Come funziona il finanziamento alle scuole pubbliche negli Stati Uniti

Foto di Ted Eytan - Wikimedia - CC BY-SA 2.0

Negli Stati Uniti, le scuole pubbliche sono sempre state concepite come istituzioni che servono la comunità cui appartengono. Per questo, il sistema di finanziamento scolastico è estremamente decentralizzato. A provvedere i fondi sono Stati, Contee e governo federale, e a distribuirli sono i distretti scolastici, l’unità amministrativa locale.

L’esistenza di un sistema localizzato, unita all’assenza di regole e principi condivisi per regolare l’assegnazione dei fondi, ha creato un sistema profondamente iniquo che penalizza gli studenti economicamente marginalizzati, in particolare quelli neri o latinx. 

Quanti soldi arrivano alle scuole?

Secondo lo U.S. Census Bureau, nell’anno finanziario 2018 le scuole primarie e secondarie hanno ricevuto circa 720 miliardi di dollari. Di questa somma, solo l’8% (55 miliardi) è arrivato dal governo federale. Lo Stato e il governo locale hanno contribuito, rispettivamente, 347 miliardi (47%) e 329 miliardi (45%).

I fondi federali rimangono, dunque, una minima parte, e sono legati a programmi specifici, come il Title I program sostenere gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito.

A livello statale e locale, la spesa in istruzione è finanziata dalle tasse. Tra queste, le fonti più importanti sono le imposte sul reddito, raccolte dallo Stato, e quella sulla proprietà, che rientrano nel bilancio degli Stati e delle Contee. Questo sistema è la causa principale delle disuguaglianze tra le scuole pubbliche negli Stati Uniti.

Finanziamento ai school districts e disuguaglianze

Il problema principale del sistema di finanziamento alle scuole pubbliche statunitensi è che trasferisce le disuguaglianze economiche e sociali esistenti sul sistema scolastico. Questo accade perché sia le imposte sul reddito, sia quelle sulla proprietà sono in funzione della ricchezza di una comunità. Più questa è benestante, più alte saranno le entrate di Stati e Contee; più è povera, meno soldi il sistema scolastico riceverà.

Ciò crea un effetto a catena, che limita il potenziale che le scuole possono avere per la mobilità sociale degli studenti più svantaggiati. Un’istruzione di qualità, infatti, ha un impatto positivo sulla vita adulta dello studente. Se questa viene a mancare, comunità già marginalizzate avranno sempre meno opportunità, mentre quelle più ricche saranno sempre più avvantaggiate.

C’è dunque un divario crescente tra i distretti più ricchi e quelli più poveri — una divisione geografica tracciata sulla base del reddito, ma anche del gruppo etnico o razziale di appartenenza, elementi da sempre legati negli USA. Si è parlato, infatti, di una “segregazione per reddito” crescente, ossia gli studenti da famiglie povere e quelli da famiglie ricche tendono a frequentare scuole diverse. Ma questa segregazione è, inevitabilmente, anche razziale, a causa delle disparità di reddito tra le persone bianche e le minoranze.

Perché la geografia conta

Le disuguaglianze tra distretti riflettono la lunga storia della segregazione sociale, economica e razziale degli USA. L’esistenza di un sistema di segregazione razziale esplicito prima, e l’applicazione di politiche di fatto segregazioniste in campo abitativo, educativo e di pianificazione urbana poi, ha lasciato delle conseguenze durature sulla geografia degli Stati Uniti, creando delle profonde disuguaglianze tra gruppi razziali che si riverberano sulle disparità socioeconomiche tra questi.

Il relativo abbandono dei quartieri a maggioranza nera da parte delle istituzioni politiche – unito al white flight, ossia alla “fuga” di persone bianche che abbandonavano un quartiere quando vi si trasferivano delle persone nere, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Settanta – ha contribuito a rendere queste aree meno “attraenti” dal punto di vista economico, influenzando quindi il valore del mercato immobiliare, nonché la qualità dei servizi offerti – dalle strade, alle scuole, alla presenza di verde urbano. Tutti questi elementi hanno un’influenza determinante sulla property tax. In quartieri più poveri le entrate statali e locali saranno più basse, quindi le scuole saranno sottofinanziate. In quelli più ricchi, anche le scuole riceveranno più soldi.

Non è quindi un caso se quasi sempre le scuole con percentuali più alte di minority students sono anche quelle più povere e quelle con i risultati accademici più bassi: questo sistema è il prodotto di decenni di politiche discriminatorie che le istituzioni politiche non hanno mai tentato di correggere.

Il caso Rodriguez

Negli USA, sono gli Stati, non il governo federale, a garantire l’accesso all’istruzione, che è codificato in modi diversi nelle rispettive costituzioni. Anche le regole per l’allocazione dei fondi cambiano di Stato in Stato, così come le risorse disponibili. Quindi, anche se in teoria lo Stato dovrebbe appianare le disuguaglianze tra i distretti scolastici, nei fatti questo non sempre accade. Gli Stati, inoltre, non hanno un obbligo costituzionale di garantire il diritto all’istruzione, come affermato dalla Corte Suprema nel 1973.

La decisione della Corte riguardava il caso San Antonio Independent School District v. Rodriguez. Nel 1968, un gruppo di genitori i cui figli frequentavano una scuola di San Antonio, Texas, fece causa allo Stato sostenendo che il suo sistema di finanziamento alle scuole pubbliche fosse incostituzionale, perché non garantiva il diritto all’istruzione. A sostegno della loro tesi, portarono uno studio che illustrava le differenze di finanziamento tra i distretti scolastici più poveri, come Edgewood, e quelli più ricchi, come Alamo Heights. Il primo aveva speso solo 356 dollari per studente nel 1967-68 – di cui 222 dollari provenienti dallo Stato e 26 generati da imposte locali sulla proprietà. Il secondo, invece, beneficiava di 594 dollari per studente: 225 dallo Stato e 333 derivanti da imposte locali sulla proprietà.

I querelanti sostenevano che la situazione socioeconomica fosse una suspect clause, quindi meritevole di protezioni aggiuntive al pari di razza e genere. Lo Stato, quindi, non intervenendo per colmare il divario tra i distretti, violava il 14° emendamento della Costituzione, non garantendo pari accesso al sistema educativo.

La decisione della Corte

Il caso arrivò alla Corte suprema nel 1972 e nel 1973, con cinque voti a quattro, la Corte respinse il ricorso. Prima di tutto, stabilì che l’istruzione non è un diritto fondamentale, in quanto non è citata nella Costituzione. In secondo luogo, lo Stato adempiva all’obbligo di garantire accesso all’istruzione a tutti, a prescindere dal reddito; a differire era la qualità del servizio, non la sua presenza. Nei fatti, era accettabile, dal punto di vista costituzionale, che studenti nei distretti scolastici più poveri avessero accesso a un’istruzione di qualità inferiore.

La decisione creò un precedente significativo, legittimando l’esistenza di disuguaglianze tra i distretti scolastici e le differenze di trattamento tra studenti più ricchi e più poveri. Pur riconoscendo l’esistenza di un problema, la Corte non agiva per favorirne una soluzione e non ne riconosceva le radici storiche e strutturali. Inoltre, la responsabilità di garantire l’accesso all’istruzione rimaneva in capo agli Stati; mancava, dunque, uno standard condiviso di cosa ciò implicasse nei fatti, lasciando spazio a ogni stato per applicare le proprie definizioni e le proprie regole.

Le differenze all’interno dei distretti scolastici

Le differenze di finanziamento tra i distretti dipendono dunque in gran parte dalle entrate fiscali. Esiste però un altro problema: le disuguaglianze tra istituti all’interno dello stesso distretto. Il fenomeno non è nuovo ma è emerso abbastanza di recente. Dal 2020, infatti, i distretti sono tenuti a comunicare allo Stato i finanziamenti effettivi per istituto, non la spesa media.

Uno studio di Hechinger Report sulla base di questi dati ha portato alla luce le disparità di finanziamento tra scuole intra-distretto. Questo accade in parte perché le scuole con studenti provenienti da famiglie più ricche tendono, in media, ad avere un’offerta formativa più ampia, programmi extracurriculari, servizi agli studenti (come la fornitura di PC personali) e tendono ad attrarre docenti con più esperienza e più qualifiche.

Gli studenti in queste scuole tendono ad avere risultati accademici migliori, fatto che a sua volta le rende più popolari per studenti e docenti, e quindi ancor più costose. Al contrario, le scuole che ricevono meno finanziamenti – già in difficoltà perché hanno più studenti da un contesto socioeconomico svantaggiato e un corpo docente con meno esperienza – registrano risultati accademici inferiori alla media, diventano sempre meno popolari e ricevono sempre meno fondi.

Queste decisioni finanziarie non derivano da una volontà di punire le scuole in aree economicamente marginalizzate; sono più che altro espressione di meccanismi di finanziamento che non prevedono modalità esplicite per riequilibrare le disparità, ad esempio destinando intenzionalmente più fondi alle scuole con risultati accademici inferiori alla media del distretto, o a quelle inserite in aree economicamente svantaggiate.

Le soluzioni

Diverse realtà si stanno mobilitando per rendere il finanziamento del sistema scolastico più equo. Alcuni Stati e distretti hanno adottato o stanno studiando formule di finanziamento basate sulle necessità degli studenti, con l’intento di destinare più soldi alle aree in difficoltà o a quelle che hanno necessità specifiche, ad esempio corsi di lingua inglese per studenti bilingui. Dopo il fallimento della causa Rodriguez nel 1973, ci sono state molte altre cause aventi come oggetto il finanziamento scolastico in almeno 45 Stati su 50, che in alcuni casi si sono risolte con la condanna dello Stato, a dimostrazione che il dibattito legale è ancora più vivo che mai.

Con la pandemia da Covid-19, inoltre, il governo federale è intervenuto in modo più attivo nel finanziamento alle scuole – spesso per far fronte alle mancanze oggettive (o ai buchi di bilancio) altri livelli di governo. Un finanziamento più centralizzato, e meno dipendente dalle entrate fiscali sulla proprietà, è tra le soluzioni avanzate per rendere il sistema più equo.

Il finanziamento alle scuole, però, è solo parte di una struttura sedimentata di disuguaglianza e discriminazione istituzionalizzate, che penalizza le persone di colore e quelle economicamente e socialmente marginalizzate. Solo affrontando il problema nel suo complesso, investendo nell’educazione pubblica e accessibile, si potrà concepire una scuola più equa e accessibile.

 

Fonti e approfondimenti

5-4 Podcast. San Antonio ISD v. Rodriguez, 09/03/2021.

Biddle, Bruce J. e David C. Berliner. 2002. A Research Synthesis / Unequal School Funding in the United States. Educational leadership, 59(8): 48-59.

EdBuild, 23 Billion.

Kirabo Jackson, C., Johnson, Rucker C. e Claudia Persico. The effects of school spending on educational and economic outcomes: evidence from school finance reforms. NBER Working paper 20847, gennaio 2015.

King, Morgan. From 1973 to Today: The Risks of Funding Public Education by the Property Tax. Kentucky Law Journal Online, 05/03/2020.

Morgan, Ivy e Ary Amerikaner. Funding gaps 2018. The Education Trust, 27/02/2018.

Owens, Ann. 2018. Income Segregation between School Districts and Inequality in Students’ Achievement. Sociology of Education, 91(1): 1-27.

Sutton, Jeffrey S. 2013. San Antonio Independent School District v. Rodriguez and Its Aftermath. Virginia Law Review, 94(8): 1963-1986.

The Education Trust. 2018. Funding gaps. An analysis of school funding equity across the U.S. and within each state

U.S. Census Bureau, 2018 Public Elementary-Secondary Education Finance Data.

U.S. Department of Education, press office. FACT SHEET: Supplement-not-Supplant under Title I of the Every Student Succeeds Act, 31/08/2016.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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