La Siria del futuro: il caso di Marota City

Marota City
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A più di nove anni dall’inizio della rivoluzione, la situazione in Siria rimane tragica sia a livello sociale che economico. La guerra ha colpito pesantemente anche infrastrutture ed edifici. Tuttavia, il processo di ricostruzione è iniziato fin dai primi anni del conflitto: il regime ha gradualmente irrobustito la legislazione relativa allo sviluppo urbano nel contesto di un’economia sempre più neoliberale.

In questo quadro, il progetto Marota City rappresenta il prototipo della Siria del prossimo futuro secondo Assad. Stando alla propaganda ufficiale, il progetto punterebbe al rilancio della crescita economica e alla modernizzazione del Paese. Ciò nonostante, diversi studiosi, attivisti dei diritti umani e rifugiati accusano il regime di utilizzare le leggi sullo sviluppo urbano come strumento di guerra per colpire le opposizioni e premiare i lealisti governativi. Il rischio inoltre è che, funzionali ad allargare la rete clientelare di Assad, questi progetti finiscano per riprodurre ed esacerbare le disuguaglianze sociali presenti nel Paese.

Marota City: il quadro legale

Più di quarantacinque provvedimenti legislativi sono stati emanati dal governo relativamente alla questione abitativa e alla proprietà terriera tra il 2012 e il 2018. Il decreto legislativo n.66 del 2012, in particolare, ha rappresentato un punto di svolta. Esso ha consentendo di individuare nella parte sud-orientale della capitale Damasco una zona che include parte dei quartieri informali di Mazzeh e Kafr Soussa, da destinare al nuovo progetto immobiliare Marota City. La legge n.10 del 2018 ha poi esteso i provvedimenti del decreto legislativo n.66 del 2012 a livello nazionale.

Nuovi progetti di rigenerazione e sviluppo urbano sono quindi partiti non solo a Damasco, ma anche in altre città, come Aleppo e Homs. Nel caso di Marota City, i cui lavori potrebbero partire proprio quest’anno, è prevista la costruzione di 12 mila unità abitative per oltre 6 mila persone, grattacieli, scuole, centri commerciali, ristoranti, zone verdi, hotel e luoghi di culto su un’area di 2,14 milioni di metri quadrati. Il progetto mirerebbe inoltre a creare migliaia di nuove opportunità di lavoro.

La Damascus Cham Holding Company (DCHC), nata nel 2016, è la società incaricata di implementare il progetto di Marota City e può essere considerata il simbolo dell’accelerazione data da Assad al processo di trasformazione in senso neoliberale del Paese. La creazione della DCHC rientra infatti nell’ambito della legge n.5 del 2016 che permette di stabilire partnership pubblico-private in cui il settore privato investe, implementa e partecipa ai progetti di sviluppo promossi dal settore pubblico. Il decreto n.19 del 2015 ha poi autorizzato la creazione di società private che controllino e gestiscano beni e proprietà possedute dalle autorità locali.

Ricostruzione o strumento di guerra?

Stando al testo della legge n.66, l’obiettivo è risolvere la questione degli insediamenti informali a Damasco, dove prima del 2011 risiedeva il 40% della popolazione. Oltre a ciò, Marota City è stata sponsorizzata dal governo come un’occasione per rilanciare la crescita economica siriana e ricostruire il Paese ristabilendo la sovranità statale sulle zone riconquistate.  Secondo un report del Syrian Network for Human Rights circa 3 milioni di abitazioni sono state completamente distrutte o gravemente danneggiate a causa delle operazioni belliche.

Tuttavia, ad allarmare sono le conseguenze politiche, economiche e sociali che deriverebbero dall’applicazione di queste norme e il loro utilizzo come strumento di guerra per colpire i cosiddetti diritti dell’Housing, Land and Property (HLP) di chi si oppone al regime. Secondo Human Rights Watch infatti, casi di demolizioni illegali, volti a colpire la popolazione civile, si sono verificati proprio nei quartieri su cui sorgerà Marota City, abitati perlopiù da chi ha partecipato alle proteste anti-regime del 2011.

Dalla legge n.10 potrebbero essere colpiti poi, oltre ai residenti attuali, gli sfollati interni e rifugiati che oggi complessivamente sono circa 13,2 milioni. Essi hanno un anno di tempo per presentare di persona o attraverso un membro di famiglia la documentazione necessaria a dimostrare il possesso della proprietà, che è altrimenti confiscata dalle autorità locali coinvolte nel progetto di ricostruzione. Il governo avrebbe previsto degli indennizzi per coprire i costi di un’abitazione alternativa ma diversi residenti hanno denunciato di aver ricevuto una compensazione insufficiente o di non averla ricevuta affatto.

Gli interessati potrebbero essere poi scoraggiati a far valere i propri diritti sia dalla procedura di controllo che dovrebbe essere svolta dai servizi di sicurezza siriani, le cui violazioni di diritti umani sono note, sia dalla paura di essere colpiti da una controversa legislazione anti-terrorismo. In particolare, la legge n.19 insieme al decreto n.63 del 2012, pattuiscono una definizione di terrorismo così ampia da rendere facilmente confiscabili le proprietà di chi ha fatto parte del fronte delle opposizioni. Inoltre, spesso rifugiati e sfollati hanno lasciato le proprie abitazioni senza documenti e nelle aree informali i dati sull’HLP non sono stati mai registrati ufficialmente o sono stati largamente compromessi dalla guerra.

I nuovi clienti del regime

Con l’inizio del conflitto non si è assistito solo a demolizioni a scopo militare e politico per punire le opposizioni, ma anche a distruzioni intenzionali per creare nuove opportunità di investimento nel settore edilizio. I benefici derivanti dai nuovi progetti sono serviti infatti ad alimentare la rete clientelare del regime: il nuovo quadro legale ha favorito non solo gli imprenditori siriani che hanno dimostrato lealtà ad Assad, ma ha anche permesso di cooptare nuovi attori economici che si sono affermati durante il conflitto.

Nel caso della DCHC, oltre a personalità come Rami Makhlouf e Samer Foz, vi sono imprenditori siriani meno noti come Hayan Qaddour, Maen Haykal, Ahmad Jamal Eddine. E altri che hanno fatto fortuna all’estero, in particolare in Kuwait e negli Emirati Arabi, come Mazen Tarazi e Anas Talas. Nel 2019 sono stati tutti oggetto delle sanzioni economiche dell’Unione europea e a inizio 2020 è stata colpita la stessa DCHC. Inoltre, lo scorso 17 giugno sono entrate in vigore nuove sanzioni statunitensi, sancite dal cosiddetto Caesar Act, che andrebbero a colpire nuove personalità legate all’élite al potere, tra cui la moglie del presidente Asma Assad e suo fratello Maher Assad.

I progetti di ricostruzione rappresentano anche il tentativo del regime siriano di attrarre investimenti stranieri e consolidare i rapporti con i governi alleati. Il regime infatti ha offerto contratti di ricostruzione soltanto ai governi che lo hanno supportato durante la guerra come quello russo e iraniano. Già nell’ottobre 2015 Mosca ha stipulato un contratto di 850 milioni di euro per la ricostruzione delle infrastrutture siriane.

La Siria del futuro non è per tutti

Nel breve periodo i progetti di investimento immobiliare rappresentano occasioni di immensi profitti per i grandi imprenditori che riescono ad appropriarsi del patrimonio pubblico a condizioni decisamente favorevoli e a scapito del resto della popolazione. I nuovi spazi di Marota City infatti sono destinati all’alta borghesia e ai turisti. Il valore per metro quadro varia infatti tra i 600$ e i 1000$, che è una cifra decisamente non sostenibile per i vecchi abitanti, appartenenti a classi meno agiate. Il rischio quindi è che norme come il decreto n.66 e la legge n.10 contribuiscano, attraverso processi di gentrificazione urbana, a riprodurre ed esacerbare quelle disuguaglianze sociali ed economiche che hanno spinto la popolazione a scendere in piazza nel 2011. Un altro rischio collegato è quello di scoraggiare il ritorno in patria dei rifugiati, tra cui vi sono importanti settori della borghesia e della manodopera siriana, fondamentali per il processo di ricostruzione.

Fonti e Approfondimenti

Mahmoud Al-Lababidi, “Damascus Businessmen: The Phantoms of Marota City“,  European University Institute, April 2019

Joseph Daher, “The paradox of Syria’s Reconstruction“, Carnegie Middle East Center, September 2019.

Human Rights Watch, Razed to the ground – Syria’s Unlawful Neighborhood Demolitions in 2012.

World Bank Group, The Toll of War – The Economic and Social Consequences of the Conflict in Syria, Washington: WBG, 2017.

UNHCR, Global trends – Forced displacement in 2019, 2020.

SNHR, “Satellite Imagery Proves that Russian Attacks Have Exterminated Entire Eastern Ghouta Towns”, 2018

Valerié Clerc. “”Reconquérir ou reconfigurer les marges de la ville ? Les contradictions des politiques de résorption des quartiers informels à Damas” in SEMMOUD N. Les marges et la ville : entre exclusion et intégration. Cas Méditerranéens, Presses Universitaires François Rabelais, Tours. 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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