Il Collegio elettorale degli Stati Uniti

elezioni statunitensi
Copertina di Riccardo Barelli.

Il Collegio elettorale, o Collegio dei “grandi elettori”, è l’organo che, di fatto, ogni quattro anni, è deputato a eleggere il presidente degli Stati Uniti.

La sua istituzione e il suo funzionamento creano ancora accesi dibattiti e incomprensioni in merito al meccanismo di elezione presidenziale, considerato dai più critici come poco democratico, proprio perché non si tratterebbe di un’elezione diretta del presidente da parte della popolazione, ma di un’intermediazione tra i cittadini statunitensi e il Collegio.

Le origini e la sua composizione

L’istituzione del Collegio elettorale è prevista dalla Costituzione statunitense all’articolo II della sezione 1, in parte modificata dal dodicesimo e ventitreesimo emendamento. I Padri fondatori non scelsero un’elezione diretta per le cariche di presidente e vicepresidente, perché considerarono che allora, nel 1789, quando la Costituzione entrò in vigore, l’elettorato non aveva le necessarie informazioni sui candidati per prendere delle decisioni informate. Da qui nacque il compromesso del Collegio elettorale, ovvero il processo di delega del voto dai cittadini ai grandi elettori.

Secondo quanto scrisse proprio uno dei Padri fondatori, Alexander Hamilton, nel Federalist Paper Number 68, il compito dei grandi elettori sarebbe stato quello di fermare un candidato con “talenti per il basso intrigo, e le piccole arti della popolarità”, dal diventare Presidente. Gli elettori avrebbero dovuto essere “gli uomini più capaci di analizzare le qualità adatte alla presidenza, e dovranno agire in circostanze favorevoli alla delibera, e a una combinazione giudiziosa di tutte le ragioni e gli incentivi che governeranno la loro scelta”. Essi avrebbero dovuto “possedere le informazioni e il discernimento necessari a tale complicate indagini”, supponendo che ciò “offrisse il minor numero possibile di opportunità di tumulto e disordine”. Si riteneva, inoltre, che il voto dei grandi elettori impedisse “il desiderio delle potenze straniere di ottenere un ascendente improprio nei nostri consigli”.

Il compromesso dei tre quinti

Sulle leggi che avrebbero regolato la scelta dei grandi elettori è importante ricordare anche il Three-Fifths Compromise

Durante la Convenzione costituzionale di Philadelphia, infatti, i delegati convennero che la rappresentanza che ogni Stato avrebbe ricevuto alla Camera dei Rappresentanti e al Collegio elettorale sarebbe stata basata sulla popolazione; tuttavia, la questione della schiavitù fu un punto di scontro tra i delegati degli Stati del Sud (dove la percentuale di schiavi, che però non erano considerati cittadini statunitensi, era alta) e quelli del Nord.

Dall’esigenza di trovare una mediazione su questo punto nacque il Three-Fifths Compromise, introdotto nel 1787. Il “compromesso dei tre quinti” avrebbe conteggiato, quindi, le persone rese schiave come tre quinti di un cittadino bianco. Questo accordo ha significato che, da allora, gli Stati del Sud avrebbero ottenuto più voti elettorali rispetto alla popolazione effettiva, così da evitare che essi fossero meno rappresentati e che il loro voto avesse un peso minore.

La composizione 

Il Collegio è amministrato dall’ufficio del Registro Federale (Office of the Federal Register), parte dei National Archives and Records Administrations (NARA).

Il numero complessivo dei Grandi elettori è 538, pari alla somma dei senatori (100, due per ogni Stato), dei deputati (435, assegnati proporzionalmente al numero di abitanti residenti in ciascuno Stato) e dei tre rappresentanti del Distretto di Columbia, ove si trova la capitale Washington (il XXIII emendamento costituzionale prevede, infatti, che il loro numero sia uguale a quello che gli spetterebbe se fosse uno Stato, ma comunque non superiore a quello degli elettori designati allo Stato meno popoloso).

Il funzionamento

La pagina del sito internet dei National Archives dedicata al funzionamento del collegio elettorale titola: “It’s a Process, not a Place”. Vediamo, allora, come funziona questo processo elettorale.

Il primo martedì mattina del mese di novembre i cittadini statunitensi si recano alle urne, in tutto il Paese, per le elezioni presidenziali. Sebbene la scelta sia tra due candidati presidenziali, ciò che in realtà i cittadini votano è una lista di elettori, i cosiddetti “grandi elettori”, che avranno poi il compito di votare direttamente il futuro presidente e vicepresidente degli Stati Uniti.

Dopo l’elezione, ogni Stato invia all’Office of the Federal Register i “Certificates of Ascertainment” (in italiano potremmo definirli “Certificati di constatazione”), i quali riportano i nomi dei grandi elettori scelti dai cittadini in base alla preferenza espressa sui candidati presidenziali. A questo punto lo staff degli uffici NARA esamina questi voti, per assicurarsi che soddisfino i requisiti di legge.

I grandi elettori esprimono, a loro volta, il propio voto nelle votazioni che si tengono nella capitale di ciascuno Stato, il lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre. Non c’è un processo prestabilito per il modo in cui gli elettori esprimono il loro voto: la Costituzione, infatti, prevede soltanto che tutti votino nello stesso giorno. L’organizzazione della giornata elettorale, quindi, è differente in ogni Stato: alcuni tengono grandi cerimonie di votazione, altri, invece, adottano un più basso profilo.

Dopo aver espresso i loro voti, i grandi elettori preparano i “Certificati di voto” che, insieme ai Certificates of Ascertainment, sono inviati al Segretario del Senato, all’Ufficio del registro federale presso l’Archivio nazionale e ad altri funzionari federali e statali. Le copie arrivate al Senato rimangono sigillate, mentre all’ufficio Registro federale il personale le ispeziona, per assicurarsi che siano state completate correttamente. L’Ufficio del registro federale deve anche rintracciare i voti elettorali che arrivano in ritardo, per assicurarsi che siano presenti nel momento in cui il Congresso si riunisce per il conteggio dei voti.

Il 6 gennaio i voti vengono ufficialmente aperti e contati, in una sessione congiunta del Congresso alla Camera dei Rappresentanti, presieduta dal vicepresidente ancora in carica. Il candidato presidente deve ricevere 270 dei 538 voti elettorali per diventare presidente.

Se un candidato alla presidenza non riceve 270 voti, la Camera stessa sceglierà il presidente tra le tre persone che hanno ricevuto il maggior numero di voti. Se nessuno riceve 270 voti per la vicepresidenza, il Senato sceglierà tra i primi due vincitori per la vicepresidenza. Se un candidato alla presidenza non ha ricevuto 270 voti, la persona scelta dal Senato come vicepresidente fungerà da presidente fino a quando la Camera non sceglierà un presidente. Se nessuno riceve 270 voti e né la Camera né il Senato eleggono un presidente e un vicepresidente, il presidente della Camera, che è il prossimo nella linea di successione, diventa presidente ad interim il 20 gennaio, fino a quando la Camera non elegge un presidente.

Chi è, e come si diviene, un grande elettore?

La Costituzione lascia ai singoli Stati il metodo di selezione dei membri del collegio elettorale, indicando, all’articolo II sezione 1, solo chi non può divenire un elettore: membri del Senato e del Congresso e direttori dell’Office of Trust and Profit.

La scelta degli elettori di ogni Stato ricade sulle sezioni dei partiti politici presenti in ogni Stato e varia da uno Stato all’altro. Generalmente, i partiti nominano liste di potenziali elettori durante le convention tenute nei mesi di campagna elettorale in ogni Stato, oppure essi vengono scelti attraverso il voto del comitato centrale del partito. Tramite questa selezione, ogni candidato alla presidenza ha la sua lista unica di potenziali elettori. I partiti politici, spesso, scelgono gli attivisti che si sono maggiormente distinti nelle loro attività di campagna politica, per riconoscere il loro servizio e la loro dedizione.

Se i grandi elettori sono “infedeli”

Non esiste una legge federale che imponga agli elettori di votare come si sono impegnati a fare, cioè secondo i risultati del voto popolare. Tuttavia, ventinove Stati e il Distretto di Columbia possiedono un meccanismo di controllo legale sul voto espresso dai grandi elettori nel collegio elettorale. Ciò significa che i loro elettori sono vincolati dalla legge dello Stato e si impegnano, quindi, a votare per il candidato che vince il voto popolare in tutto lo Stato.

Al tempo stesso ci sono, invece, ventuno Stati nell’Unione che non hanno il controllo legale sul voto dei loro elettori. Pertanto, nonostante l’esito del voto popolare, gli elettori di questi sono in ultima istanza liberi di votare in qualsiasi modo, compresa l’astensione, senza ripercussioni legali. La Corte Suprema non si è pronunciata specificamente sulla questione e, finora, nessun elettore è mai stato perseguito legalmente per non aver votato in linea con il voto popolare.

Il dibattito sul Collegio

Il funzionamento del Collegio elettorale è da lungo tempo oggetto di un forte dibattito, sia in ambito politico che popolare. I sostenitori di questo sistema ritengono che esso sia rispondente al modello federale statunitense e costringa i candidati alla presidenza a concentrare la campagna elettorale non solo nelle grandi città, ma anche negli Stati più piccoli. I contrari a questo sistema, invece, sostengono che esso possa dar vita a differenze sostanziali e ingiuste tra il risultato del voto popolare e quello del voto del Collegio elettorale, interrogandosi, quindi, sull’effettiva democraticità del sistema elettorale presidenziale degli Stati Uniti.

Un esempio, in questo senso, sono le controverse elezioni presidenziali del 2016. Quando, sebbene la candidata Hillary Clinton avesse ottenuto 2,8 milioni di voti popolari in più rispetto a Donald Trump, il candidato repubblicano vinse grazie all’appoggio di 304 elettori, contro i 227 della candidata democratica. Anche nella tornata elettorale del prossimo novembre è probabile che l’attuale presidente Trump possa essere avvantaggiato dal Collegio elettorale: tornerebbe, quindi, a ripetersi uno scenario identico a quello delle presidenziali di quattro anni fa.

 

Fonti e approfondimenti

The Constitution of the United States of America.

National Archives, “Choosing a President: How the Electoral College works”, Prologue Magazine, autunno 2012, Vol. 44, No. 3.

National Archives, “The Electoral College”.

Kyle Cheney, “Who are the Electors”, Politico, 18 dicembre 2016.

Michael Signer, “The Electoral College was created to stop demagogues like Trump”, Time, 17 novembre 2016.

Fair Vote-Presidential Election Reform Program, “State Control of Electors”.

Alexander Hamilton, The Mode of Electing the President, The New York Packet, 14 marzo 1788. Accessibile sul sito della Yale Law School, The Avalon Project, The Federalist Paper no.68.

Nadra Kareem Nittle, “The Three-Fifths Compromise: History and Significance”, ThoughtCo., 29 marzo 2019.

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