Il personaggio dell’anno: Joe Biden

Grafica di Valerio Angiolillo

di Damiano Mascioni e Alberto Pedrielli

Sono passati trentadue anni dalla prima volta in cui Joe Biden si candidò alle primarie democratiche. Era il 1988: c’era ancora il Muro di Berlino e proprio in quell’anno a Hollywood veniva premiato un regista italiano, Bernardo Bertolucci, per il lungometraggio “L’ultimo imperatore”.

Nel mondo del 2020, quello che è rimasto della divisione tra le due Germanie è diventato un’attrazione per turisti e l’ultimo premio Oscar per il miglior film è andato a Parasite, primo lungometraggio non in lingua inglese ad aggiudicarsi il prestigioso trofeo. Segno che, in questo ampio lasso di tempo, il mondo è cambiato parecchio.

Tuttavia, ancora oggi, di barriere si parla tanto, soprattutto negli Stati Uniti. Si pensi al Muro al confine con il Messico o a quella pericolosa polarizzazione tra conservatori e progressisti che, se si prende sottomano la mappa elettorale, diventa una divisione concreta quando si nota quanto i primi siano arroccati sulle zone rurali e i secondi sulle zone urbane. E la Cina, teatro dell’opera di Bertolucci, è tutt’altro che passata di moda: era in cima alla lista di priorità della Casa Bianca con Trump e, con ogni probabilità, lo sarà anche nel prossimo futuro. 

Al momento del voto, per i tanti cittadini e le tante cittadine statunitensi che si sono recati alle urne, il candidato dem Biden rappresentava un ritorno alla normalità. In una società sempre più frammentata, una nuova spinta verso il dialogo; in un mondo sempre più instabile, l’esigenza di una leadership tranquilla, rassicurante come il volto mostrato anche nei periodi più difficili dall’ormai ex senatore del Delaware. L’esatto contrario del “fire and fury” di Trump.

Il ticket democratico ha preso quasi 80 milioni di voti nelle elezioni con l’affluenza più alta da un secolo a questa parte. Al terzo tentativo – nel 2008 si era candidato per la seconda volta – Joseph Robinette Biden Jr. è stato eletto presidente. It’s time to heal America, ha dichiarato nel suo discorso post-elettorale, è tempo di guarire l’America. “È tempo di unirla, e non di dividerla, di vedere non Stati rossi e Stati blu (ovvero Stati repubblicani e democratici, ndr) ma solamente gli Stati Uniti d’America”.

La sfida che attende il politico nativo di Scranton, in Pennsylvania – Stato decisivo su cui, non a caso, prima del voto ha investito molto e che è riuscito a vincere ribaltando il risultato di Hillary Clinton di quattro anni fa – non è per niente semplice. Nel corso della campagna elettorale, Biden è riuscito a costruire una piattaforma supportata da una coalizione ampia, che va da John Kasich a Alexandria Ocasio-Cortez, dal Lincoln Project al Sunrise Movement. A testimonianza di una grande capacità di mediatore, che gli ha permesso di portare avanti molte proposte bipartisan nella sua lunghissima carriera politica.

Cosa dovremmo aspettarci

Mediazione e pacatezza sono infatti le cifre ricorrenti del discorso politico approntato dal nuovo presidente degli Stati Uniti nel corso di questi mesi di campagna elettorale. Una cifra stilistica generale che possiamo trovare anche nelle scelte del futuro gabinetto dei ministri. Scelte ponderate in grado di poter passare al vaglio di un Senato ancora in bilico ma che, sondaggi alla mano, in attesa del voto di gennaio in Georgia, potrebbe rimanere  a maggioranza repubblicana. E partire subito da “anatra zoppa” non renderebbe le cose facili.

Tuttavia queste sue grandi capacità di mediazione, Partito repubblicano permettendo, potranno tornare utili e rivelarsi fondamentali nei rapporti fra la Casa Bianca e il Congresso. Magari fra un gelato e l’altro, del quale Biden non ha mai nascosto di essere ghiotto, tanto da utilizzare la cosa anche in campagna elettorale. Virale l’immagine pubblicata sui suoi social in occasione del primo dei due dibattiti con Trump ritraente un paio di cuffiette e un barattolo di gelato artigianale poggiati su un tavolo.

Dibattiti dove senza aver brillato in maniera univoca ha comunque espresso un forte senso del dovere e della serietà, attraverso la quale intenderà affrontare le principali tematiche sul piatto. Il contenimento della pandemia, il rilancio dell’economia, la politica estera e l’ambiente. Tutte tessere dello stesso puzzle che Biden ha intenzione di comporre per poter rilanciare il ruolo da protagonista che gli Stati Uniti hanno sul piano internazionale. Ruolo che negli ultimi quattro anni di presidenza Trump sembra aver subìto più di un contraccolpo in seguito agli scontri con gli alleati e all’aumento dell’influenza delle potenze avversarie.

Build back better (ricostruire meglio) è lo slogan scelto dal presidente eletto per questa transizione di potere fra la precedente e la nuova amministrazione. Solo il tempo, il più grande fra gli esaminatori, ci dirà se Biden riuscirà nei propri scopi e intenti. Magari già a partire dai primi cento giorni, da sempre primo step per valutare che direzione l’amministrazione ha intrapreso e quali indicazioni possono trarsi dai primi provvedimenti del governo. A questo punto non resta che aspettare.

 

Fonti e approfondimenti

Chakrabarti S., “How Biden Can ‘Build Back Better’ With or Without the Senate”, The Nation, 24/11/2020

Thompson D., “The Most Important Divide in American Politics Isn’t Race”, The Atlantic, 7/11/2020

 

Editing a cura di Cecilia Coletti

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