di Manuele Avilloni
Il tema dei rifugiati ambientali è un argomento complesso, strettamente legato alle conseguenze del cambiamento climatico. Già nel 2013 David Gray, fotografo di Reuters, documentò questi stravolgimenti mentre trascorreva alcuni mesi tra la popolazione di Kiribati, uno degli Stati più isolati del globo, composto da 33 atolli. Il più grande tra questi ospita la metà dei centomila abitanti totali ed è inoltre il luogo dove si trova la capitale, Tarawa Sud, che consiste in una striscia di terra lunga pochi chilometri. Kiribati è da anni minacciata dall’innalzamento del livello del mare e da tempeste sempre più intense.
Kiribati: uno Stato vulnerabile
Kiribati è uno dei Paesi meno sviluppati delle isole del Pacifico: tra le fonti di reddito fondamentali vi sono le rimesse degli emigrati e alcune attività legate al settore primario, come la pesca e l’esportazione di cocco e olio di palma. L’economia e, di riflesso, la società ruotano attorno al turismo, al settore ittico e a un’agricoltura di sussistenza con coltivazioni di radici commestibili, come la patata dolce e il taro. Inoltre, il Paese dispone di poche risorse naturali. L’attività economica durante il periodo coloniale era incentrata sull’estrazione dei fosfati, i cui giacimenti furono esauriti già prima dell’indipendenza dal Regno Unito nel 1979.
Le caratteristiche dell’economia di Kiribati sono evidenti se si considera l’aspetto geografico. Mentre l’estensione delle terre emerse non arriva alle dimensioni della capitale italiana, la superficie acquatica di Kiribati vanta un’area pari quasi ai territori alle dimensioni di Perù, Bolivia e Colombia messi insieme. Il punto più alto di questo Stato, fatta eccezione per l’isola di Banaba, è a soli due metri sopra il livello del mare.
La maggior parte degli atolli si trovano a una quota molto bassa e Tarawa, l’isola principale, è pericolosamente sovraffollata a causa del numero di abitanti provenienti dalle isole esterne che cercano riparo dagli effetti ormai tangibili dei cambiamenti climatici.
L’aumento del fenomeno della dislocazione delle popolazioni dei villaggi costieri verso le zone più interne rischia di creare tensioni per le terre abitabili. Secondo la Michigan State University, la popolazione urbana nel 2020 era circa il 55,60% di quella complessiva, dato in espansione viste le numerose calamità cui è soggetta la zona costiera e l’innalzamento dei livelli del mare.
In fuga dal paradiso Kiribati
Secondo la rivista Science, Kiribati potrebbe essere la prima nazione cancellata dagli effetti del cambiamento climatico. Lo scioglimento dei ghiacciai innalza il livello del mare di circa 0,88 centimetri ogni anno: tanto basta a determinare la sommersione di molti piccoli atolli e si prevede che nei prossimi decenni le acque potrebbero salire più rapidamente fino a far scomparire l’intero Paese. Inoltre, le forti tempeste hanno provocato la penetrazione di acqua salata nelle isole con gravi danni alle riserve di acqua potabile (costituite principalmente da lagune di acqua dolce) e alle poche coltivazioni.
Anote Tong, presidente di Kiribati dal 2004 al 2016, negli anni in carica si è battuto per far conoscere la realtà del suo Paese minacciato dalla crisi climatica. Nel 2005 Tong parlò alla sessantesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, mentre sette anni più tardi ipotizzò la costruzione di isole artificiali come strategia di adattamento all’innalzamento del livello del mare.
In un’intervista rilasciata al The Globe and Mail, egli propose l’acquisto di terra nelle isole Figi come investimento per gli abitanti del Kiribati. Tuttavia, l’emigrazione rimane l’unica scelta praticabile per la sopravvivenza della popolazione. Per questo motivo, il Paese ha attuato il programma “Education for Migration” dello IOM (International Organization for Migration), mirato a riqualificare professionalmente la popolazione di pescatori, marinai e agricoltori.
Il tema dei migranti climatici
L’emigrazione, a causa degli effetti del cambiamento climatico, pone dei problemi normativi sul riconoscimento dello status di “rifugiato”. Un esempio è il respingimento della prima domanda al mondo di asilo climatico posta dal gilbertese Ioane Teitiota (per sé e la sua famiglia) da parte del governo della Nuova Zelanda.
In base alla decisione di Wellington, confermata dai successivi ricorsi alle corti nazionali, Teitiota e la sua famiglia non avrebbero corso un reale pericolo, non essendoci evidenza che lo Stato di Kiribati non fosse in grado di offrire protezione riguardo i rischi legati al cambiamento climatico. Pertanto, il 15 settembre 2015 Teitiota fu arrestato e ricevette un ordine di espulsione.
Il caso Teitiota nel 2019 ha raggiunto il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Seppur ritenendo che il rimpatrio forzato in un luogo soggetto a rischi elevati per il cambiamento climatico può violare il diritto alla vita, il Comitato ha ritenuto che la Nuova Zelanda abbia agito correttamente poiché le prove fornite non hanno dimostrato il rischio di un pericolo reale e ragionevolmente prevedibile.
Lo status dei rifugiati ambientali nel diritto internazionale è un tema molto discusso a causa della mancanza di una tutela giuridica definita e dell’esclusione da alcune convenzioni di rilievo, come ad esempio quella di Ginevra.
Il dibattito è stato affrontato negli Accordi di Cancùn (2010) all’interno della sedicesima Conferenza delle parti della UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici). Tuttavia, l’esito degli accordi è risultato solamente in un invito verso le parti a prendere “misure volte a migliorare la comprensione, il coordinamento e la cooperazione in materia di spostamenti di popolazioni indotti da cambiamento”.
All’interno del più recente Accordo di Parigi (2015) invece si è identificata una connessione tra problematiche ambientali e violazioni dei diritti umani, senza però giungere a una chiara definizione normativa da adottare a livello internazionale.
Stando al rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali. Secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP), nel 2060 solo nel continente africano ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici. La Banca Mondiale invece specifica che, entro il 2050, potrebbero essere fino a 143 milioni le persone costrette a muoversi all’interno dei propri Paesi, fuggendo dalle aree con minore disponibilità idrica e soggette a siccità crescente o da zone che saranno colpite dall’innalzamento del livello del mare.
Le possibili strade da percorrere
Gli anni Venti del nostro secolo saranno cruciali per definire il futuro in termini di politiche ambientali in grado di contrastare la crisi climatica. La mancanza di riconoscimento della figura dei “migranti climatici” è un vuoto normativo che va colmato, formalizzando il riconoscimento del diritto di asilo per chi fugge a causa del clima che cambia.
Per Kiribati, un cambiamento politico sembra essere arrivato nel 2020, quando il presidente Taneti Mamau ha siglato con la Cina un memorandum per la cooperazione nell’ambito della Nuova Via della Seta. Lo Stato della Micronesia spera infatti nel sostegno cinese per un suo rapido sviluppo in ambito economico e commerciale che garantirebbe di investire in aree strategiche funzionali, come quello delle infrastrutture, in grado di gestire la grande sfida di adattamento al cambiamento climatico.
Fonti e approfondimenti
Chapman, Paul, “Sea levels force Kiribati to ask Fijians for new home”, The Sidney Morning Herald, 09/03/2012.
Clement, Viviane; Rigaud, Kanta Kumari; de Sherbinin, Alex; Jones, Bryan; Adamo, Susana; Schewe, Jacob; Sadiq, Nian; Shabahat, Elham. World Bank. 2021. Groundswell Part 2 : Acting on Internal Climate Migration.
Galvi, Alberto, “Kiribati, il governo Maamau sceglie le relazioni con Pechino e di combattere i cambiamenti climatici”, Notizie Geopolitiche, 20/08/2020.
Giubbotti, Maurizio, Finelli, Tiziana, Peruzzi, Elena. Legambiente Onlus. 2012. Profughi Ambientali – Cambiamento climatico e migrazioni forzate.
Gray, David, “That sinking feeling”, Reuters, 04/12/2015.
International Organization for Migration. 2018. EDUCATION AND MIGRATION.
Pala, Cristopher, “Kiribati and China to develop former climate-refuge land in Fiji”, The Guardian, 24/02/2021.
RNZ Pacific, “Kiribati opens Phoenix marine reserve for commercial fishing”, 16/11/2021.
Storey, Donovan, and Shawn Hunter. 2010. “Kiribati: an environmental ‘perfect storm’”. Australian geographer, 41.2: 167-181.
UNFCC. 2013. Report of the Conference of the Parties on its Eighteenth Session.
Villani, Susanna. 2021. “Reflections on human rights law as suitable instrument of complementary protection applicable to environmental migration”. Diritto, Immigrazione e Cittadinanza.
Editing a cura di Cecilia Coletti
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