Le comunità sino-indonesiane formano uno dei più di 600 gruppi etnici che abitano la nazione-arcipelago. I discendenti della diaspora cinese rappresentano una minoranza, che ammonta solo a circa il 2% della popolazione indonesiana, ma sono stati centrali nella società, l’economia e la politica del Paese. Per comprendere la condizione attuale della diaspora cinese in Indonesia e il suo ruolo nelle relazioni tra il Paese e la Cina, ripercorriamo insieme alcuni momenti fondamentali della storia delle comunità sino-indonesiane.
La diaspora cinese in Indonesia: dalle prime migrazioni alla creazione dello “straniero”
Per diversi secoli, migranti dall’est e dal sud della Cina partirono verso l’Indonesia lungo le rotte commerciali marittime. A Sumatra, scavi archeologici hanno portato alla luce il più antico quartiere cinese di cui abbiamo testimonianza nel Paese, risalente al tardo XI secolo. Queste prime comunità diasporiche, per lo più di religione musulmana, si integrarono con facilità nella società locale e tagliarono i contatti con la madrepatria.
Il governo coloniale olandese, istituito nel 1800, divise la popolazione che abitava l’arcipelago in indigeni, europei e non-indigeni – definiti “orientali stranieri”. I discendenti cinesi furono inclusi in quest’ultimo gruppo. La costruzione identitaria coloniale separò dunque la comunità cinese dalle popolazioni indigene, sebbene molte di quelle persone avessero alle spalle decenni – se non secoli – di integrazione con le popolazioni locali.
Le radici del risentimento: il ruolo economico della diaspora durante la dominazione olandese
L’amministrazione coloniale attribuì specifici ruoli economici agli appartenenti a questi tre macro-gruppi etnici. Così facendo, gettò le basi per quell’iniqua distribuzione di ricchezza e privilegi che sarebbe stata centrale nella creazione di un forte sentimento anti-cinese tra le popolazioni “native”.
Il governo olandese limitò le attività economiche delle comunità indigene ad agricoltura, pastorizia e al commercio dei relativi prodotti, mentre le comunità diasporiche cinesi servivano come intermediari per le attività commerciali europee. Così, durante il periodo coloniale le comunità sino-indonesiane ottennero importanti successi economici e con questi, attirarono il risentimento delle popolazioni indigene.
La diaspora cinese nell’Indonesia della prima metà del XX secolo
Con la svolta nazionalista della Cina nel XX secolo, molti sino-indonesiani si orientarono di nuovo verso la madrepatria ancestrale. Questo momento diasporico – inteso come un periodo in cui la connessione tra la diaspora e la terra d’origine prende nuova forza – si espresse nella fondazione di movimenti, scuole e camere di commercio cinesi.
Questo fenomeno si scontrò con il nascente nazionalismo delle comunità indonesiane indigene e con un’amministrazione olandese preoccupata di perdere il controllo delle colonie. Tentando di reprimere l’influenza del nazionalismo cinese, il governo coloniale chiuse le scuole e bandì i movimenti legati alla diaspora cinese.
Durante la Rivoluzione Indonesiana (1945-50), il governo coloniale dipinse le comunità sino-indonesiane come sostenitrici del controllo olandese. In questo modo supportò l’idea che la diaspora cinese fosse contro l’indipendenza delle popolazioni indigene, aumentando il risentimento di queste ultime. In realtà, gli interessi e le affiliazioni delle comunità diasporiche con gli olandesi erano molto eterogenei. Di conseguenza, il loro supporto era difficilmente riassumibile in una posizione unica.
La diaspora cinese nell’Indonesia indipendente
La diaspora cinese negli anni di Sukarno, 1950-1965
Ottenuta l’indipendenza nel 1950, il presidente Sukarno mantenne un approccio misto verso le comunità sino-indonesiane. Se da una parte voleva includerle nella costruzione nazionale in virtù del loro valore per l’economia, dall’altra introdusse politiche discriminatorie nei loro confronti. Tra queste spicca il Sistema Benteng, introdotto nei primi anni ’50, che vietava la partecipazione di sino-indonesiani ad attività di import-export. Nella stessa direzione andava il Decreto Presidenziale n. 10 del 1959, che vietava loro di fare commercio al dettaglio nelle campagne.
Per quanto in quel periodo non ci furono episodi di violenza paragonabili a quelli degli anni successivi, la diaspora cinese era ugualmente già guardata con risentimento e sospetto, soprattutto da un punto di vista politico. Durante la Guerra Fredda, infatti, i sino-indonesiani furono spesso accusati di essere intermediari della Cina comunista.
La diaspora cinese negli anni di Suharto, 1966-1998
I 32 anni di presidenza di Suharto ebbero un enorme impatto sulle comunità sino-indonesiane, che furono vittime di discriminazione istituzionalizzata e considerate una minaccia all’unità nazionale.
Insieme a misure a favore delle popolazioni indigene, Suharto attuò delle politiche che limitavano la libertà delle minoranze, in particolare quella cinese. Questi sviluppi misero sotto grande pressione la diaspora cinese, richiedendo di abbandonare ogni caratteristica, simbolo e riferimento collegabile alla loro origine etnica. Il governo impose l’assunzione di nomi e cognomi indonesiani e chiuse le scuole, bandì i media e dissolse le organizzazioni legate alle comunità sino-indonesiane. Inoltre, sebbene gli fosse permesso di svolgere attività economiche, la diaspora fu esclusa da qualsiasi tipo di attività politica.
Il governo di Suharto fu segnato in particolare da due episodi di violenza anti-cinese. Il primo ebbe luogo all’inizio della sua presidenza, tra il 1965 e il 1966. Allora Sukarno venne deposto da un colpo di stato fallimentare che, secondo la versione dei fatti di Suharto, era da attribuire al Partito Comunista Indonesiano (PCI). A questo evento seguirono rivolte e purghe anticomuniste, e infine la presa di potere di Suharto. L’idea che i sino-indonesiani fossero affiliati alla Cina comunista, e di riflesso al PCI, fece sì che le comunità diasporiche finissero tra le vittime di queste violenze, portando a migliaia di morti tra i loro membri.
Il secondo episodio ebbe luogo nel maggio del 1998. Quell’occasione, insieme alla cattiva gestione economica, segnò invece la caduta di Suharto. Nel 1997, i problemi economici causati dalla crisi finanziaria asiatica spinsero le popolazioni indigene a sfogare la loro frustrazione contro i sino-indonesiani, ritenuti economicamente privilegiati rispetto ai locali. Negozi e abitazioni delle comunità diasporiche furono presi d’assalto, saccheggiati e incendiati. Donne di etnia cinese furono stuprate e più di un migliaio di sino-indonesiani morirono, per lo più tra le fiamme delle loro proprietà.
La diaspora cinese nell’Indonesia contemporanea
Dopo la caduta di Suharto nel 1998, i presidenti successivi hanno gradualmente lasciato andare l’approccio indigenista che fino ad allora aveva caratterizzato la politica indonesiana.
Negli ultimi 20 anni, le comunità sino-indonesiane hanno acquisito maggiori libertà. La loro posizione legale ha visto un miglioramento, con leggi come quella sulla cittadinanza del 2006, in cui si abbandona la dicotomia tra popolazioni indigene e non. In questo modo, l’origine etnica non dovrebbe più essere un fattore che distingue i cittadini indonesiani davanti alla legge.
Anche la possibilità di espressione culturale delle comunità sino-indonesiane si è ampliata. Oggi in Indonesia, festività e rituali collegati alla madrepatria cinese possono essere liberamente festeggiati. Ciò ha portato a una riscoperta dell’identità etnica cinese, da attribuire sia al rilassamento delle restrizioni locali che al crescente soft power di Pechino, risultato dell’ascesa della Repubblica popolare. Questa riscoperta è stata cauta per molti sino-indonesiani, preoccupati che nuove ondate di violenza a sfondo etnico siano sempre dietro l’angolo.
Partecipazione politica delle comunità sino-indonesiane: il caso di Ahok
Nonostante questi progressi, la possibilità d’azione politica dei membri delle comunità sino-indonesiane è di fatto ancora molto limitata. Il caso di Basuki Tjahaja Purnama, noto come Ahok, ci permette di capire meglio questo aspetto.
Ahok, discendente del Guangzhou e di religione cristiana, è stato il primo sino-indonesiano a essere eletto governatore di Jakarta nel 2014. Nessun sino-indonesiano aveva mai ricoperto una carica politica così alta, e Ahok godeva di un certo seguito e consenso popolare.
Nel 2017, Ahok decise di ricandidarsi a governatore di Jakarta, stavolta come candidato indipendente e non più nel gruppo del presidente Joko Widodo. Nel corso della sua campagna elettorale, la sua origine etnica lo ha reso obiettivo di diversi commenti razzisti da parte di conservatori e rivali.
Uno dei suoi discorsi elettorali gli è costato una condanna a due anni di prigione per blasfemia. Ahok, infatti, aveva citato un verso del Corano solitamente utilizzato per giustificare la linea secondo cui i musulmani non possono avere un non musulmano come guida politica; affermando che questa interpretazione del verso avanzata dai leader islamici fosse fuorviante. Il discorso di Ahok è stato successivamente pubblicato online, in una versione editata in modo da far sembrare che avesse affermato che il Corano – e non l’interpretazione del verso in questione – fosse fuorviante.
Questo episodio ha suscitato l’indignazione degli integralisti islamici, che hanno spinto affinché la questione fosse discussa di fronte a una giuria. La seguente condanna per blasfemia, doppia rispetto all’anno richiesto dall’accusa, ha portato l’unico sino-indonesiano fino oggi riuscito a fare carriera politica a essere rimosso dall’incarico, imprigionato e di fatto ostacolato nel proseguimento della sua attività.
Un ruolo per la diaspora nelle relazioni sino-indonesiane?
Ripercorrendo il cammino percorso dalle comunità sino-indonesiane, sorge spontaneo chiedersi quale possa essere il ruolo della diaspora cinese nelle relazioni con Pechino, dopo che per decenni la possibilità d’azione di queste comunità è stata ostacolata.
Nonostante il limitato ruolo politico, oggi i sino-indonesiani mantengono un importante valore diplomatico. La fine del bipolarismo e l’ascesa cinese hanno fatto sì che il governo indonesiano attuasse politiche sempre più concilianti nei confronti della minoranza cinese – ben consapevole dell’importanza, simbolica e non, attribuita da Pechino a quelli che definisce “cinesi d’oltremare”.
La diaspora cinese funge inoltre da intermediario economico tra i due Paesi, occupandosi di gestire investimenti e commercio dalla Cina all’Indonesia e viceversa. Per quanto molto eterogenee in termini di benessere economico, le comunità sino-indonesiane sono ancora considerate dalle popolazioni indigene come privilegiate.
Infine, le comunità diasporiche sono diventate anche un veicolo per il soft power cinese nell’arcipelago. La riscoperta della cultura cinese da parte di diversi membri di queste comunità, infatti, ha reso la lingua e la cultura cinese parte della vita quotidiana in Indonesia. Tuttavia, il passato turbolento del Paese fa sì che l’affiliazione della diaspora alla Cina continentale rimanga spesso opportunistica e volatile.
In un’Indonesia sempre più inclusiva verso le sue minoranze, le comunità diasporiche cinesi potrebbero diventare attori centrali nelle relazioni tra Pechino e la più grande potenza economica del sud-est asiatico.
Fonti e approfondimenti
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Lamb Kate, “Jakarta Governor Ahok Sentenced to Two Years in Prison for Blasphemy”, The Guardian, 2017.
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