Il diritto alla casa: una questione di welfare

Illustrazione di Giulia Tassi

Dall’analisi dei dati sulla condizione abitativa degli europei sono emersi alcune informazioni che mostrano, ad esempio, come nel vecchio continente prevalga la proprietà dell’abitazione (69,3%) rispetto alla soluzione della locazione (30,7%), sia essa attraverso il mercato o attraverso l’edilizia popolare. Dietro tali dati si celano alcune problematiche circa la qualità delle abitazioni e l’incidenza economica dell’abitare sui redditi dei residenti.
Difatti, un problema abitativo esiste nel nostro continente e colpisce particolarmente alcune categorie come i giovani, le persone affette da disabilità e gli stranieri. Tuttavia anche le famiglie, comprese quelle del ceto medio, non sono esenti da rischi collegati alla questione abitativa. In tale contesto si inseriscono le politiche abitative promosse dai vari Paesi europei, di cui tratteremo oggi per continuare la nostra analisi sul diritto alla casa in Europa.

Le politiche abitative in Europa

Osservare le dinamiche relative allo sviluppo delle politiche di housing tra diversi Paesi europei ci porta, inevitabilmente, ad analizzare l’evoluzione dei sistemi di welfare in Europa. Infatti, i diversi modelli di housing costruiti su base nazionale implicano una differenziazione tra approcci, obiettivi e metodi nell’affrontare il problema dell’abitare e nel garantire il diritto alla casa. Per comprendere tale distinzione possiamo, in primis, combinare due indicatori: i criteri di allocazione della casa e la dimensione dello stock abitativo “pubblico” rispetto a quello totale.

I criteri di allocazione del servizio abitativo rendono possibile una prima diversificazione tra modelli, che possono essere suddivisi in universalistic housing e targeted housing. Nei Paesi in cui prevale il primo modello, potenzialmente tutta la popolazione può beneficiare di politiche abitative pubbliche, dal momento che la casa è considerata un diritto sociale universale e una responsabilità pubblica. A questo modello si rifanno i sistemi di housing presenti in Paesi Bassi, Danimarca e Svezia.

Il secondo modello parte dalla considerazione che il mercato immobiliare può rispondere in maniera efficiente alla domanda abitativa. Nei diversi contesti europei il modello targeted si suddivide in due sub-categorie: generalist e residual. Nel primo caso, chi è al di sotto di una certa soglia di reddito sarà beneficiario delle politiche abitative pubbliche; nel secondo caso, l’accesso all’housing pubblico sarà riservato a varie categorie di soggetti vulnerabili. A questo modello e alle sue due articolazioni si rifanno i sistemi di housing presenti nel resto d’Europa. In molti casi, comunque, i due approcci vengono combinati con politiche abitative, che coprono tanto le fasce di popolazione a basso reddito quanto gli individui con varie difficoltà strutturali.

La scelta di un modello piuttosto che un altro comporta importanti differenziazioni nella quantità di alloggi pubblici rispetto alla disponibilità abitativa complessiva. Infatti, nei Paesi che adottano un approccio universale lo stock abitativo pubblico è pari a più del 20% dello stock complessivo, mentre nei Paesi con un approccio residuale la porzione di alloggi pubblici scende anche sotto il 5%.

Il diritto alla casa come parte dei sistemi di welfare

L’housing ricopre un importante ruolo nel campo delle politiche sociali, soprattutto se considerato sotto una prospettiva di incentivo all’integrazione nel mondo del lavoro, oltre che come servizio abitativo per chi ne abbia bisogno. Di fatti, l’inattività lavorativa è, in primis, frutto di svariate problematiche che vanno dalla mancanza di formazione, alla difficoltà nel conciliare vita familiare e lavorativa, fino alle difficoltà nell’accedere a soluzioni abitative che rispondano alle proprie necessità. Insieme ad altri fattori, dunque, l’inaccessibilità e l’insostenibilità abitativa delle nostre città è alla base di importanti problemi come la disoccupazione strutturale e a lungo termine, la scarsa mobilità dei lavoratori, i disincentivi alla formazione di nuclei familiari e la povertà.

In particolare, esiste una tipologia di “nuova povertà”  strettamente legata alle questioni abitative, la cosiddetta housing-induced poverty. Questo problema è legato al rischio per una famiglia di accedere a un mutuo e di ritrovarsi nel medio-lungo periodo in situazioni di povertà a causa di questo. Secondo i dati di EU-SILC del 2018, il fenomeno coinvolge già il 13,4% delle famiglie a livello europeo. Più in generale, se il numero di persone a rischio povertà nell’UE ammonta a circa 85 milioni di individui, una volta considerato anche il costo della casa, tale cifra sale a più di 150 milioni.

Gli studi che analizzano il rapporto tra politiche attive, housing e mercato del lavoro mostrano una chiara correlazione fra le prime due e i livelli di disoccupazione, specie quella strutturale più complessa da affrontare. In particolare, emerge come la discriminante tra modelli di welfare universali e residuali sia l’attenzione posta dai primi verso politiche attive (che si concentrano sul mantenere e re-integrare la forza lavoro), e dai secondi verso politiche passive/compensative (concentrate nel compensare la disoccupazione e nel gestire il pensionamento).

Più nel dettaglio, l’attenzione e la spesa in servizi pubblici per anziani, disabili, famiglie e soluzioni abitative risulta molto maggiore in sistemi di welfare universali rispetto a sistemi residuali. Il risultato di tale investimento è un tasso di disoccupazione di lungo termine molto minore in Paesi con welfare e politiche di housing universalistiche come la Svezia (12,1%, dati del 2019), rispetto a Paesi caratterizzati da sistemi non universali come Regno Unito (25,1%), Germania (38,1%) e Italia (57%).

La ritirata delle autorità pubbliche dal settore dell’housing

Il quadro fin qui descritto mostra come in Europa, a eccezione di alcuni Paesi, l’impegno in termini di risorse e obiettivi nei confronti dell’housing sia sottodimensionato. A dimostrazione di ciò, i dati tornano in nostro aiuto. La spesa complessiva nel settore abitativo nell’UE è diminuita del 44% tra 2009 e 2015, passando da 48 a 27,5 miliardi di euro annui. Nello stesso periodo di tempo, il costo per le casse della sicurezza sociale dei pagamenti compensativi per gli affitti è aumentato da 54 a quasi 90 miliardi di euro.

Housing Supports in the EU

Evoluzione della spesa nel settore dell’housing tra 2004 e 2017, in blu gli investimenti in nuovi alloggi, in giallo la spesa sociale per contributi affitto (credits: Housing Europe 2019)

Con problematiche costanti e investimenti spostati, dalla costruzione di nuovi alloggi, all’aumento dei contributi per gli affitti, la ritirata dello Stato quale attore attivo nelle politiche abitative non sembra, dunque, essere stata una strategia così saggia sotto il profilo economico. Date le implicazioni relative a benessere, occupazione e incentivi alla creazione di nuclei familiari, la questione abitativa rimane al centro del dibattito politico e si caratterizza quale tema di forte impatto sull’opinione pubblica. Tutte ragioni che dovrebbero spingere le autorità pubbliche centrali, locali ed europee a mantenere una costante attenzione verso il tema.

Fonti e approfondimenti

The State of the housing in the EU 2019, Housing Europe 2019

Eichhorst W., Kaufmann O., & Konle-Seidl, R. (Eds.). (2008). Bringing the Jobless into Work? Berlin/Heidelberg: Springer

Santangelo S., Edilizia sociale e urbanistica La difficile transizione dalla casa all’abitare. Roma: Carocci, 2015.

Heidenreich M., Aurich-Beerheide P., European Worlds of inclusive activation: The organizational challenges of coordinated service provision. International Journal of Social Welfare 2014, John Wiley and Sons Ltd

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