Vincenzo Balzani è Professore Emerito di chimica all’Università di Bologna. Inoltre, da anni affianca alla ricerca scientifica un’intensa attività di divulgazione sul rapporto fra scienza e società, con particolare riferimento ai temi dell’energia e delle risorse, e ogni anno tiene decine di seminari nelle scuole per illustrare agli studenti questi temi. Nel 2014 fonda Energia per l’Italia, e riunisce così un gruppo di docenti e ricercatori che scelgono di mettere la loro conoscenza ed esperienza professionale nel campo energetico a servizio della collettività, offrendo ai politici gli strumenti tecnici per prendere decisioni.
Negli ultimi anni si è registrato un maggior interesse per la causa ambientale da parte della cittadinanza. Secondo lei, in che misura questa maggiore attenzione e partecipazione si riflette nei programmi elettorali delle varie forze politiche rispetto agli anni scorsi?
La politica è poco attenta a quanto dice la scienza sui problemi reali del nostro mondo, perché pensa di non aver bisogno di consigli. Non si tratta, però, di sostituire un governo di politici con un governo di scienziati; forse le cose andrebbero anche peggio. Egard Morin ha scritto che oggi “I problemi importanti sono sempre complessi e spesso sono pieni di contraddizioni. Bisogna quindi affrontarli globalmente, con saperi diversi che debbono interagire fra loro”. Partendo da tale premessa, si può capire meglio chi e come debba governare. Chi governa deve anzitutto capire i problemi sui quali deve prendere decisioni; nella maggior parte dei casi, sono problemi che coinvolgono direttamente o indirettamente la scienza, che è un insieme di saperi diversi. Questo, da una parte, dice che non possiamo essere governati da uno scienziato, cioè da un esperto in un singolo “sapere”; dall’altra, che per governare ci vuole un gruppo di persone che coordinino i “saperi” diversi. Persone, cioè, che una volta ascoltati i pareri degli esperti, siano capaci di valutare il problema nella sua globalità con riferimento alla complessità della società. Dovremmo, pertanto, avere un governo politico affiancato da un Comitato scientifico interdisciplinare permanente. Gli scienziati sanno guardare al futuro molto meglio dei politici, che spesso sono condizionati dal desiderio di essere rieletti. Non ho visto in nessun programma una proposta del genere.
Il tema dell’energia è centrale in tutti i programmi elettorali. Secondo lei, come possiamo affrontare questa fase di crisi nel breve periodo e avviare un piano di transizione energetica efficace? Quali sono i tempi, i costi e i maggiori ostacoli da superare per non essere più dipendenti dalle fonti fossili?
In un certo senso mi riallaccio alla risposta precedente. Ad esempio, gli scienziati sanno bene che l’uso dei combustibili fossili crea inquinamento (circa 80 mila morti premature ogni anno in Italia) e causa il cambiamento climatico che provoca e ancor più provocherà danni enormi su scala globale, ma finora i politici, sottoposti alle pressioni delle grandi industrie, non li hanno ascoltati. Come ha scritto papa Francesco nella sua Enciclica Laudato sì’: “I combustibili fossili devono essere sostituiti senza indugio. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide”. Certo che bisogna anche affrontare questa fase di crisi nel breve periodo, ma nel farlo bisogna anche non compromettere, bensì accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili, che sono l’unica soluzione nel lungo periodo. Ad esempio, ricorrere a gassificatori, che fra l’altro entreranno in funzione fra un anno se va bene, significa legarsi ancora per molti anni, e con una nuova catena, ai combustibili fossili. Il governo, un governo autorevole, dovrebbe spiegare bene alla gente che è meglio fare qualche sacrificio in più nel tempo breve che compromettere la transizione energetica. Da da un punto di vista internazionale, bisogna copiare le nazioni che sviluppano le energie rinnovabili (Portogallo, Spagna, Germania), spingendo l’Unione europea a procedere in questa direzione.
Negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito sul nucleare anche in Italia. Questa fonte di energia può essere considerata uno strumento utile al fine di ridurre le emissioni generate dal settore energetico?
Credo che, se si tiene conto di tutto (costruzione e smantellamento degli impianti, estrazione e purificazione dell’uranio, ecc.) non ci sia una sensibile riduzione delle emissioni. Soprattutto, vorrei sottolineare che le scorie nucleari sono quanto di più pericoloso possa esistere, considerato che rimangono tali per molte generazioni. Quelle forze politiche che vogliono il ritorno al nucleare dovrebbero anche dire “dove”: l’Italia, sia per la densità della popolazione che per la sismicità del territorio, non ha luoghi adatti per impianti così pericolosi. Infine, l’esperienza dice che per fare una centrale nucleare occorrono come minimo 10-15 anni: non possiamo aspettare tanto per sostituire i combustibili fossili.
In Italia, agricoltura e allevamento sono responsabili del 7% delle emissioni di gas serra italiane. Quali azioni si possono intraprendere per riformare queste attività e renderle più sostenibili? In questo processo, quale può essere il ruolo della Politica agricola comune dell’Ue, al quale viene destinato quasi il 40% del budget comune?
Smettere di incentivare colture dedicate (ad esempio, mais) per la produzione di energia. Smettere di incentivare la produzione di carne e spiegare bene alla gente che mangiare meno carne fa anche bene alla salute.
Qual è l’impatto dei nostri insediamenti urbani da un punto di vista ambientale ed economico-sociale? Quali interventi si possono mettere in campo per rendere le nostre città più sostenibili?
Nelle piccole città c’è un maggior contatto fra amministrazione e cittadinanza. Il sindaco dovrebbe promuovere la produzione e l’uso delle energie rinnovabili, ad esempio mediante l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle scuole e gli altri edifici pubblici; dovrebbe anche promuovere o almeno favorire la nascita di comunità solari, cosa che già accade in alcune cittadine in Emilia-Romagna.
Le conseguenze della pandemia da Covid-19 e l’attuale crisi energetica stanno ampliando il divario fra le classi sociali e fra il Nord e il Sud del Paese. In questo contesto, quali potrebbero essere gli effetti del cambiamento climatico? Quali misure sono necessarie a promuovere uno sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile del Paese?
Se non si ricorre a decisioni politiche appropriate, certamente aumenteranno le disuguaglianze perché le misure di adattamento, ad esempio delle abitazioni, richiedono investimenti. Le regioni e i comuni dovrebbero affiancarsi all’azione dello Stato con programmi di aiuto ben mirati che, oltre a risolvere situazioni familiari difficili, possano portare al recupero di luoghi degradati del loro territorio.