La diaspora cinese nel Sudest asiatico rappresenta un esempio di come l’evoluzione delle società sia caratterizzata da ricorrenti cicli di migrazione e integrazione. Grazie alle migrazioni che si sono susseguite nel corso dei secoli, oggi il Sudest asiatico è la regione in cui si trova la concentrazione più alta di discendenti di comunità ed etnie originarie della Cina continentale.
Nelle sudest asiatico come in Cina, questi fenomeni migratori hanno creato diverse realtà sociali e favorito specifiche risposte politiche nei confronti della diaspora cinese. Quest’ultima quindi offre un punto di osservazione privilegiato per comprendere come l’evoluzione delle politiche identitarie di Pechino abbia influenzato le relazioni tra Cina e la regione.
I “cinesi d‘oltremare” e le politiche di coinvolgimento della diaspora cinese da parte del PCC
Sin dall’epoca di Deng Xiaoping, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha considerato la diaspora cinese come una forza fondamentale per favorire la propria internazionalizzazione. Il PCC ha quindi progressivamente riconfigurato i suoi rapporti con quelli che la retorica di partito definisce “cinesi d’oltremare”. Gli strumenti a disposizione del Partito sono stati ristrutturati e potenziati, per gestire al meglio i rapporti con la diaspora e attuare una governance di aspirazione sempre più transnazionale.
L’apertura della Cina al mondo esterno è stata accompagnata dal proliferare di meccanismi e organizzazioni concepite per coinvolgere i discendenti della diaspora cinese. Questi organi hanno le funzioni più disparate: alcuni coordinano le politiche relative al coinvolgimento della diaspora e promuovono il senso di unità con la “patria”, mentre altri si impegnano per attrarre il “ritorno” di capitali e talenti in Cina. Altri ancora sviluppano programmi di lingua cinese e scambi culturali, o diffondono la linea politica che il Partito vuole trasmettere ai “cinesi d’oltremare”. Uffici dedicati alla rappresentanza dei “cinesi d’oltremare” sono presenti anche tra i livelli più alti di organizzazione statale e di Partito.
Dai tardi anni Settanta – e sempre di più nel corso degli ultimi vent’anni –, il PCC ha promosso l’immagine dei “cinesi d’oltremare” come un gruppo unitario, una grande famiglia. Basandosi su una presupposta identità transnazionale, il Partito ha incoraggiato i rapporti tra “cinesi d’oltremare” e Cina continentale. Network politici, commerciali ed economici fondati sull’essere cinesi sono diventati sempre più numerosi.
Diaspora cinese nel Sudest asiatico: una questione d’identità
Questa strategia mostra come la diaspora sia stata richiamata dal Partito, contestualmente allo sforzo di questo di riformare l’identità cinese dopo il periodo maoista. Le politiche di coinvolgimento della diaspora cinese da parte del PCC rispondono infatti alla necessità domestica di creare una nuova identità unitaria per la Cina. Negli anni Settanta, questa era necessaria mentre il Partito si impegnava a guidare il Paese all’apertura verso l’esterno. A partire dagli anni Duemila, questa nuova costruzione identitaria ha avuto un ruolo fondamentale nel sostenere l’immagine di sé che la Repubblica Popolare Cinese (RPC) voleva trasmettere sulla scena internazionale.
Riferendosi alla diaspora cinese come “cinesi d’oltremare”, il PCC essenzializza cosa significhi essere cinese. L’appartenenza a un’identità nazionale è un fattore particolarmente complesso per un Paese come la Cina, dove si contano 56 gruppi etnici solo tra quelli ufficiali. Se già è difficile trovare una definizione di cosa essere cinese significhi all’interno dei confini nazionali contemporanei, è ancora più problematico considerare la diaspora cinese nel Sudest asiatico come un gruppo unitario.
Le comunità diasporiche che si sono insediate nel Sudest asiatico provengono da diverse regioni della Cina, e hanno lasciato il Paese in momenti storici differenti. Soprattutto nelle comunità più antiche, quelle più numerose nel Sudest asiatico, gli usi e costumi che i migranti hanno portato con loro variano a seconda della regione di provenienza e del momento in cui hanno lasciato la Cina. Spesso questi usi e costumi sono stati mantenuti dalle comunità diasporiche, ma sono andati persi in Cina.
All’interno di una stessa nazione del Sudest asiatico, ad esempio, si possono trovare discendenti di migranti cinesi provenienti dalla stessa regione, ma emigrati a secoli di distanza l’uno dall’altro. Dunque, seppure talvolta appartenenti a uno stesso gruppo etnico, difficilmente possono essere considerati di uno stesso ceppo culturale. Questi elementi sono poi accompagnati da altre variabili, come lo status socioeconomico di partenza di individui e/o nuclei familiari, e le loro possibilità e abilità di integrarsi nella nuova società.
Quale Cina?
Attuando strategie per coinvolgere ed essenzializzare i “cinesi d‘oltremare”, il PCC si pone come fattore unificante della storia cinese, e come guida politica nazionale e transnazionale di quella Cina che, nella costruzione retorica del Partito, è una nazione unitaria che si è sviluppata nel corso di millenni. Ma la RPC come nazione e il PCC come entità che la governa sono realtà relativamente giovani, emerse durante il ventesimo secolo.
Molti di quelli definiti dal Partito come “cinesi d’oltremare”, in realtà, non hanno avuto nessuna connessione con il processo politico, sociale ed economico che ha portato alla creazione della RPC. Nel caso delle comunità diasporiche nel Sudest asiatico, il rapporto con la Cina come terra d’origine è stato tutt’altro che lineare. Nonostante secoli di migrazioni, è in realtà da meno di due secoli che le comunità diasporiche hanno avuto la possibilità di mantenere rapporti più stretti con la Cina e di coltivare la circolazione di beni, persone e profitti.
Per secoli, i lavoratori cinesi nel Sudest asiatico si sono trovati a dover scegliere tra il nuovo Paese e la loro terra d’origine. Almeno fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo, questi lavoratori si trovavano davanti a un bivio: tornare in Cina una volta terminata la stagione lavorativa, o rimanere nel Sudest asiatico e tagliare i contatti con la madrepatria, poiché considerati traditori dai regnanti dell’epoca.
Dopo secoli di rapporti interrotti, la situazione iniziò a cambiare negli anni Cinquanta dell’Ottocento, con l’intensificarsi del movimento di lavoratori cinesi verso il Sudest asiatico. Questa crescita dei flussi migratori fu accompagnata dalla loro istituzionalizzazione e dalla creazione dei primi network diasporici. Grazie a connessioni personali e alla nascita di organizzazioni e istituzioni dedicate, col passare dei decenni queste reti divennero sempre più stabili. La creazione di questi network è avvenuta quindi molto dopo l’inizio dei movimenti diasporici, e circa un secolo prima della nascita della RPC governata dal PCC.
Essere cinesi nel Sudest asiatico: un’affiliazione in evoluzione per la diaspora
Un altro aspetto da considerare è la posizione mutevole che ha occupato la RPC, dalla sua fondazione a oggi, sullo scenario internazionale. Questo elemento è fondamentale per capire il rapporto tra comunità diasporiche, Cina e la nazione del Sudest asiatico in cui queste si sono insediate.
Nel corso degli ultimi settant’anni, ovvero dalla fondazione della Cina comunista, essere parte di una comunità diasporica affiliata alla RPC ha assunto un valore diverso, a seconda del ruolo geopolitico della Cina. Per le comunità diasporiche cinesi nel sudest asiatico, essere associati alla RPC nel 2010 o nel 2020 è decisamente diverso rispetto al passato. Se durante e dopo il periodo maoista veniva vista con sospetto da diversi Paesi del Sudest asiatico, oggi gli equilibri geopolitici sono cambiati, e la RPC è diventata una delle principali forze mondiali. Di conseguenza, la maggior parte dei suoi vicini del Sudest hanno una percezione più positiva del Paese. La RPC è spesso vista come sede di progresso, alleata economica e potenziale alternativa all’egemonia occidentale.
Conclusioni
La diaspora cinese nel Sudest asiatico rappresenta un fenomeno estremamente multiforme e complesso. Le diverse comunità diasporiche cinesi che troviamo oggi nella regione emergono dall’interazione delle più diverse realtà politiche, sociali ed economiche. Queste realtà sono legate sia alla Cina sia alla nazione in cui queste comunità si sono insediate.
Pechino ha attuato una serie di strategie di coinvolgimento delle sue comunità diasporiche. Queste strategie sono fondate su una prospettiva tendenzialmente astorica ed essenzializzante dei rapporti tra queste comunità e la loro terra d’origine ancestrale. La definizione di “cinesi d’oltremare” utilizzata dal Partito è infatti la concretizzazione di questi processi.
Il rapporto tra le comunità diasporiche nel Sudest asiatico e la Cina non può essere ridotto all’idea di appartenenza a un’unica, grande famiglia transnazionale. In ogni nazione del Sudest asiatico, le comunità diasporiche cinesi rivestono ruoli differenti all’interno del tessuto sociale nazionale, e hanno integrato in maniera diversa l’essere cinesi all’interno della loro identità. Di conseguenza, queste comunità hanno reagito in maniera non uniforme alle strategie di coinvolgimento del Partito, e hanno avuto diversi gradi di influenza sui rapporti tra il Paese e la RPC.
Fonti e approfondimenti
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Liu H. & Van Dongen E. (2016), China’s Diaspora Policies as a New Mode of Transnational Governance.
McKeown A.(1999), Conceptualizing Chinese diasporas, 1842 to 1949.
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