Alla fine di maggio, il Primo ministro giapponese Kishida Fumio si è visto costretto a licenziare il proprio segretario politico. La ragione dietro al licenziamento è stata la diffusione di foto scattate nella residenza ufficiale del Premier durante una festa privata organizzata dal segretario con amici e amiche. Il segretario politico si è fatto fotografare sullo scalone in cui viene tradizionalmente presentato il nuovo governo, in posizione centrale, che spetta solitamente al Primo ministro.
Il segretario politico di Kishida non era però un funzionario civile qualsiasi, ma il figlio del Primo ministro: Kishida Shotarō, 32 anni, nominato segretario del padre nel novembre 2022.
Una democrazia monopartitica
Il licenziamento del figlio non è stato il primo scandalo politico per Kishida: l’emergere dei forti legami del Partito liberal-democratico con la Chiesa dell’Unificazione, a seguito della morte dell’ex Primo ministro Abe Shinzō, lo avevano già costretto a un rimpasto di governo nell’estate del 2022.
Nonostante questo episodio abbia fatto scendere il suo tasso di gradimento, relativamente alto grazie allo scampato attentato e al successo del G7 di Hiroshima, è probabile che non ci saranno ulteriori conseguenze politiche. Il caso rimane tuttavia interessante perché riporta l’attenzione sulla questione del nepotismo nella politica giapponese, e del rapporto tra dinastie politiche e democrazia nel Paese.
Il Giappone non è esattamente una democrazia “da manuale”. Dal 1955, il Partito di opposizione meglio organizzato, il Partito democratico giapponese, è riuscito a rimanere al potere soltanto tra il 1992 e il 1993 e il 2009 e il 2011, tra l’altro dovendo gestire il triplice disastro di Fukushima. Per i restanti circa settant’anni, il Paese è stato guidato dal Partito liberal-democratico.
Nonostante si tengano libere elezioni e il processo di transizione democratica venga rispettato, la permanenza al governo del Partito liberal-democratico è una delle ragioni per cui il Giappone viene spesso definito una democrazia “monopartitica”.
Nepotismo giapponese
In un sistema dove politica, burocrazia e grandi conglomerati industriali sono strettamente interconnessi, non è sorprendente che il nepotismo la faccia da padrone. Solitamente, per nepotismo si intende favorire i propri parenti, più o meno diretti, offrendo loro un lavoro o avvantaggiandoli nella selezione del personale. Nel caso del Giappone, nepotismo significa che la politica è, di fatto, un lavoro ereditario.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, soltanto quattro dei trentadue Primi ministri giapponesi non hanno avuto almeno una precedente figura politica in famiglia. Dal 1993, sette dei nove leader che si sono succeduti – Hashimoto Ryūtaro, Obuchi Keizo, Koizumi Junichiro, Abe Shinzō, Fukuda Yasuo, Aso Tarō e Kishida Fumio – sono appartenenti a una dinastia politica. Le uniche due eccezioni sono state Mori Yoshirō e Suga Yoshihide.
Non si tratta soltanto di un fenomeno all’apice della scala del potere politico: oltre il 25% dei parlamentari giapponesi appartiene a una dinastia politica. Questo dato è incredibilmente alto rispetto ad altre democrazie comparabili al Giappone, come Stati Uniti, Regno Unito, Corea del Sud o Australia, dove la percentuale di cosiddetti “nepo-babies” (letteralmente, figli del nepotismo) si ferma al 5-8%. Alcune di queste dinastie non sono vecchie di una sola generazione, ma risalgono a periodi pre-bellici o addirittura all’800.
Rispetto a Paesi con un percorso di democratizzazione simile, il Giappone ha visto un trend inverso nelle permanenza delle dinastie nel mondo della politica: dagli anni Cinquanta la percentuale è aumentata, invece di diminuire, raggiungendo un picco del 33% del totale dei parlamentari nel 1993.
Un sistema rodato
Nell’ottobre del 2022, la nomina di Kishida Shotarō a segretario politico del padre aveva generato un certo scandalo a livello politico e mediatico. Il Primo ministro, fornendo spiegazioni ai membri della Dieta – l’equivalente del Parlamento italiano – aveva dichiarato che la nomina del figlio non aveva niente a che fare con il nepotismo: Shotarō era semplicemente la persona giusta per il lavoro giusto.
Nonostante abbia generato discussioni, questa nomina non è stata veramente sorprendente: il sistema che vede la progenie ereditare il ruolo politico dei genitori è ormai consolidato. Il primogenito o la primogenita viene mandato a studiare in una delle migliori università del Giappone, solitamente Keio, Waseda o Tokyo. Al conseguimento della laurea, comincia a lavorare nel mondo dell’industria, del giornalismo, o dell’informazione. A seguito di questa “gavetta”, si licenzia per ricevere la nomina di segretario politico o segretario parlamentare di uno dei propri genitori. Alle dimissioni, o in alcuni casi alla morte del genitore, il figlio/la figlia si candida per il seggio appartenuto al genitore, solitamente riuscendo a mantenerlo.
Di padre in figlio
La dinastia di Abe Shinzō rappresenta sicuramente uno degli esempi più emblematici del funzionamento di questo sistema. Il nonno, Kishi Nobusuke, era stato Primo ministro – nonché criminale di guerra di classe A. Il padre, Abe Shintarō, fu ministro degli Esteri; il prozio, Satō Eisaku, fu Primo ministro e il nonno paterno, Abe Kan, fu membro del governo prima del 1947.
La traiettoria professionale di Abe si è attenuta perfettamente al sistema sopra descritto: appena laureato iniziò a lavorare per Kobe Steel, sia in Giappone che negli Stati Uniti, per poi diventare segretario personale del padre nel 1982, a 28 anni. Nel 1993, due anni dopo la morte di Abe Shintarō, venne eletto nel distretto numero 4 di Yamaguchi, che ha mantenuto fino al suo assassinio avvenuto nel luglio del 2022.
La famiglia allargata di Abe offre un ottimo esempio di come essere un “nepo-baby” non sia un motivo di vergogna, ma venga utilizzato per scopi politici. Il fratello di Abe, Kishi Nobuō, si è da poco dimesso come ministro della Difesa. All’inizio del 2023, suo figlio, Kishi Nobuchiyo, si è candidato nello stesso seggio del padre a Iwakuni, nella prefettura di Yamaguchi.
Sul sito della propria campagna elettorale, Nobuchiyo ha inserito un brevissimo CV, corredato da un albero genealogico che mostrava esclusivamente il proprio legame di parentela con sette uomini della famiglia, indicando il relativo incarico di governo. Lo slogan della campagna elettorale chiedeva candidamente di supportare il “Team Kishi”.
Nonostante, a elezione avvenuta, l’albero genealogico sia stato rimosso proprio per accuse di nepotismo, è verosimile pensare che l’unico motivo per cui Kishi Nobuchiyo oggi rappresenti il distretto 2 di Yamaguchi sia l’entourage di politici che lo ha preceduto.
Democrazia e dinastie
Capire e spiegare in poche parole perché in Giappone le dinastie politiche siano così prevalenti, a differenza di altri Paesi, non è sicuramente semplice. In generale, la prevalenza di dinastie politiche nei sistemi democratici è un fenomeno multi-causale.
Il sistema porta benefici a chi si candida, al Partito, e ai costituenti. Candidati e candidate all’apice di una dinastia politica riescono a mantenere un seggio per la progenie, dando loro un lavoro. I successori, che hanno già un nome noto, godono di un vantaggio “ereditario”, che ha un effetto sia sul partito che sull’elettorato. Per il partito, quello mantenuto da una dinastia politica diventa un seggio sicuro. Il senso di continuità politicas può portare vantaggi e benefici alla circoscrizione elettorale, legati anche al peso della famiglia all’interno del partito (i cosiddetti “pork barrel benefits”).
In Giappone, uno degli argomenti che giustifica la permanenza del nepotismo in politica è che questo sistema permette alle donne di partecipare attivamente alla vita politica, dando accesso a un mondo che sarebbe a loro precluso. Se è vero che alcune figure femminili nella politica giapponese sono entrare dalla porta familiare, questo non rappresenta una vera giustificazione. La presenza di un numero così elevato di candidati “dinastici”, che godono di vantaggi legati al proprio nome, rafforza la chiusura del sistema e la disparità di genere all’interno della sfera politica.
Privilegi e disuguaglianze
Appartenere a una dinastia politica non è soltanto l’ennesima storia di privilegio.
Non significa soltanto ereditare il lavoro dei genitori, come accade in tante altre professioni anche nel nostro Paese, come avvocatura, magistratura o imprenditoria. Entrare in politica soltanto perché “figli/e di” rischia di diminuire la qualità della rappresentatività e anche della rappresentanza delle istanze e dei problemi della propria circoscrizione. La politica ereditaria può anche portare all’elezione di figure meno esperte. Per tornare al Giappone, ad eccezione di Abe Shinzō e Koizumi Junichirō, tutti i recenti Primi ministri ereditari hanno avuto un mandato di meno di un anno.
Un maggior numero di politici eletti soltanto per il proprio nome può portare a un ulteriore senso di distaccamento dalla realtà e dai bisogni delle fasce meno abbienti della popolazione.
La permanenza di dinastie politiche nei sistemi democratici rischia di aumentare, invece che diminuire, le disuguaglianze, minando i concetti di opportunità ed equità su cui la democrazia si dovrebbe reggere.
Fonti e approfondimenti
Bosack, Michael MacArthur, “Nepotism and Japan’s political dynasties”, The Japan Times, 12 ottobre 2022
Catalinac, Amy, “Electoral Reform and National Security in Japan. From Pork to Foreign Policy”. Cambridge University Press. 2016.
De Guzman, Chad, “Scandal Over Son’s House Party Lands Japan’s Prime Minister Kishida in Hot Water”. Time. 30 maggio 2023.
Smith, Daniel M. “Dynasties and Democracies”. Stanford University Press. 2018.
Editing a cura di Elena Noventa