Il 10 novembre Evo Morales e i suoi più stretti collaboratori – il vicepresidente Álvaro García Linera, la presidente del Senato Adriana Salvatierra e il presidente della Camera Víctor Borda – sono stati costretti a rinunciare ai propri incarichi a seguito di un colpo di stato.
Se nelle elezioni del 20 ottobre ci fossero stati brogli – come sostiene l’OEA (Organización de los Estados Americanos) – o no – come hanno sostenuto sul Washington Post due ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) – sembra ormai essere passato in secondo piano.
Il giorno dopo la rinuncia di Morales, l’11 novembre, la vicepresidente del Senato Jeanine Áñez è stata proclamata presidente ad interim in un Parlamento semi deserto e senza il quorum necessario. In seguito, il Movimento al Socialismo (MAS) di Morales, la Unidad Demócrata e il Partido Demócrata Cristiano hanno raggiunto un accordo per indire nuove elezioni sulla base di due presupposti: l’impossibilità di ricandidarsi per chi ha già svolto due mandati consecutivi (quindi, soprattutto Morales e il suo vice Álvaro García Linera) e l’elezione di un nuovo Tribunal Supremo Electoral (TSE). Il nuovo TSE ha quindi fissato la data per le nuove elezioni il 3 maggio, salvo poi doverle rimandare a causa dell’emergenza Covid-19, consigliando di posticiparle entro un lasso di tempo compreso tra il 7 giugno e il 6 settembre 2020.
L’ex presidente boliviano è stato momentaneamente escluso anche dalla candidatura come senatore. Secondo il TSE, infatti, Morales non rispetta la condizione dell’art 149 della Costituzione di aver risieduto in Bolivia continuativamente almeno gli ultimi due anni precedenti alle elezioni. Un cavillo, visto l’obbligo all’autoesilio imposto all’ex presidente, per il quale gli avvocati hanno già fatto ricorso.
L’incandidabilità di Evo Morales ha costretto il MAS a riorganizzarsi attorno ad altre figure. Vediamo quali.
La riorganizzazione del MAS
Dall’accordo siglato per giungere a nuove elezioni, è iniziata la discussione su chi dovesse succedere all’ex presidente nella guida del partito. Dopo consultazioni interne al MAS nei vari dipartimenti boliviani, sono stati scelti quattro precandidati: Andrónico Rodríguez, Luis Arce, David Choquehuanca e Diego Pary. I precandidati – eccetto Rodríguez che non ha partecipato per motivi di sicurezza – si sono ritrovati il 17 gennaio a Buenos Aires, dove Evo Morales ha trovato rifugio. In questa sede hanno firmato un accordo di unità.
Hoy, en Buenos Aires, en reunión con los hermanos precandidatos, hemos firmado el Acuerdo por la unidad y el fortalecimiento del MAS-IPSP.#VolveremosYSeremosMillones pic.twitter.com/1fxBul3E3i
— Evo Morales Ayma (@evoespueblo) January 17, 2020
Alle consultazioni finali del 19 gennaio hanno preso parte dirigenti del MAS di nove dipartimenti e i rappresentanti del Pacto de Unidad – patto siglato dalle principali organizzazioni di base boliviane. La discussione ha portato all’elezione del binomio Luis Arce – David Choquehuanca, rispettivamente candidati alla presidenza e alla vicepresidenza della nazione.
Quali sono le motivazioni della scelta?
Luis Arce è stato ministro dell’economia e delle finanze pubbliche di Evo Morales durante quasi tutto il suo governo. Anche grazie a lui, la Bolivia è il Paese dell’America latina che, negli ultimi anni, è cresciuto più di tutti negli indicatori macroeconomici (crescita annua del Pil sempre superiore al 4%). Sotto la sua gestione economica, inoltre, la povertà è scesa dal 60% al 35% e la povertà estrema dal 32% al 15%. Arce, insomma, è il volto dei migliori risultati ottenuti dal governo Morales ed è una figura capace di garantire una certa unità al partito. Non da ultimo, l’ex ministro rappresenta quel maschio bianco, colto, che corrisponde ai canoni cercati dalla classe media boliviana (circa il 54% dell’elettorato).
Ma il MAS, come sappiamo, ha una fortissima componente indigena all’interno della sua base. Anche per questo motivo il candidato vicepresidente di Arce sarà David Choquehuanca, di origine aymara e legato alle lotte dei campesinos. Choquehuanca ha già svolto ruoli politici di primo piano: è stato ministro degli esteri di Morales dal 2006 al 2017 e Segretario generale dell’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) dal 2017 al 2019. La scelta di Choquehuanca appare significativa anche dal punto di vista delle relazioni internazionali. Egli è infatti l’uomo di collegamento tra la Bolivia e i governi di Venezuela e Cuba.
C’è un ultimo dato da considerare nell’elezione dei vertici del MAS, ovvero la “non scelta” di Andrónico Rodríguez, che molti analisti avevano pronosticato come una probabile candidatura quantomeno per la vicepresidenza. Andrónico Rodríguez, che ha da poco compiuto trent’anni, è il pupillo dell’ex presidente. Eletto nel 2018 vicepresidente delle Seis Federaciones del Trópico de Cochabamba – di cui Morales è presidente – Rodríguez è un leader cocalero della provincia di Chapare, centro nevralgico delle lotte dei coltivatori di coca. L’appoggio ricevuto dall’ex presidente ha fatto diventare la provincia una delle sue roccaforti.
Al momento di comunicare le candidature di presidente e vicepresidente, Evo Morales ha dichiarato: “Voglio dire ai giovani, ai dipartimenti che hanno scelto Andrónico come precandidato, che a volte bisogna sapersi sacrificare per un progetto politico”. Insomma, Rodríguez da una parte non era ancora pronto vista la sua giovane età e dall’altra, non rappresentava quella figura capace di unificare il partito. Inoltre, visto l’autoesilio a cui è costretto, Morales non era certo di poter accompagnare il suo pupillo nella gestione dell’eventuale potere guadagnato.
Il MAS tra movimenti e statalizzazione
Anche se conosciuto come MAS, la sigla ufficiale è MAS-IPSP (Movimiento al Socialismo-Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos). La caratteristica che ha reso unico il MAS è proprio in quel “IPSP” spesso omesso. Quello guidato da Morales non è infatti un partito, bensì uno strumento che doveva rispondere ai movimenti sociali e alle organizzazioni sindacali.
Agli inizi degli anni Duemila l’unione dei movimenti a difesa dell’acqua, della produzione di coca e dei diritti dei popoli indigeni portò a diverse conquiste. La cosiddetta “guerra del gas”, volta a impedire la privatizzazione del settore estrattivo, fece cadere nel 2003 il governo Gonzalo Sánchez de Lozada. Nel 2005 la stessa sorte toccò al governo di Carlos Mesa, incapace di pacificare il conflitto sociale di quegli anni. Era il preludio alla vittoria elettorale di Evo Morales.
Il MAS cercava di combinare aspetti del partito politico, dell’organizzazione sindacale e dei movimenti sociali. Potremmo dire che si dotava quindi di una doppia struttura: da una parte quella necessariamente formale, legata alle logiche istituzionali; dall’altra quella più informale e movimentista che si articolava nelle assemblee. Nonostante la nazionalizzazione del gas e la convocazione di un’Assemblea Costituente per la stesura di una nuova Costituzione, che andavano incontro alle richieste dal basso, le problematiche derivanti da questo modello cominciarono a emergere presto.
In assenza di strutture istituzionali che collegassero il potere politico con le organizzazioni sociali, il potere cominciò ad accentrarsi nelle mani dell’esecutivo e, quindi, di Morales.
Questo non significa che l’appoggio popolare all’ex presidente cessò. Tra il 2008 e il 2009 i successi furono molteplici: prima la vittoria nella consultazione che mirava a destituire presidente e vicepresidente (2008), poi la schiacciante vittoria nel referendum per l’approvazione della nuova Costituzione e nelle successive elezioni (entrambe nel 2009) in cui il MAS prese dieci punti percentuali in più rispetto al 2005.
I risultati delle elezioni regionali e locali del 2010 mostrarono nuovi segnali di difficoltà per il governo. Nonostante in un bilancio generale Morales risultasse vincitore, il MAS perse la prefettura della Media Luna (ovvero i dipartimenti orientali di Pando, Santa Cruz, Tarija e Beni, da sempre in lotta per l’indipendenza), ma anche i sindaci di La Paz, Oruro e Potosí. Il risultato più significativo, però, è forse quello di El Alto, roccaforte masista: il MAS vinse, ma passò dall’80,3% al 39% delle preferenze.
Nel 2010 ci fu il cosiddetto gasolinazo, ovvero il tentativo di togliere le sovvenzioni agli idrocarburi che avevano i prezzi congelati da 6 anni. La risposta della base fu immediata: la Confederación de Choferes, il sindacato degli autisti boliviani, entra in sciopero. La Central Obrera Boliviana (COB), tra le principali organizzazioni di base a sostegno di Morales, si schiera a sostegno degli autisti. Il ripristino delle sovvenzioni fermò la mobilitazione, ma non il malcontento.
Le proteste si fecero più forti nel 2011 attorno al progetto governativo di costruire un’autostrada tra Cochabamba e la regione orientale del Beni. Il problema, però, è che il progetto prevedeva il passaggio dell’autostrada nel territorio indigeno del Parque Nacional Isiboro Sécure (TIPNIS), dividendolo di fatto in due. Il TIPNIS è una riserva ambientale nella quale si concentra un’enorme biodiversità e che, per mandato costituzionale, è un territorio amministrato dalle comunità indigene locali. Comunità che non sono state consultate e che dal 2011 lottano perché il progetto venga interrotto.
A partire dal 2016, con il referendum per eliminare il limite di due mandati consecutivi, la distanza si è acutizzata. Dopo aver perso il referendum, Morales sottopose la questione del limite dei mandati al TSE, riempito di suoi sostenitori, che giudicò il limite incostituzionale abilitandolo per le elezioni del 2019.
Per chiudere il cerchio, è bene ricordare che già settimane prima delle elezioni a Potosì si erano mobilitati minatori, lavoratori salariati e contadini. Il motivo era il contratto di concessione firmato dal governo con una multinazionale tedesca, la ACI Systems GmbH, per l’industrializzazione della riserva di litio del Salar di Uyuni. Con il contratto il governo riconosceva il 49% dei profitti alla società e si attribuiva il diritto di esportare l’83% della produzione di litio. L’interruzione del progetto, ancora una volta tardiva, non ha fatto cessare il malcontento.
La riorganizzazione del MAS deve passare dalla sua base
Se è vero che il colpo di stato c’è stato, è altrettanto vero l’allontanamento del MAS dalla sua base. A testimonianza di ciò, oltre a quello che abbiamo visto, c’è la perdita di quasi 300 mila voti tra le elezioni del 2019 e quelle del 2014 e di quasi un 15% di consenso sul totale degli elettori.
Per tornare ad avere il sostegno della sua base, il MAS dovrà fare autocritica e riuscire a coniugare il suo percorso istituzionale con le lotte dei movimenti. Il binomio Arce-Choquehuanca sembra andare in questa direzione.
Fonti e approfondimenti
- M. Maesschalck, P. Guadarrama, E. Cruz, A. Guerrero, S. Reding, A. Gómez Muller, L. Tovar, V. Aguilar, J. Paz y Miño, F. Simbaña, F. Tubino, J. Viaña, M. Rezende, J. Pizzi, S. López, Y. Acosta, M. Rubinelli, A. Bonilla, E. Vior, F. Mare, J.M. Aguirre Oraa y R. Salas A., “Luchas sociales, justicia contextual y dignidad de los pueblos”, Ariadna ediciones, Santiago de Chile, 2020
- Universidad Nacional de Río Cuarto, Cultura en Red Año IV, Volumen 6, 2019
- Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (parte 1): “Gracias Evo, pero que descanse”, Lo Spiegone, 6/10/2019
- Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (Parte 2): Evo, Mesa e poche certezze, Lo Spiegone, 17/10/2019
- Kevin Carboni, El Indio: una prospettiva su Evo Morales, Lo Spiegone, 22/10/2017
- Redazione, Golpe o non golpe, per la Bolivia si aprono grandi incognite, Lo Spiegone, 17/11/2019
- Serena Pandolfi, Ricorda 2009: la nuova Costituzione indigenista della Bolivia, Lo Spiegone, 31/08/2019
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