Il paradosso peruviano: la sua ricchezza mineraria

“Vale un Perù” è un’espressione nata nei tempi coloniali per indicare una ricchezza immensa: quella che dall’allora territorio del Viceregno del Perù arrivava in Europa, sotto forma di cospicue quantità di metalli preziosi. L’estrazione mineraria è stata un’attività centrale nello sviluppo coloniale del territorio andino, e oggi lo è di nuovo, rappresentando oltre il 60% delle esportazioni e quasi il 10% del PIL nazionale. 

Tuttavia, la ricchezza naturale che da secoli viene estratta in Perù non è andata di pari passo con un arricchimento uniforme del Paese, ma solo di determinate categorie – per lo più residenti urbani a migliaia di km dalle zone estrattive, soprattutto a Lima – e di compagnie straniere. Oggi, le principali miniere peruviane sono di fatto di proprietà cinese, statunitense, svizzera e inglese. Inoltre, le modalità con cui avviene l’estrazione e la mancanza di regolamentazioni rigide per le imprese hanno conseguenze nefaste per le condizioni di vita delle persone che vivono nelle zone minerarie, in maggioranza indigene.

L’evoluzione del settore

Oggi il Perù è il 2° produttore al mondo di rame e di zinco, il 3° di argento e il 10° di oro, e si colloca nei ranking mondiali per molti altri minerali. Si tratta di risultati ottenuti soprattutto negli ultimi 30 anni, al culmine di un processo storico che ha instaurato un nuovo modello economico e favorito forti investimenti privati nel settore.

Durante il XIX secolo, l’economia della neo-repubblica peruviana era sorretta dalla produzione di guano e di salnitro. Alla fine del secolo, dopo la sconfitta nella Guerra del Pacifico, il settore minerario acquisì un ruolo centrale nella ricostruzione del Paese. Tuttavia, allora come oggi, la sua fortuna seguiva l’andamento dei prezzi internazionali dei minerali e durante il XX secolo vi furono vari crolli del mercato. 

Seppure la fine della Seconda Guerra Mondiale e le leggi nazionali degli anni Cinquanta diedero uno slancio al settore, si dovette aspettare gli anni Novanta per osservare il vero e moderno boom minerario peruviano. Sotto la presidenza Fujimori, l’instaurazione del modello neo-liberale e il suo laissez faire hanno supportato l’espansione del settore fino a farlo diventare il pilastro dell’economia peruviana. Processi analoghi sono avvenuti in altri Stati della regione, seguendo la corrente economica del Consenso di Washington, ovvero l’insieme di politiche di stampo neoliberale del post-guerra fredda frutto delle raccomandazioni di diverse istituzioni finanziarie internazionali, tra cui il Fondo Monetario Internazionale con sede nella capitale statunitense.

I conflitti sociali

La soluzione proposta dal governo fujimorista per combattere la povertà e rinvigorire l’economia ha avuto due conseguenze opposte. Da un lato ha portato a un aumento delle concessioni date dallo Stato alle imprese estrattive e della produzione di minerali, che hanno generato una notevole crescita economica. Questa ha contribuito a raggiungere negli ultimi anni un risultato incredibile: il Perù ha dimezzato il tasso di povertà in meno di un decennio. Dall’altro lato, questa crescita si è concentrata e non ha cancellato le disuguaglianze. Nelle zone andine del Paese, ricche di montagne polimetalliche, e in quelle amazzoniche ricche di risorse aurifere, si sono consumate sempre più violazioni dei diritti umani e ambientali, nonché conflitti sociali. Solo quest’anno, dei 47 progetti minerari che il governo peruviano ha presentato nel piano di investimenti minerari, 22 hanno causato e continuano a causare conflitti sociali.

Nel quadro di questi conflitti e di altri generati da altri settori economici – come gli idrocarburi -, molte persone che protestano perdono la vita. Tra il 2021 e il 2022, 15 difensori ambientali sono stati assassinati in Perù, portando il Paese sempre più in alto nella classifica di territori con più omicidi contro difensori ambientali al mondo. Tra i motivi principali delle proteste vi sono l’inosservanza da parte delle imprese e delle autorità degli impegni assunti nei confronti delle popolazioni, e l’uso di territori senza autorizzazione e senza consultazione previa, come sancito dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ratificata nel 1994 anche dal Perù.

Le zone dei grandi progetti minerari registrano livelli di povertà maggiori e un minore accesso ai servizi di base rispetto al resto del Paese. Diversamente da quanto promesso dalle diverse imprese multinazionali che operano in quei territori, i cospicui investimenti legati allo sfruttamento dei giacimenti non hanno generato un miglioramento nelle condizioni di vita locali. Anzi, le attività inquinano e le imprese generalmente non si fanno carico dei costi umani e ambientali di cui sono responsabili. In parallelo, l’apparato legislativo e quello di sicurezza nazionali non hanno o non mettono in atto gli strumenti per sanzionare le violazioni. In un tale contesto, il costo più alto lo paga chi ci guadagna di meno, o niente: le popolazioni limitrofe o corrispondenti alle aree in concessione mineraria. 

Le proteste contro le attività minerarie sono attive da decenni e alcune sono riuscite a bloccare la nascita di nuovi progetti. Tuttavia, la maggior parte dei media nazionali – nonché internazionali – le discredita o le nasconde.

Gli impatti ambientali e sulla salute

Le sostanze utilizzate per estrarre i minerali e i metalli contaminano le acque, i terreni e l’aria. Ciò ha effetti devastanti sulla vegetazione, le coltivazioni, il bestiame e la salute delle popolazioni locali. Molti studi hanno rilevato la presenza di metalli pesanti nel sangue di chi vive a prossimità delle miniere e questo dato allarmante è aggravato dalla carenza di strutture ospedaliere e dagli alti costi dei trattamenti, che rendono impraticabile il diritto alla salute di molti peruviani. In zone in cui molte famiglie vivono di sussistenza, i frutti della loro terra non sono più in grado di sostenerli. In meno di 40 anni, il Paese ha perso oltre 4 milioni di ettari di vegetazione, per dare spazio alle infrastrutture, alle attività agropecuarie ed estrattive. In Amazzonia, nello stesso lasso di tempo, queste ultime sono aumentate del 8800%. Inoltre, la fornitura pubblica di acqua è spesso limitata in quanto la risorsa viene usata in forma prioritaria dalle miniere.

Casi emblematici

A sud della regione di Cusco – conosciuta per l’omonima città, culla della civiltà Inca e per il Machu Picchu, una delle 7 meraviglie del mondo moderno – nella provincia di Espinar opera dal 1985 la miniera di rame Antapaccay, proprietà della compagnia anglo-svizzera Glencore Xstrata. Nel 2012 la popolazione locale ha protestato massivamente per chiedere risposte e azioni di fronte agli effetti disastrosi dell’estrazione sulle condizioni di vita e di salute locali. Da allora, la provincia è diventata un esempio a livello nazionale: nella difesa dei propri diritti umani e ambientali, ottenendo l’instaurazione di tavoli di dialogo con i diversi attori in gioco, ma anche degli effetti nefasti a lungo termine dell’attività mineraria.

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Vi sono anche zone in cui le miniere esistono dal XVI secolo. È il caso della città di Cerro de Pasco, nella regione di Pasco, oggi considerata la capitale mineraria del Paese. Con i suoi 4430 metri di altitudine, è una delle città più alte al mondo. Tuttavia, detiene anche un altro record: il tasso più alto di esposizione a metalli pesanti di tutto il Perù, con un incidenza maggiore nei bambini.

Nella provincia di Cotabambas, nella regione di Apurimac, le miniere sono arrivate da meno di dieci anni. Nel 2014 ha iniziato a operare la miniera Las Bambas, di proprietà del gruppo cinese MMG. Dal suo tajo (cava all’aperto) viene estratto il 2% del rame mondiale e per poterlo raggiungere, i proprietari precedenti hanno spostato una comunità intera, Fuerabamba, che da allora è in conflitto con l’impresa per il non rispetto dei patti accordati. Ad Apurimac, la popolazione rurale rappresenta il 61,6% contro un 24,4% a livello nazionale, gli indicatori di povertà, nutrizione ed educazione sono tra i più bassi del Paese e la proprietà è perlopiù comunale. L’ingresso massivo delle attività minerarie avrà e sta già avendo delle ripercussioni fortissime sugli equilibri economici, sociali e culturali preesistenti.

Le miniere artigianali o informali

Oltre alle grandi imprese, in Perù sono cresciuti anche i fenomeni delle miniere artigianali e informali, soprattutto per l’estrazione dell’oro. Sono stati spinti dall’innalzamento del prezzo internazionale del minerale, dalle scarse opportunità di impiego e dalla debolezza statale nel controllo dei suoi territori. La peculiarità di queste forme di estrazione mineraria, oltre a quella di essere molto meno controllate e quindi più pericolose sia per i lavoratori che per l’ambiente, sta nel creare conflitti anche all’interno delle comunità stesse, tra chi la pratica e chi la patisce. 

Le trasformazioni sociali

L’instaurazione di un’attività mineraria trasforma il territorio dove si sviluppa. I minatori e gli amministratori delle miniere sono per la stramaggioranza uomini e provengono da altre regioni del Paese. Il loro arrivo genera attività commerciali e fenomeni prima assenti o limitati: la ristorazione, gli alberghi, ma anche i bordelli e la vendita e consumo di alcool. Dove fino a pochi anni fa vi erano villaggi con case in fango e paglia, oggi vi sono vere e proprie città di cemento, con le strade di terra e una miriade di alberghi in edifici non terminati. Questo è il caso di Challhuahuaco, in prossimità dall’operazione mineraria di Las Bambas, dove nel giro di pochi anni il paesaggio si è completamente trasformato e il costo della vita è drasticamente aumentato. Queste forti trasformazioni schiacciano le tradizioni culturali secolari di quei luoghi e instaurano nuove dinamiche, che dureranno finché non si esauriranno le risorse delle montagne.

In Perù, il modello estrattivista di stampo neoliberale si basa sull’incentivo alle attività esportatrici di materie prime, soprattutto minerarie, detenute da capitali privati – sia nazionali che stranieri. L’insistenza sul settore delle esportazioni ha concentrato gli investimenti sulle infrastrutture di supporto, tralasciando le necessità del mercato interno. In alcune zone minerarie vengono costruite grandi centrali idroelettriche a beneficio delle miniere e non delle popolazioni limitrofe, che spesso soffrono di crisi idriche. 

Con il nuovo millennio, si sono moltiplicati lungo il Centro e Sud America i conflitti sociali di natura eco territoriale. Chi si batte per i propri diritti umani e ambientali, soprattutto se indigeno, è quasi sempre stigmatizzato, criminalizzato e certe volte anche ucciso. L’estrazione mineraria moderna alimenta le ineguaglianze del continente e la sua contestazione è ormai presente su scala globale. Il dibattito è aperto e sta guadagnando spazio anche nel travagliato contesto politico peruviano.

A Espinar, l’impresa mineraria deteneva un controllo e un potere sociale totale. I mezzi di comunicazione trasmettevano l’idea che “il progresso” sarebbe arrivato e che sarebbe tutto stato merito della miniera. La popolazione, i miei vicini, non credevano nella contaminazione, anche se tra le nostre famiglie si stava diffondendo una malattia misteriosa, che altro non era che il cancro. 

Le cose sono cambiate drasticamente quando è stato svolto un esame chimico delle acque che usiamo e consumiamo tutti i giorni. Oggi porto in giro per il mio Paese, e anche all’estero, l’esempio della lotta di Espinar. Noi non possiamo aspettare, si tratta della nostra terra, delle nostre vite. Quindi, proviamo a esercitare una doppia pressione: internamente tramite la diffusione di informazioni e le proteste, ed esternamente presso enti internazionali e altri governi, come quelli da cui provengono le imprese che operano in Perù. 

Abbiamo bisogno di legislazioni vincolanti, fuori e dentro dal Paese, per poter finalmente avere condizioni di vita migliori, degne. Lo Stato e le imprese minerarie hanno un debito storico nei nostri confronti.

Vidal Merma, attivista, giornalista e difensore dei diritti umani e ambientali di Espinar, intervistato da Lo Spiegone durante lo Speaker Tour in Italia organizzato dal progetto Our Food Our Future di WeWorld, per sensibilizzare sulle tematiche legate alle violazioni dei diritti umani lungo le diverse filiere produttive.

 

Fonti e approfondimenti

Cinque, “Peru, a toxic state

Garro, Yacila, “Una piedra preciosa en la ciudad de los niños con plomo”, Ojo Público, 17/10/21

Fürst, “Dall’Argentina al Guatemala; la resistenza contro l’estrazione mineraria”, Lo Spiegone, 12/01/22


Mendoza, Passuni, De Echave, “La Minería en el Sur Andino. El caso de Apurímac”, CooperAcción, 2014

Mendoza, Passuni, De Echave, “La Minería en el Sur Andino. El caso de Cusco”, CooperAcción, 2014

 

Editing a cura di Elena Noventa

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