Il diritto alla casa: una questione di dignità

@Tony Webster - Flickr - CC BY 2.0

Negli articoli precedenti, abbiamo parlato di come l’abitare influenzi le opportunità socioeconomiche e di come i governi agiscano per garantire condizioni abitative dignitose. È arrivato il momento di parlare di coloro ai quali questo diritto non è garantito, ossia le persone senza dimora, o homeless.

Ogni notte nell’UE, almeno 700.000 persone dormono all’aperto o in strutture di emergenza o temporanee, secondo le stime di FEANTSA (European federation of organisations working with the people who are homeless) e Fondation Abbé Pierre. Il dato è in crescita del 70% rispetto a dieci anni fa. Avere un quadro definito è però difficile. Mancano infatti definizioni comuni, sistemi di raccolta dati centralizzati e strategie condivise per affrontare il fenomeno.

Alla ricerca di una definizione condivisa

Per inquadrare l’argomento, bisogna innanzitutto adottare delle definizioni precise. In inglese si usa il termine “homelessness” per parlare del fenomeno delle persone senza dimora. Non esiste una traduzione italiana e per questo il termine è spesso adottato anche in pubblicazioni e studi specialistici in lingua italiana.

A livello internazionale manca una definizione condivisa. Negli ultimi anni, diverse organizzazioni e istituti di ricerca hanno lavorato per colmare questa lacuna. Tra i risultati più importanti in questo senso c’è la European Typology of Homelessness and Housing Exclusion (ETHOS), classificazione sviluppata dall’Osservatorio europeo sulla homelessness e da FEANTSA.

Nella sua nota esplicativa, FEANTSA chiarisce che ETHOS non è un “tentativo di armonizzare le definizioni di homelessness in Europa”, bensì un “framework transnazionale” e un linguaggio condiviso per favorire la condivisione e lo scambio transnazionale di buone pratiche e di politiche pubbliche.

Alla base della classificazione c’è il concetto di casa, o home, che si fonda su tre presupposti essenziali. Avere una casa significa infatti:

  • vivere in uno spazio adeguato del quale si ha il controllo esclusivo (requisito fisico);
  • godere di uno spazio privato dove intrattenere rapporti sociali (requisito sociale);
  • avere titolo legale per occupare lo spazio (requisito legale).

Una persona è senza dimora se mancano tutti questi requisiti, o anche solo l’aspetto legale e sociale. Se invece viene meno uno di questi criteri, si dice che un individuo vive in una condizione di housing exclusion, ossia non gode pienamente del diritto alla casa.

Le categorie ETHOS

ETHOS individua quattro categorie principali: rooflessness (senza tetto), houselessness (senza casa), insecure housing (condizione abitativa instabile) e inadequate housing (situazione abitativa inadeguata). Da queste discendono tredici categorie operative che corrispondono ad altrettanti contesti abitativi: ad esempio, una persona roofless può vivere all’aperto, o in un rifugio per persone senzatetto. Formalmente, solo le persone appartenenti alle prime due categorie rientrano nella definizione di persona senza dimora.

Anche la definizione dell’Istat si basa sulla tipologia ETHOS. L’Istat definisce la persona senza dimora come un individuo che “versa in uno stato di povertà materiale e immateriale, che è connotato dal forte disagio abitativo, cioè dall’impossibilità e/o incapacità di provvedere autonomamente al reperimento e al mantenimento di un’abitazione in senso proprio”.

Sono inclusi coloro che vivono in spazi pubblici, dormitori notturni, ostelli per persone senza casa o altri alloggi temporanei, o in alloggi per interventi di supporto speciale specifici. Sono invece escluse le persone che vivono temporaneamente presso amici o parenti, in alloggi occupati o in campi strutturati presenti in città, o che vivono in condizioni di sovraffollamento.

Non esistono dati certi

Come detto in precedenza, è impossibile fornire un dato certo sul numero di persone senza dimora nell’UE. Diversi Paesi, tra cui l’Italia, non conducono indagini annuali e sistematiche. Gli enti statistici nazionali, inoltre, adottano metodologie e criteri diversi, per cui i pochi dati esistenti non sono comparabili. Le poche indicazioni che abbiamo consentono di affermare che il numero di persone senza dimora sta aumentando in tutta Europa, con poche eccezioni.

L’indagine più recente in Italia risale al 2015 (su dati del 2014) ed è stata svolta dall’Istat in collaborazione con fio.PSD, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e la Caritas. Nel 2014 le persone senza dimora erano più di 50.000. La stima è basata su coloro che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, “hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna” nei 158 comuni per i quali sono stati raccolti i dati. È dunque una stima parziale, che esclude innanzitutto le persone che non hanno usufruito di questi servizi, ma anche minori, persone di etnia rom e persone che vivono in altri tipi di alloggio temporaneo.

Sappiamo inoltre che, di queste 50.000 persone, quasi l’86% sono uomini. Tre persone su quattro vivono da sole e solo il 6% vive con partner o figli. Quasi 6 persone senza dimora su 10 sono di nazionalità straniera. Un dato preoccupante emerso dall’indagine era quello sulla homelessness permanente: il 41,1% delle persone senza dimora lo era da più di due anni, e il 21,4% da più di quattro anni.

Problemi logistici e volontà politica

Questa breve panoramica fornisce due indicazioni fondamentali. La prima è che delle persone senza dimora, in realtà, si sa ben poco. Il fatto stesso che l’ultima indagine risalga al 2015 è indicativo. Le difficoltà metodologiche e logistiche giocano un ruolo importante. Se però si pensa che in altri Paesi i dati sulla homelessness vengono pubblicati almeno su base annuale, la mancanza di attenzione al tema diventa un problema strutturale.

La seconda indicazione è che non si può parlare di “persone senza dimora” come di un collettivo indistinto. I percorsi di vita e le esperienze di chi si ritrova senza una casa sono profondamente diversi e necessitano, dunque, di approcci altrettanto personalizzati – una caratteristica che spesso non si ritrova nelle politiche dei Paesi europei.

Approcci alla homelessness

Analizzando le politiche in diversi Paesi europei, l’Osservatorio europeo sulla homelessness distingue tra approcci “non-housing focused” e “housing focused. La differenza principale tra queste due categorie è il ruolo dell’abitare in questo processo: un punto d’arrivo, nel primo caso, o un punto di partenza, nel secondo.

Secondo l’Osservatorio, gli approcci “non-housing focused” sono i più diffusi nell’UE. Spesso si tratta di interventi a bassa intensità, che consistono nell’offrire servizi di base – mense, dormitori, coperte – ma senza una visione strutturale di accompagnamento alla persona.

Politiche “staircase“: la casa come obiettivo

Quando invece esiste una politica di lungo periodo, questa è di tipo “staircase” e il suo obiettivo è preparare la persona per la casa. Nel concreto, il percorso punta a riabilitare la persona e moderarne i comportamenti considerati potenzialmente rischiosi per la sua stabilità abitativa, come la dipendenza da alcol e stupefacenti, procurandole sistemazioni abitative provvisorie e fornendole le necessarie cure mediche.

Il primo passo in questo percorso è spesso una sistemazione d’emergenza, come i rifugi per senzatetto gestiti dallo Stato o da altre organizzazioni (in Italia, ad esempio, dalla Caritas). Queste soluzioni offrono protezione temporanea e immediata a chi si trova in una situazione rischiosa – ad esempio, per proteggersi dal freddo invernale –, ma non forniscono supporto di lungo periodo. Esistono inoltre barriere all’accesso spesso insormontabili per i potenziali beneficiari, come non fare uso di alcol o droghe. Nel Regno Unito, questa soluzione è gratuita per chi non ha un impiego, ma smette di esserlo appena la persona inizia a percepire un reddito benché minimo. Nei Paesi Bassi, solo le persone “non autosufficienti” (che hanno dipendenze, disabilità o malattie mentali) possono accedere ai rifugi per senzatetto.

Alcune persone senza dimora tendono inoltre a evitare i rifugi perché si sentono insicure e sole. Bisogna considerare che chi vive in strada spesso non ha più una rete di supporto familiare e se ne crea una alternativa, tra la comunità di persone senza dimora. Le soluzioni abitative d’emergenza spesso separano la persona da questa rete sociale.

Un approccio emergenziale non è quindi sufficiente per affrontare un problema strutturale. Inoltre, l’approccio “staircase” lascia indietro molte persone, soprattutto le più vulnerabili e con situazioni di disagio complesso, che non riescono a raggiungere gli obiettivi richiesti e non sono quindi mai “pronte per la casa”.

Housing first: una nuova prospettiva sulla homelessness

Le politiche “housing-led” vedono l’abitare come il punto di partenza e non come l’obiettivo. Tra queste, la più nota è “Housing first”, che ribalta l’approccio talvolta moralizzante alla homelessness delle politiche tradizionali. Con l’approccio housing first, l’abitare è considerato un diritto umano: la casa fornisce stabilità ed è il presupposto fondamentale per riprendere il controllo della propria vita. L’individuo, le sue esigenze e la sua dignità sono al centro del percorso.

Housing first” è un approccio personalizzato e di lungo periodo, che prevede di stabilire un dialogo con la persona senza dimora e di accompagnarla nel suo percorso di ricostruzione, assistendola nelle procedure burocratiche, nella ricerca di un lavoro e nel recupero della salute.

Adottare questa prospettiva non significa eliminare le soluzioni di emergenza, ma renderle una fase transitoria in un processo di inclusione sociale, non una soluzione semi-permanente e un potenziale ostacolo alla riabilitazione.

L’esempio della Finlandia

La Finlandia è probabilmente l’esempio più noto in Europa di una politica sulla homelessness che funziona. Nel 2008, il governo introdusse un piano per ridurre la homelessness basato sui principi dell’Housing first. Nell’ambito di questo programma, sia il governo centrale, sia le autorità locali costruirono nuovi alloggi, convertirono i rifugi temporanei in abitazioni stabili e investirono in servizi di supporto. Tutto questo avveniva negli anni della crisi economica, a dimostrazione che non contano solo le risorse di bilancio, ma anche la volontà politica.

Le politiche di housing del governo finlandese hanno dimezzato il numero di persone senza dimora tra il 2008 e il 2019, con un impatto significativo soprattutto nell’area di Helsinki.

Casa e dignità: un ruolo per l’UE

Parlare di homelessness è difficile perché, fin troppo spesso, manca la volontà politica di formulare risposte adeguate al problema. Nell’Unione europea, gli Stati membri hanno la responsabilità politica principale. La Commissione europea, attraverso il Social investment package (SIP), offre fondi per rafforzare i meccanismi di protezione sociale in diversi ambiti, tra cui la homelessness. Anche altri fondi, come il Fondo europeo di sviluppo regionale, potrebbero essere utilizzati per finanziare progetti abitativi accessibili. L’UE potrebbe avere un ruolo di coordinamento fondamentale in questo processo.

Soprattutto, non si può contrastare la homelessness senza avere definizioni condivise e dati certi. Avere dati consente di formulare politiche pubbliche puntuali ed efficaci; raccogliere dati significa riconoscere l’esistenza di un problema e posizionarlo al centro dell’agenda politica e del dibattito pubblico. Un coordinamento europeo sulla raccolta dati che parta dall’Eurostat e dall’UE darebbe finalmente un nome e una dimensione al problema diffuso, ma spesso invisibile, della homelessness.

 

Fonti e approfondimenti

FEANTSA, The state of emergency shelters. Homeless in Europe – The magazine of FEANTSA, Spring 2019.

European Observatory on Homelessness, Homelessness Services in Europe. Bruxelles, European Observatory on Homelessness, 2018.

Y-Foundation, A home of your own. Housing First and ending homelessness in Finland. Keuruu, Otava Book Printing Ltd., 2017.

The Housing Finance and Development Centre of Finland (ARA), Reports on homelessness in Finland, ara.fi

Commissione europea, Social investment: homelessness.

Pleace, Nicholas. Housing First Guide Europe. Housing First, 2018.

FEANTSA, European typology of homelessness and housing exclusion.

FEANTSA, Fondation Abbé Pierre. Fourth overview of housing exclusion in Europe, FEANTSA e Abbé Pierre, 2019.

Amore, Kate, Baker, Michael, Howden-Chapman, Philippa. The ETHOS definition and classification of homelessness: an analysis. European Journal of Homelessness, vol. 5, no. .2, 2011.

Istat, fio.PSD, Caritas e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Le persone senza dimora, anno 2014. 10/12/2015.

Edgar, Bill. The ETHOS definition and classification of homelessness and housing exclusion. European Journal of Homelessness, vol. 6, no. 2, 2012, pp. 219-225.

Edgar, Bill, Harrison, Matt, Watson, Peter and Busch-Geertsema, Volker. Measurement of Homelessness at European Union Level. Bruxelles, European Commission (DG Employment, Social Affairs and Equal Opportunities), 2007.

Commissione europea, Towards social investment for growth and cohesion – including implementing the European Social Fund 2014-2020, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, COM(2013) 83 final, Bruxelles, 20/02/2013.

Commissione europea, Sintesi delle relazioni di attuazione annuali per i programmi operativi cofinanziati dal Fondo di aiuti europei agli indigenti nel 2018, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, Bruxelles, COM/2020/226 final, 08/06/2020.

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