Dalla scuola alla prigione: la school-to-prison pipeline
I problemi del razzismo sistemico, della violenza e delle discriminazioni sono all’ordine del giorno negli Stati Uniti. In questo periodo, in particolare, si legge quotidianamente di sparatorie in cui le forze dell’ordine vengono accusate di aver ucciso o ferito gravemente senza un vero motivo. Le minoranze continuano a essere le principali vittime della mass incarceration e la società statunitense appare fortemente iniqua. Questi complessi fenomeni hanno radici profonde e permeano la vita delle persone.
Il sistema educativo del Paese, per esempio, spesso non offre gli strumenti adeguati a contrastare questi fenomeni, ma risulta essere invece parte integrante del problema strutturale. In questo senso, gli analisti hanno coniato, circa un decennio fa, il termine School-to-Prison-Pipeline, “conduttura scuole-prigioni” (o School-to-Prison-Nexus, “connessione scuole-prigioni”), per sottolineare come esista un vero e proprio filo diretto tra istituzioni scolastiche e incarcerazione.
Le scuole funzionano all’interno di una rete di istituzioni, di politiche e di pratiche che incanalano i giovani, soprattutto quelli appartenenti a una minoranza, verso le carceri. Vi è infatti la tendenza a sanzionare in maniera sproporzionata minori e giovani adulti per il loro comportamente a livello scolastico. Questi meccanismi colpevolizzanti e criminalizzanti tendono a escludere questi studenti, aumentando le possibilità che finiscano un giorno in carcere.
Esperti come il professor Alex S. Vitale, autore del libro “The End of Policing”, hanno imputato la creazione del nesso tra scuola e prigione a fattori quali le politiche di “tolleranza zero”, l’aumento della polizia nelle scuole e la standardizzazione del sistema delle performance scolastiche.
La politica di “tolleranza zero”
Una politica di tolleranza zero stabilisce che venga sempre inflitta una punizione “severa” per ogni infrazione di una certa regola. Tali misure vietano alle persone in posizioni di autorità di esercitare la propria discrezione nell’applicare le azioni disciplinari, indipendentemente da circostanze attenuanti.
Il regime di tolleranza zero nelle scuole è stato ufficializzato negli anni Novanta con il Gun-Free Schools Act del 1994, quando il Congresso ha legato il finanziamento delle scuole all’obbligo di adozione di politiche di tolleranza zero. Queste politiche miravano a prevenire episodi di violenza (come quello che accadde cinque anni dopo a Columbine), sanzionando fortemente chi fosse stato trovato a scuola, per esempio, in possesso di un’arma.
In pratica però la zero tolerance policy si è allargata alla maggior parte dei comportamenti scorretti, anche di gravità relativamente lieve. Gli studenti vengono spesso sanzionati per atti di disobbedienza lievi, come l’uso di telefoni cellulari e la mancanza di rispetto per gli insegnanti. Nel contesto scolastico, le pene si concretizzano in sospensioni ed espulsioni, che sono più che raddoppiate negli ultimi vent’anni.
Secondo i critici di questi strumenti, le politiche disciplinari eccessivamente rigide spingono gli studenti progressivamente al di fuori del sistema scolastico, incentivandone l’emarginazione sociale e inasprendo il fenomeno della dispersione scolastica. I giovani sospesi ed espulsi possono facilmente rimanere indietro con gli studi, portando a una maggiore probabilità di disimpegno e abbandoni.
“Criminalizzazione” e discriminazione
La concretizzazione di politiche di tolleranza zero nelle scuole è stata, di fatto, una naturale estensione delle politiche emerse durante gli anni Ottanta nel merito della “War on Drugs”. In quegli anni, vi è stata un vera e propria “stretta” del sistema giudiziario, con l’ascesa della legge dei “three strikes” e altre schemi di condanne minime obbligatorie. In questo contesto, come sostiene Vitale, ogni minaccia alla sicurezza pubblica è stata immediatamente trasformata in un’opportunità per irrigidire il sistema con più controllo e severità. Il modello di crescente “criminalizzazione” dei comportamenti si è poi tradotto nel contesto scolastico.
All’insieme di queste politiche scolastiche punitive si unisce poi il vasto impiego di forze dell’ordine nelle scuole, che vengono coinvolte direttamente nel processo sanzionatorio. Il coinvolgimento della polizia contribuisce alla criminalizzazione di comportamenti di fatto innocui che dovrebbero essere gestiti all’interno della scuola. Una volta messi in contatto con le forze dell’ordine per motivi disciplinari, molti ragazzi vengono poi espulsi dall’ambiente educativo verso i sistemi di giustizia minorile e penale.
Inoltre, secondo numerosi studi gli studenti neri hanno decisamente più probabilità di essere sospesi o espulsi rispetto agli studenti bianchi. Chi proviene da una minoranza sembra essere particolarmente a rischio per fenomeni di push-out. Già nei primi anni Duemila, associazioni che si battono contro le discriminazioni razziali, come la NAACP, sostenevano che gli strumenti e gli approcci punitivi e iper-zelanti della moderna giustizia penale fossero penetrati nelle scuole. Ciò si è tradotto nella rimozione dal sistema educativo di giovani, spesso poveri e neri o latinx, che vengono incanalati su un percorso a senso unico verso la prigione.
Risorse e standardizzazione delle scuole
Alcuni dei tratti distintivi dell’istruzione moderna degli Stati Uniti, come l’adozione di test e standard del tipo “one-size-fits-all” per gli studenti, insieme alla mancanza di risorse sufficienti per le scuole (soprattutto pubbliche) spingono effettivamente le istituzioni scolastiche a voler allontanare quegli studenti che si rivelino “non performanti”. Così, piuttosto che affrontare i problemi sistemici che portano a uno scarso rendimento scolastico, le rigide politiche disciplinari si rivelano utili alle scuole per allontanare progressivamente gli studenti che considerano inadeguati.
Man mano che l’utilizzo di sanzioni per comportamenti scorretti diventa più radicato, è più semplice mascherare le carenze del sistema educativo. In questo modo, non ci si preoccupa più di includere i ragazzi con difficoltà. Molti dei giovani che vengono sanzionati hanno difficoltà di apprendimento o storie di povertà, abuso e abbandono e trarrebbero beneficio da servizi educativi e di consulenza aggiuntivi. Invece, vengono isolati, puniti e cacciati.
Il sistema scolastico statunitense sta andando verso una direzione che lo rende sempre più rigido e punitivo. Questo fa sì che l’adozione di politiche di tolleranza zero criminalizzi gli studenti che non si adattano a un sistema molto competitivo e marginalizzante. Coloro i quali subiscono più punizioni non solo vengono esclusi da un sistema che non si adatta ai loro bisogni, ma ciò cambia anche le aspettative sociali nei loro confronti. Questi studenti iniziano ad essere visti come se fossero destinati a diventare dei criminali.
Al contempo, la forte competizione nel sistema scolastico, sia tra istituzioni per i fondi pubblici, sia tra studenti per non essere lasciati indietro, fa sì che la scuola statunitense sia sempre meno adatta a essere un’istituzione inclusiva e a funzionare come ascensore sociale. La school-to-prison pipeline mostra un modello escludente e marginalizzante, ma l’istruzione pubblica dovrebbe essere invece il tramite per mitigare le disuguaglianze intergenerazionali.
Investire in politiche contro la dispersione scolastica e cambiare la cultura con cui si affronta la “devianza” nelle scuole, offrendo a tutti gli studenti un porto sicuro dove imparare, dovrebbe essere la direzione desiderabile.
Fonti e approfondimenti
Pedrielli, Alberto, “La privatizzazione dell’istruzione negli USA”, Lo Spiegone, 04/03/2021.
Coi, Giovanna, “Come funziona il finanziamento alle scuole pubbliche negli Stati Uniti”, Lo Spiegone, 25/03/2021.
LDF, issue reports. “Dismantling The School To Prison Pipeline”.
Mallett, Christopher, A. 2017. “The School-to-Prison Pipeline: Disproportionate Impact on Vulnerable Children and Adolescents”. Education and Urban Society, 49(6), 563–592.
Murgolo, Emanuele, “La violenza razziale negli Stati Uniti”, Lo Spiegone, 14/07/2020.
Vitale, Alex, S. “The End of Policing”. Race & Class, 60, 2.
Editing a cura di Cecilia Coletti
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