Polizia e carceri negli USA: quando la legge diventa uno strumento repressivo

polizia e carceri
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Negli Stati Uniti, il tasso di incarcerazione dei neri è 5 volte superiore a quello dei bianchi. Le persone afroamericane sono anche fermate e perquisite dalla polizia a un tasso superiore rispetto a quelle bianche, nonostante i dati mostrino come questi due gruppi commettano reati a un tasso sostanzialmente uguale. Allo stesso modo, illeciti come il furto sono interpretati in maniera molto disomogenea a seconda di chi li commette. Un reato di questo tipo, commesso da un individuo contro una proprietà (furto con scasso, d’auto, rapina) porta a una condanna penale. Di contro, lo stesso atto commesso da un datore di lavoro che non corrisponda il salario dovuto a un dipendente, non viene considerato un crimine. Nonostante il furto salariale costi, secondo le stime dell’Economic Policy Institute, circa 50 miliardi di dollari l’anno ai lavoratori statunitensi, mentre i crimini contro la proprietà creano danni per circa 14 miliardi, solo i secondi sono perseguibili penalmente.

Il tema è capire da cosa derivino queste discrepanze, e perché il sistema risponda diversamente di fronte a reati o comportamenti devianti sostanzialmente uguali. Se la funzione delle leggi, e della giustizia, dovrebbe essere quella di contenere i danni e le violenze, perché le istituzioni reagiscono in modo così differente?

Ciò accade perché sono le società, e gli attori che ne fanno parte, a definire quali comportamenti sono considerabili come devianti, e in che misura vanno puniti. La costruzione di queste definizioni non è infatti oggettiva, ma strettamente legata alla cultura e ai rapporti sociali del contesto in cui vengono caratterizzate. Il potere di creare e applicare leggi e norme dipende, in larga misura, dal potere di cui individui e gruppi dispongono in generale nella società. Per questo, spesso, la costruzione del sistema legale va a rappresentare gli interessi e i pregiudizi delle classi dominanti. È su queste rappresentazioni della criminalità, infine, che nella contemporaneità si inserisce l’azione di polizia e carceri, la cui funzione sociale deriva dal tentativo di reprimere ciò che una società considera, appunto, deviante.

Crimine e devianza sono “costruzioni sociali”

Le definizioni di ciò che, nelle società, costituisce un comportamento cosiddetto “criminale” o “deviante” sono spesso trattate in maniera deterministica, come se fossero concetti rigidi, naturali e universalmente validi. In realtà, queste definizioni non sono nate dal nulla, ma sono socialmente costruite. Sono caricate di significato dalle persone, dalle istituzioni e dalle comunità che le creano, e per questo riflettono i pregiudizi e le disuguaglianze strutturali del contesto dove sono nate.

Applicato agli Stati Uniti, un approccio critico che riconosca l’influenza che le strutture sociali hanno sulle definizioni, e sull’applicazione, dei concetti di criminalità e devianza è particolarmente importante. In questo Paese, la polizia e le carceri hanno un potere e un impatto enormi e sono riconosciute, in primis dalle minoranze, come istituzioni centrali nel mantenimento dell’ordine sociale. Per questo, analizzare il crimine come un concetto non “naturale”, bensì socialmente costruito, aiuta a comprendere come e perché la definizione di devianza possa diventare uno strumento atto a cristallizzare lo status quo. Se la devianza viene definita come ciò che è socialmente indesiderabile, e se questa etichetta viene applicata in modo sproporzionato alle comunità più povere e alle minoranze, si crea un ambiente dove queste fasce di popolazione sono altamente stigmatizzate e, quindi, marginalizzate.

Questo processo nasce da uno sbilanciamento sulle definizioni di ciò che arreca danno alla società. Non tutto ciò che crea danni o è espressione di violenza viene infatti criminalizzato, e anche quando lo è, l’applicazione delle leggi dipende in gran parte da un sistema che riflette le disuguaglianze strutturali della società. Allo stesso modo, non tutti i reati sono puniti in misura uguale dalle istituzioni. In un contesto del genere, il sistema di giustizia penale – composto da polizia, procuratori, giudici, carceri – ha un ruolo centrale sia nel creare e riprodurre le etichette legate alla concezione di criminalità, sia nel reprimere ciò che loro stessi giudicano come deviante.

Come e perché sono nate la polizia e le carceri negli USA

Gli Stati Uniti sono un Paese con uno dei più alti tassi di disuguaglianza economica al mondo, nonché una nazione che deve ancora fare i conti con un profondo razzismo strutturale, dove il divario tra bianchi e minoranze è enorme. Negli ultimi decenni, diversi autori, accademici e giornalisti hanno iniziato a problematizzare grandemente il ruolo che il sistema cosiddetto di “criminal justice” (giustizia penale) ha avuto nel creare e riprodurre queste disuguaglianze.

Negli USA, polizia e carceri non sono sempre esistite, ma sono nate con un obiettivo ben definito. Nel XVIII secolo, mentre Nord, Sud e Ovest vivevano tre momenti di sviluppo diversi, queste furono create in risposta a condizioni diverse ma con lo stesso scopo: proteggere l’equilibrio sociale basato sul suprematismo bianco.

Nel Nord industrializzato, la polizia nacque come corpo costituito dalle élite bianche in risposta agli scioperi della classe operaia, composta in particolare da immigrati europei, e come strumento di oppressione delle fasce più povere della popolazione. Nel corso dell’espansione a Ovest, invece, i coloni bianchi istituirono i primi corpi di polizia per segregare i nativi e impedire loro l’accesso alle città, escludendo le comunità indigene dai territori che prima abitavano. Nel Sud, infine, i progenitori delle forze dell’ordine furono gli slave patrols, ovvero quei corpi di volontari atti a sorvegliare le persone afroamericane ridotte in schiavitù. Qui, dopo il Proclama di Emancipazione del 1863, carceri e polizia divennero lo strumento principale per ricostruire un ordine sociale basato sul razzismo. Tramite leggi ad hoc – i Black Codes prima, le leggi segregazioniste poi – i bianchi criminalizzarono condizioni quali il vagabondaggio e la disoccupazione, per permettere l’arresto e l’incarcerazione in gran numero degli ex schiavi liberati.

Le carceri nacquero in parallelo, sulla spinta data dal movimento dei quaccheri, i calvinisti puritani che ne promossero la creazione come alternativa alla pena capitale, giudicata inumana. Presto però questa istituzione si allontanò dall’ideale quacchero, che la vedeva come uno strumento riabilitativo, e iniziò ad assolvere quella funzione puramente punitiva che tuttora ricopre. In particolare, una volta abolita la schiavitù, l’incarcerazione delle persone afroamericane divenne il mezzo principale per reintrodurre gli ex schiavi a forme di lavoro forzato, nonché per privarli dei diritti di cittadinanza.

La criminalizzazione come strumento politico

Oggi, la polizia e le carceri hanno ancora le stesse funzioni sociali che svolgevano all’epoca della loro creazione. Non è un caso che la brutalità poliziesca e l’incarcerazione di massa delle minoranze siano ancora i temi più dibattuti quando si parla di giustizia penale negli Stati Uniti. In generale, durante tutta la storia statunitense, polizia e carceri hanno partecipato in maniera attiva alla repressione dei movimenti sociali dei lavoratori e delle minoranze, e sono state parte di un sistema che è tuttora uno dei più repressivi al mondo, in particolare contro poveri, afroamericani, latinx, e nativi.

Negli USA, la criminalizzazione – ovvero, la creazione di leggi e norme sociali che associano una punizione a determinati comportamenti – è stata costruita con la volontà di caratterizzare come devianti alcuni segmenti della popolazione. La povertà, ad esempio, è sempre stata accompagnata da una pesante stigmatizzazione e colpevolizzazione dell’individuo. Allo stesso modo, le minoranze, e in particolare gli afroamericani, sono sempre state l’obiettivo preferito di un sistema giudiziario dove il razzismo domina i rapporti sociali e la cultura.

Interpretare il crimine come un costrutto sociale significa riconoscere che la definizione di ciò che costituisce criminalità e la scelta di perseguire alcuni comportamenti o segmenti della popolazione in maniera specifica, sono allo stesso modo scelte politiche. Sono, ovvero, radicate nella cultura dominante di un Paese e nei rapporti di forza politici e sociali che lo costituiscono. Questo è vero soprattutto negli Stati Uniti, una nazione estremamente individualista, che ha sempre disdegnato le reti comunitarie e di welfare a favore di una concezione moralizzante della povertà, dove le minoranze sono sempre state marginalizzate.

Se polizia e carceri sono il braccio esecutore dello Stato, atte a rendere concrete le etichette che le società e le istituzioni legano ai concetti di criminalità e devianza, il caso statunitense è emblematico di un’azione volta alla cristallizzazione delle discriminazioni razziali. La criminalizzazione di chi sta ai margini della società sembra essere legata a doppio filo al razzismo e all’individualismo su cui si basano gli Stati Uniti, e porta alla luce il nesso che esiste tra la cultura e le strutture sociali da un lato, e la definizione di devianza e la repressione di polizia e carceri dall’altro. Il sistema giudiziario statunitense, ancora oggi, è funzionale alla conservazione del potere nelle mani del gruppo dominante.

 

Fonti e approfondimenti

Hallett, Nicole (2018). “The Problem of Wage Theft”.

Kaba, Mariame,  “Yes, We Mean Literally Abolish the Police”, The New York Times, 12 giugno 2020.

Meixell, Brady, e Ross Eisenbrey (2014). “An Epidemic of Wage Theft Is Costing Workers Hundreds of Millions of Dollars a Year”, Economic Policy Institute.

O’Neill Hayes, Tara e Barnhorst, Margaret (2020). “Incarceration and Poverty in the United States”, American Action Forum.

Przemieniecki, Chris (2017). “Social Construction of Crime”.

Rafter, Nicole Hahn (1990). “The Social Construction of Crime and Crime Control”, Journal of Research in Crime and Delinquency, Vol. 27, n. 4,  376–89.

Roberts, Leonard H. (1985). “The Historic Roots of American Prison Reform: A Story of Progress and Failure”, Journal of Correctional Education, Vol. 36, n. 3, pp. 106–109.

NPR.org, “The History Of Police In Creating Social Order In The U.S.”, 5 giugno 2020.

The Intercept, “Mariame Kaba Offers a People’s History of Prisons in the U.S.”, 5 dicembre 2019.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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