Grandi assenti: Donald Trump, che ha rifiutato l’invito degli organizzatori, e Joe Biden, l’unico fra i democratici a non aver inserito nel proprio programma elettorale delle politiche riguardanti i nativi.
Come votano i nativi americani
L’elettorato nativo, come si è detto fin qui, rappresenta una piccolissima fetta del totale. La grande maggioranza delle circa 5 milioni di persone che lo compongono vota democratico. Fanno eccezione alcuni Stati, come South Dakota e Oklahoma, dove questi tendono a esprimere preferenze più distribuite fra i due partiti. Gli Stati in cui questi elettori potrebbero avere un peso importante sono sette: Arizona, Michigan, Minnesota, Nevada, North Carolina, Wisconsin e Colorado.
Nella scelta fra i candidati democratici, invece, i nativi hanno votato in grande maggioranza per Bernie Sanders. Questo è in linea coi dati delle scorse primarie democratiche, in cui il senatore del Vermont era riuscito a radunare buona parte del voto dei nativi (circa l’83% di loro aveva votato per lui in Iowa nel 2016). Sanders ha ottenuto più consensi in queste comunità a causa delle molte battaglie in loro favore che egli ha combattuto nel corso degli anni, come quella per l’approvazione di una legge contro le violenze sulle donne all’interno delle riserve o quella, avviata da Elizabeth Warren, per il ritiro delle medaglie al valore conferite a venti soldati degli USA che compirono una rinomata strage di indiani alla fine del XIX secolo.
Dati attuali e conclusioni
Sanders ha quindi conquistato la maggior parte dei voti dei nativi americani nelle primarie disputatesi finora. Se si confrontano la mappa delle nazioni aborigene su tutto il territorio statunitense con quella delle preferenze elettorali delle primarie democratiche per ogni distretto è facile notare come, in effetti, nei distretti che ospitano le riserve indiane i voti si siano grossomodo concentrati sul senatore del Vermont. Unica eccezione il Minnesota, dove la maggioranza in queste zone è andata anche alla Senatrice Klobuchar.
Un’altra candidata che ha ottenuto una certa fiducia da parte di questa parte di elettorato è stata Elizabeth Warren. Warren si era spesa in particolar modo per i nativi (a volte persino con più forza di Sanders), dichiarando ad esempio di voler estendere anche a loro misure sulla falsariga delle riparazioni per la schiavitù per gli afroamericani.
Era opinione diffusa che Elizabeth Warren non potesse attrarre questi votanti per essersi falsamente dichiarata in passato di discendenza nativa (gesto di cui si è poi scusata). I nativi hanno però accettato le sue scuse, ribadite anche durante il Frank LaMere Forum. Senza considerare la simpatia che ha guadagnato presso i nativi dopo che il presidente Trump, per prenderla in giro, ha incominciato a chiamarla come l’eroina nativa Pocahontas.
Dopo il suo ritiro, la Senatrice del Massachusetts, che ha ottenuto buoni risultati nelle aree a forte presenza di nativi, riuscendo addirittura a piazzarsi al secondo o terzo posto dietro Sanders e Biden, non ha dato il suo appoggio a nessuno dei candidati democratici rimasti in gara per la guida del partito. Questo ha fatto sì che i loro voti si siano indirizzati ancora più fortemente verso il senatore del Vermont, più simile a Warren dal punto di vista politico di quanto lo sia Biden.
Fonti e approfondimenti
Shelby Fleig and Ledyard King, “2020 Democrats are stepping up their courtship of Native American voters. Here’s why.“, Des Moines Register, 15/12/2019
Sara Vowell, “Democrats Are Getting Very Serious About the Native American Vote“, New York Times, 22/08/2019
Elizabeth Myong, “Native American voters could help swing the 2020 presidential election“, CNBC, 11/09/2019
Lauren Leatherby and Sarah Almukhtar, “Democratic Delegate Count and Primary Election Results 2020“, New York Times, updated 17/03/2020
Programmi elettorali dei candidati democratici: Biden, Bloomberg, Harris, Sanders, Warren
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