Tra le conquiste sociali più importanti del secolo scorso si ricorda l’introduzione della legge sul divorzio del 1970, come presa di coscienza dell’inevitabile cambiamento della realtà socio culturale italiana.
Dal punto di vista storico, era giunto il momento di confrontarsi con la realtà: l’Italia era uscita dalla Seconda guerra mondiale e diventata una Repubblica, aveva conosciuto una grave fase di crisi economica per poi essere contagiata dal boom economico, dai moti studenteschi e operai del 1968 e dal nascente movimento femminista italiano, che portarono alla luce evidenti storture sociali e culturali e reclamarono una differente considerazione a tutto tondo della donna.
Approvata durante la V legislatura del governo Colombo, esponente del partito della Democrazia Cristiana e partito protagonista della accanita opposizione contro il movimento divorzista, la legge sul divorzio iniziò quindi l’opera di smantellamento dello status quo della società italiana.
Ancora oggi, è vista come una prima e fondamentale conquista della laicità statale, sebbene desti tuttora ancora qualche polemica soprattutto dai fronti più conservatori, poiché ricorda che le scelte della vita privata non possono che essere lasciate al proprio libero arbitrio.
I lavori preparatori
Alla brevissima spiegazione del contesto storico che ha dato origine alla legge 898/1970 si deve aggiungere una specifica importante: i lavori dell’Assemblea Costituente furono il momento iniziale di scontro tra le diverse visioni della società che doveva sorgere dopo la guerra, basata proprio sui riconoscimenti dati all’uomo e alla donna, al concetto di famiglia e ai diritti collegati.
I lavori della Costituente, iniziati nell’immediato dopo guerra, furono teatro di politica dialogica tra le numerose parti politiche e le rispettive ideologie, dove si affrontò anche il tema della famiglia, visto come il luogo di conservazione o di innovazione dei principi della società post bellica. Famiglia e tutti i concetti a essa afferenti rimasero tuttavia ancorati al passato, anche se è impossibile tacere le piccole conquiste. Una fra tutte, l’avvenuta parificazione tra uomo e donna, non solo come cittadini di pari dignità davanti allo Stato e alla legge, ma anche nella veste di coniugi ai sensi dell’art. 29 Cost. nel quale si è stabilità la loro uguaglianza morale e giuridica.
Lungi però dal raggiungere una parità reale, la differenza tra i due coniugi si riscontrava ancor di più nei casi di separazione: prima del 1970 se ne poteva parlare in senso meramente fattuale, visto che non era riconosciuta dallo Stato e ciò creava situazioni particolarmente difficili, in cui ci si trovava in una sorta di limbo non regolato da alcuna norma.
Pertanto, fino al 1970 le uniche possibilità per accedere a un divorzio legittimamente riconosciuto erano relegate a due situazioni: o si otteneva l’annullamento del matrimonio presso la Sacra Rota o ci si rivolgeva alle sezioni straniere dei Tribunali, ovviamente con riferimento alle sezioni degli Stati ove fosse già in vigore il divorzio. Da tali premesse prende vita la legge 898/1970.
La genesi e il compimento della legge 898/1970
Gli storici contano l’esistenza di circa 11 proposte di legge sul divorzio dall’unificazione dell’Italia, la prima delle quali venne avanzata nel 1878. Tutte subirono la stessa sorte e non vennero mai a compimento, alcune per scelta politica ben precisa e altre per la caduta delle legislature.
La proposta avanzata dall’on. Fontana del Partito Socialista, invece, riuscì a sopravvivere: il 1° ottobre del 1965 la proposta di legge per i “Casi di scioglimento del matrimonio”, come rimarrà denominata anche dopo la sua approvazione, fece il suo ingresso sulla scena politica. Solo nel 1968, però, si trattò seriamente della proposta Fontana, ripresentata in data 5 giugno 1968 assieme alle firme di altri 70 parlamentari promotori; di lì a poco, il 7 ottobre 1968 l’on. Baslini, del Partito Liberale, presentò una proposta di legge anch’essa sul divorzio, ma riguardante casi più circoscritti. Stante però la natura essenzialmente identica delle proposte – entrambe infatti si incentravano sull’introduzione nell’ordinamento italiano dell’istituto del divorzio – le due vennero unite in una medesima proposta di legge il 17 aprile 1969, che passò poi al vaglio del Parlamento. La legge sul divorzio ha avuto il merito di creare una discussione parlamentare lunga e complessa, ma altamente dialogica sia tra i partiti sia nell’opinione pubblica.
La proposta di legge venne dapprima approvata dalla Camera e poi passò al Senato dove, in una seduta durata ben 19 ore, fu approvata la notte tra il 30 novembre 1970 e il 1° dicembre, entrando ufficialmente in vigore il 3 dicembre 1970 nei suoi 12 articoli, come legge 1 dicembre 1970 n. 898.
In particolare, si richiedeva al giudice di accertare l’assenza assoluta e non ripristinabile della “comunione spirituale e materiale tra i coniugi” così come l’impossibilità di conciliazione tra i soggetti, ferma restando l’attenzione preminente nei confronti dei figli.
Assunta tale preliminare informazione, la richiesta di scioglimento di matrimonio – a tal proposito è interessante notare come la parola divorzio non sia molto utilizzata né nella legge né da Fontana – poteva essere approvata nei seguenti casi:
- Dopo 5 anni dalla sentenza di separazione giudiziale;
- Dopo 7 anni dalla stessa sentenza, in caso di opposizione per “colpa esclusiva”;
- Dopo 6 anni dalla sentenza, in caso di semplice opposizione.
Inoltre, vennero previste delle cause estreme di scioglimento di matrimonio, collegate alla commissione di reati sia nei confronti del coniuge e dei figli, sia verso altri soggetti; nei casi di non consumazione del matrimonio o nel caso in cui fosse stato ottenuto lo scioglimento o l’annullamento del matrimonio all’estero, se uno dei due fosse uno straniero.
Una conquista storica
Ovviamente l’entrata in vigore della legge non fu acclamata da tutti: la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano la additarono come il primo passo verso la dissoluzione inarrestabile dei costumi dello Stato, ammonendo sulla sua inevitabile capacità distruttiva di tutte le famiglie e della società italiana.
Su tali premesse, richiesero il referendum abrogativo della legge 898/1970. Dopo aver raccolto quasi un milione e mezzo di firme, cosa che faceva sperare nella riuscita della proposta di abolizione, il 12 maggio 1974 si tenne il referendum. Quasi l’88% degli aventi votò andò a votare e alla fine dei conteggi il NO vinse con il 59.26% di preferenze.
Il risultato del referendum fu, per certi aspetti, rivoluzionario. Non solo si confermò la legge da poco introdotta, ma fu anche una fotografia dei mutamenti della società. L’importanza delle battaglie sociali si faceva sempre più evidente e questa necessità venne confermata nel periodo successivo, si pensi per esempio all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori o della legge sull’aborto; tali conquiste altro non erano che la risposta alle ormai frenetiche e insopprimibili richieste “dal basso” come necessità di una società adeguata alle nuove esigenze dei cittadini.
Fonti e approfondimenti:
Mussini, L. “Il divorzio. Quando la società italiana cambio radicalmente“, 12 aprile 2018, Novecento.org Rivista dell’istituto nazionale Ferruccio Parri;
Rai Storia, “I diritti e le conquiste delle donne“. L’Italia della Repubblica, 2016;
Videodocumentari tratti dall’archivio dell’Istituto Luce;
RAI, Memorie – Fatti e persone da ricordare, “Divorzio: è referendum“;
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, legge 1 dicembre 1970 n. 898” .
Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_
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