Ricorda 2000: l’elezione di George W. Bush e il caso della Florida

Dopo due mandati del Democratico Bill Clinton, le elezioni del 2000 riportarono alla presidenza degli Stati Uniti d’America un Repubblicano: George W. Bush, figlio d’arte del già presidente George H. W. Bush. La prima delle due vittorie di Bush Jr arrivò ufficialmente soltanto il 12 dicembre, a seguito di un pronunciamento della Corte Suprema degli Stati Uniti sulla controversia a proposito del voto in Florida. Oltre al caso della Florida, le elezioni del 2000 verranno ricordate anche perché Bush vinse nonostante il voto popolare fosse favorevole ad Al Gore.

Il caso della Florida

Il 7 novembre 2000, giorno delle elezioni, era chiaro che chi avesse vinto in Florida si sarebbe aggiudicato la presidenza degli Stati Uniti. Quello che però non era chiaro, e non lo sarebbe stato per molto tempo, era chi tra Gore e Bush fosse prevalso nello Stato del sud. Se a metà serata i notiziari più accreditati davano in vantaggio il candidato Democratico, più tardi si dovettero smentire attribuendo la vittoria al Repubblicano, anche se con un margine risicatissimo.

La vittoria per Bush sembrava talmente certa che Gore lo chiamò, come da tradizione, per riconoscere la sconfitta. Ma proprio nel momento in cui Gore si apprestava a parlare davanti ai suoi sostenitori, arrivò la notizia che il conteggio dei voti in Florida dava un margine di vantaggio per Bush di 1784 voti, inferiore allo 0,5%. La legge della Florida prevedeva che, con un scarto così basso, si dovessero ricontare tutti i voti in modo automatico – tramite le macchine conta voti. Alla fine del primo riconteggio, Bush era ancora in vantaggio, ma con un margine molto più basso: soltanto 327 voti.

Il sistema di voto in Florida – per esprimere la preferenza bisognava forare lo slot di carta corrispondente al candidato scelto – si prestava però a errori tanto nella pratica del voto, quanto nel riconteggio attraverso le macchine. Appellandosi a questo, il Partito Democratico riuscì a ottenere dalla Corte Suprema della Florida il riconteggio manuale in quattro contee: Volusia, Palm Beach, Broward e Miami-Dade. Riconteggio che non venne portato a termine grazie a una campagna di ostruzionismo e ricorsi da parte dei Repubblicani.

I Democratici, però, non si arresero e fecero nuovamente ricorso alla Corte Suprema della Florida per le quattro contee. L’8 dicembre la Corte respinse il ricorso, ma ordinò il riconteggio degli undervote – ovvero i voti non eseguiti correttamente, ma in cui è deducibile l’intenzione di voto – a livello statale. Mentre la procedura stava per essere portata a termine, però, i Repubblicani fecero ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Il 12 dicembre, con cinque voti a favore e quattro contrari, la Corte Suprema imponeva l’immediata sospensione del riconteggio dei voti. La decisione nel caso Bush v. Gore fu presa sulla base del fatto che ogni contea della Florida aveva utilizzato un sistema di voto diverso e, quindi, l’intenzione di voto non poteva essere un criterio dirimente. Nella sentenza, inoltre, si legge che la pronuncia della Corte era valida soltanto per il caso attuale, non costituendosi quindi come precedente.

La Florida venne assegnata a Bush che poté così guadagnare i 25 Grandi Elettori necessari a raggiungere la quota di 271 e, quindi, a vincere le elezioni. Questo accadde nonostante Gore avesse preso 539.947 voti in più, a causa del sistema elettorale degli Stati Uniti.

Come funziona il sistema elettorale degli Stati Uniti

Il sistema elettorale elettorale degli Stati Uniti non prevede che il candidato più votato diventi automaticamente il presidente. La Costituzione statunitense stabilì la creazione di quello che viene definito Electoral College (Collegio Elettorale) di cui fanno parte i cosiddetti “Grandi Elettori”. Sul modo in cui questi vengono nominati, la Costituzione non è chiara: “[…] nessun Senatore o Rappresentante o persona che abbia un ufficio fiduciario o retribuito dagli Stati Uniti potrà esser nominato come Elettore” (Art. 2, sez. I). Questa incertezza ha portato alla prassi che i Grandi Elettori venissero scelti dai comitati elettorali tra i funzionari di partito.

I Grandi Elettori sono 538  e vengono eletti su base statale: in ogni Stato sono in numero pari alla somma dei deputati e dei senatori che gli spettano. Questo significa che gli Stati più popolosi ne avranno un numero maggiore. Quando i cittadini statunitensi si recano ai seggi per eleggere il proprio candidato, votano in realtà per i Grandi Elettori che, in un successivo momento, scelgono a maggioranza il presidente – tendenzialmente in base al partito di provenienza. Per vincere le elezioni serve, dunque, il voto di almeno 270 elettori.

Tutti i precedenti casi di vittoria senza voto popolare

Le elezioni del 2000 non sono state le uniche in cui il candidato che ha ottenuto la maggioranza del voto popolare non ha vinto. Il primo caso della storia è quello di John Quincy Adams, 6° presidente degli Stati Uniti. In realtà, in questa occasione Adams non vinse né i Grandi Elettori, né il voto popolare. A prevalere fu il suo sfidante Andrew Jackson. Tuttavia, dal momento che nessuno dei due riuscì a ottenere la maggioranza richiesta né al voto popolare, né con i Grandi Elettori, la scelta del presidente ricadde sulla Camera dei Rappresentanti come sostenuto dal XII Emendamento della Costituzione. La Camera elesse Adams. Jackson si prese la sua rivincita quattro anni più tardi sconfiggendo Adams nelle successive elezioni.

Ancora più significativo fu il caso dell’elezione di Rutherford Birchard Hayes. Dopo la votazione, Hayes aveva guadagnato 166 Grandi Elettori, mentre il suo sfidante Samuel Tilden 184. Ma le elezioni erano state piene di brogli elettorali e, negli Stati del Sud usciti sconfitti dalla guerra civile, a molti era stato impedito di votare. Venne quindi messo in discussione il risultato delle elezioni in Louisiana, Florida, Carolina del Sud e Oregon.

Se il Repubblicano Hayes avesse vinto negli Stati contesi avrebbe ottenuto i 185 Grandi Elettori sufficienti ad aggiudicarsi la presidenza. Il Congresso creò allora una commissione specifica formata da suoi membri e da giudici dell Corte Suprema. La commissione arrivò a quello che verrà ricordato come il Compromesso del 1877: i Democratici riconoscevano la vittoria ad Hayes negli Stati rimanenti e i Repubblicani si impegnavano a togliere dal Sud le truppe ancora di stanza a seguito della guerra civile. Hayes ottenne i 185 Grandi elettori necessari e divenne il 19° presidente degli Stati Uniti d’America.

Il terzo caso, ancora nel XIX secolo, fu quello di Benjamin Harrison contro Grover Cleveland. Come il precedente caso, anche questa elezione fu condizionata dai brogli, in particolare dalla compravendita dei voti. Nella disputa fu decisiva l’Indiana, dove Harrison riuscì a imporsi nonostante Cleveland avesse vinto lì quattro anni prima. Harrison divenne il 23° presidente degli Stati Uniti grazie ai suoi 233 Grandi Elettori anche se con 91 mila voti totali di meno.

Bisognerà aspettare il XXI secolo per veder ripetersi questo fenomeno. Come abbiamo visto, le controverse elezioni del 2000 furono vinte da Bush nonostante i fatti riportati sopra. Tuttavia, il caso più recente è quello di Donald Trump. Nel 2016, infatti, il Tycoon riuscì a battere la favoritissima Hillary Clinton proprio grazie al sistema dell’Electoral College. La ex segretario di Stato ottenne 2,8 milioni di voti in più rispetto a Trump, ma quest’ultimo vinse abbondantemente grazie ai suoi 304 Grandi Elettori contro i 227 della sfidante.

Un sistema da cambiare?

Il sistema elettorale degli Stati Uniti è stato, a più riprese e da più parti, criticato. La più grande democrazia del mondo, secondo l’autodefinizione, utilizza una modalità di scelta per il proprio presidente quantomeno singolare, in cui non basta ricevere più voti per essere eletti.

Secondo un sondaggio di NBC e del Wall Street Journal, il 53% degli statunitensi sarebbe a favore di un cambiamento nel sistema elettorale. Un altro dato interessante emerge da un sondaggio Gallup secondo il quale, nel 2012, tra gli elettori Demcoratici il 69% voleva un cambiamento dell’Electoral College, mentre tra i Repubblicani erano il 54%; a novembre 2016, invece, i Democratici favorevoli erano l’89%, mentre i Repubblicani il 19%.

Questi dati ci indicano come, a seconda di momenti storici precisi, l’opinione in merito possa oscillare. Sarebbe necessario, invece, interrogarsi in modo più profondo, senza partitismi, su quale sia il sistema migliore.

Fonti e approfondimenti:

Ari Berman, How the 2000 Election in Florida Led to a New Wave of Voter Disenfranchisement, The Nation, 28/07/2015

Claudia Pomata, I poteri del presidente degli Stati Uniti d’America, Lo Spiegone, 21/07/2018

Jon Schwarz, Democrats sholud remember Al Gore won Florida in 2000 – but lost the presidency with a pre-emptive surrender,  The Intercept, 10/11/2018

Ron Elving, The Florida Recount Of 2000: A Nightmare That Goes On Haunting, NPR, 12/11/2018

Tara Law, These Presidents Won the Electoral College — But Not the Popular Vote, Time, 15/05/2019

 

Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_

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