Golpe o non golpe, per la Bolivia si aprono grandi incognite

Golpe Bolivia
@.ky - Flickr - CC BY-SA 2.0

di Francesco Betrò e Francesca Rongaroli

L’incertezza e la tensione hanno segnato tutta la fase preparatoria al voto presidenziale in Bolivia. Anche con queste premesse, però, era difficile anticipare la piega burrascosa che gli eventi avrebbero preso a partire dalla sera del 20 ottobre. Già dalla diffusione dei risultati preliminari, ha cominciato a essere chiaro il vantaggio di Evo Morales, in carica dal 2006 e in corsa per il suo quarto mandato. Decisiva per una eventuale seconda tornata era proprio l’entità di questo vantaggio: se non si fossero raggiunti i dieci punti di scarto, Morales avrebbe dovuto confrontarsi nuovamente con Carlos Mesa (candidato della Comunidad Ciudadana e già presidente dal 2003 al 2005), mettendo a rischio la rielezione a causa dell’effetto “calamita” tra il suo principale avversario e gli altri partiti di opposizione.
All’84% dei voti scrutinati, la differenza era di 7 punti. A quel punto il conteggio è stato interrotto – le motivazioni sono poco chiare e contraddittorie – per essere ripreso il giorno dopo. Quando lo spoglio è ricominciato, la posizione de El Indio era migliorata tanto quanto bastava per garantirgli la vittoria al primo turno. In chiusura, le percentuali ufficiali di voto erano 47,08% per Morales e 36,51% per Mesa.

Il crescendo di instabilità

Le tre settimane seguenti sono state un avvicendarsi di svolte inaudite, al punto che anche la Bolivia si è fatta largo nel clamore di un continente in subbuglio. Tuttavia, sarebbe riduttivo e soprattutto fuorviante parlare di un effetto a catena per le mobilitazioni cittadine sudamericane, dato che le motivazioni che hanno originato le proteste boliviane si distanziano molto dal contesto ecuadoriano e cileno. Rimane certo che, anche in questo caso, i toni delle manifestazioni sono cresciuti esponenzialmente dopo la domenica del voto, con un fronte anti-Evo che gridava alla frode elettorale e uno evista che condivideva la sua apprensione per le interferenze straniere ostili e un imminente colpo di stato.
Nonostante la ratificazione del Tribunale Supremo Elettorale (2 novembre), la vittoria di Evo non è stata riconosciuta dalle Commissioni di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani e dell’Unione europea. Il vero punto di rottura è stato l’ammutinamento di una parte considerevole della Polizia e delle Forze Armate boliviane. Di lì a poco sono arrivate le dimissioni di Evo. Nonostante il 10 novembre Morales avesse annunciato che si sarebbe proceduto alla convocazione di nuove elezioni, l’escalation di criticità e la minaccia di ripercussioni per lui e la sua cerchia più stretta l’hanno costretto a desistere. Morales si è così rifugiato in Messico, dove il presidente Andrés Manuel López Obrador gli ha concesso asilo politico.

Ad assumere la presidenza in via transitoria è stata la senatrice Jeanine Áñez, prima nella linea di successione a causa della rinuncia dei sostenitori di Evo con le cariche più alte: Álvaro García Linera (vicepresidente) e i presidenti di Camera e Senato. L’autodichiarata presidente ad interim ha reso chiara in molti modi la sua distanza dalla postura politica di Evo e dalla realtà plurinazionale e indigena del Paese, a partire dal giuramento sulla Bibbia.

Prima che i riflettori cadessero su Áñez, l’opposizione radicale anti-Morales si era concretizzata nella figura dell’estremista Luis Fernando Camacho (leader del Comité Pro Santa Cruz) il quale sembrava pronto ad assumere un ruolo centrale, nonostante fosse estraneo alle istituzioni politiche. Domenica 10 novembre, Camacho era entrato all’interno del Palacio Quemado, il vecchio palazzo presidenziale, inginocchiandosi dinanzi a una Bibbia che lui stesso aveva portato.

Golpe o non golpe?

Da giorni, è questa la domanda che più di tutte divide chi ha gli occhi puntati sulla Bolivia: si è trattato di un golpe o no?
Uno degli argomenti più comuni contro questa ipotesi è che la rinuncia è arrivata “spontaneamente” dalla stessa voce di Morales. Vale la pena ribadire, invece, che le condizioni in atto sono molto lontane rispetto a quella che si potrebbe definire una transizione democratica. Un golpe è un processo e coinvolge più fattori, i quali agiscono in tempi diversi: soprattutto nell’epoca attuale è quasi impensabile che esploda in un solo momento emblematico come era stato in Cile il bombardamento della Moneda da parte degli aerei di Pinochet.

Con colpo di stato ci si riferisce a un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri. In senso più ampio, è una violenta modificazione dell’ordinamento costituzionale vigente, anche quando non è dovuta a uno degli organi esecutivi. Per completare questa definizione, devono verificarsi tre caratteristiche: il mandato del presidente viene interrotto, il procedimento è incostituzionale (non c’è stata destituzione tramite il voto dei parlamentari, ma una rinuncia indotta con la minaccia) e, da ultimo, le Forze Armate ne hanno stabilito l’esito. Sono caratteristiche che si riscontrano nell’attuale situazione boliviana e che rendono ingiustificabile la rottura dell’ordine costituzionale.
Alla rinuncia di Evo Morales è seguito il tentativo, riuscito, di far dimettere ministri e parlamentari del MAS (Movimiento al Socialismo), minacciati con attacchi alle loro case e alle loro famiglie.

L’altra rischiosa tendenza, data l’evoluzione degli eventi, è che la memoria corra al recente trascorso venezuelano. In questo senso, la crisi di legittimità che sta vivendo Morales ricorda quella di Maduro, così come l’entrata in campo di un presidente ad interim da molti identificato come una “marionetta” dell’ingerenza USA. Fortunatamente, le condizioni economiche di Bolivia e Venezuela non sono paragonabili, così come non lo sono i livelli di crisi sociale e di violenza. Anche l’aspetto ideologico (si pensi alla componente chavista) è smorzato nel caso della Bolivia. Questo non dovrebbe sminuire il fatto che pure in questo caso gli scontri hanno lasciato dei morti: a seconda delle versioni, si contano tra le cinque e le otto vittime della repressione.
Per di più, in parallelo all’opposizione democratica, si stanno ingrossando le fila dei gruppi radicali razzisti e violenti, pronti ad approfittare del momento per sfogare l’odio anti-indigeni.

Le fila difficili da tirare

Partendo dalle certezze: sono gli eventi stessi a mettere a fuoco la più grande mancanza di Evo. In linea con la tendenza del caudillismo (uno dei fenomeni più longevi della storia latinoamericana), Morales ha accentrato il potere nelle sue mani fino a corrodere la sua stessa legittimità. Oltretutto, non ha creato le condizioni perché il suo progetto politico potesse essere assunto da un’altra figura all’interno del MAS, che infatti oggi è alla deriva.

L’attaccamento alla sua carica lo ha portato a cancellare il risultato del referendum del 2016 per modificare la Costituzione che lui stesso aveva redatto nel 2009. Quando il suo popolo ha votato contro la possibilità di eliminare il limite di due mandati consecutivi, Morales si è appellato al Tribunal Constitucional Plurinacional (TCP). Il Tribunale – essenzialmente composto da membri del MAS – ha dichiarato incostituzionale la norma, garantendo a Evo la possibilità di vincere nuovamente le elezioni. Il problema non sta tanto nella possibilità che un presidente venga eletto per più di due mandati consecutivi – se guardiamo all’Europa questo succede da sempre -, ma nell’aver aggirato la sua Costituzione, in contrapposizione al volere popolare.

Nonostante gli errori, i governi di Evo Morales hanno portato un complessivo miglioramento della vita dei cittadini boliviani. Il MAS è riuscito a ridurre la povertà del 42% e l’estrema povertà del 60%, oltre a dimezzare la disoccupazione e ad aver nazionalizzato le risorse chiave del Paese. Il riconoscimento di ciò è riscontrabile nell’appoggio che la popolazione di El Alto, città limitrofa a La Paz e tra le più povere del Paese, continua a ribadire anche in questi giorni. Sotto Morales, inoltre, il PIL boliviano è cresciuto come mai in precedenza, sempre a un tasso superiore al 4%. Nel 2019, secondo le previsioni toccherà il 4,1%.
Tutte queste conquiste, insieme ai diritti riconosciuti ai popoli originari e alla conseguente creazione dello Stato plurinazionale, non sono però bastati a Evo Morales per mantenere saldo il consenso. Oggi, il Paese affronta un momento di instabilità quasi senza precendenti.

Il netto cambio di postura politica ai vertici del Paese è stato rispecchiato dalla recente dichiarazione della canciller Karen Longaric. L’incaricata del ministero per gli Affari Esteri ha destituito quasi l’80% degli ambasciatori designati da Morales e ha dichiarato persone non gradite i diplomatici venezuelani, invitandoli a lasciare il territorio. Soprattutto, Longaric ha ritirato la Bolivia dall’Alianza Bolivariana de los Pueblos de Nuestra América (ALBA), per anni il pilastro più concreto dell’affinità ideologica con il Venezuela.

In questo quadro, l’ex presidente Evo condanna ripetutamente il golpe e sostiene che tornerà. In Bolivia, la presidente ad interim annuncia nuove elezioni, mentre il popolo boliviano, assediato dalle incognite e più che mai polarizzato, deve ristabilire completamente la propria direzione.

Fonti e approfondimenti

¿Es un golpe de Estado lo que ha pasado con Evo Morales en Bolivia?, El País, 12/11/2019

Giro radical en la política exterior de Bolivia: expulsa diplomáticos de Venezuela, se retira del ALBA y pide asesoramiento policial de Colombia, Nodal, 15/11/2019

Kevin Carboni, El Indio: una prospettiva su Evo Morales, Lo Spiegone, 22/10/2017

Gwynne Dyer, Gli errori che la Bolivia non ha perdonato a Evo Morales, Internazionale, 11/11/2019

Maria Galindo, Bolivia: La Noche de los cristales rotos, La Vaca, 11/11/2019

Alan MacLeod, Perché i grandi media non parlano di golpe in Bolivia, Jacobin Italia, 13/11/2019

Fernando Molina, Bolivia: ¿golpe o (contra)revolución?, Nueva Sociedad, 11/2019

Serena Pandolfi, Ricorda 2009: la nuova Costituzione indigenista della Bolivia, Lo Spiegone, 31/08/2019

Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (parte 1): “Gracias Evo, pero que descanse”, Lo Spiegone, 6/10/2019

Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (parte 2): Evo, Mesa e poche certezze, Lo Spiegone, 17/10/2019

Pablo Stefanoni, ¿Qué pasa en Bolivia?, Nueva Sociedad, 10/2019

Gustavo Veiga, ¿Quién es Luis Fernando Camacho?, Pagina12, 11/11/2019

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