Nel precedente articolo ci siamo concentrati sulla gestione del “triplo disastro” che nel 2011 sconvolse il Giappone, comparando la risposta al disastro naturale (terremoto e tsunami) a quella dell’incidente nucleare nella centrale di Fukushima Daiichi. Stavolta invece ci soffermeremo sull’impatto del “triplo disastro” sulla società civile giapponese. Analizzeremo se e in quale misura questo evento abbia ridefinito i rapporti tra i cittadini giapponesi e lo Stato.
“Triangolo di ferro” e società civile
Per comprendere il rapporto tra società civile e Stato giapponese è necessario introdurre il concetto di “triangolo di ferro”. Si tratta di una struttura che ha dominato il mondo politico del Sol Levante dal 1955 fino agli anni Novanta. Questo cosiddetto “triangolo” si reggeva su tre “gambe” strettamente interconnesse:
1) il Partito Liberal Democratico (PLD).
2) l’apparato burocratico (i ministeri).
3) lo zaikai, ovvero i grandi conglomerati industriali (come il gruppo Mitsui).
Le tre componenti del triangolo formavano un contesto decisionale impenetrabile, sostenuto da relazioni clientelari – formali e informali – enormi donazioni e favori politici.
Tale sistema rendeva la società civile giapponese subordinata allo Stato e relativamente debole, poiché la privava dell’opportunità politica per emergere come portatrice di istanze dei cittadini. Questo non significa che i giapponesi fossero totalmente passivi alle decisioni del governo. Ad esempio, nel 1960, centinaia di migliaia di cittadini manifestarono contro l’approvazione del Trattato di mutua sicurezza e cooperazione con gli Stati Uniti. Nel 1995, enormi proteste seguirono allo stupro di due adolescenti di Okinawa da parte di tre membri della Marina militare statunitense.
Tuttavia, questa grande partecipazione popolare non andava di pari passo con l’idea che la società civile fosse un attore politico in grado di fare proposte per determinare un cambiamento. Si trattava di un movimento “contro” le decisioni del governo, che mancava di organizzazione orizzontale e potere politico per far seguire cambiamenti effettivi alla contestazione. Infatti, le proteste sopra elencate non portarono a risultati concreti.
Prima di Fukushima: subordinazione al “villaggio nucleare”
Prima dell’incidente di Fukushima, la subordinazione della società civile caratterizzava anche le relazioni tra il mondo dell’energia nucleare e il movimento antinucleare.
In parallelo con il “triangolo di ferro” si parla di “villaggio nucleare”, termine che indica una rete di relazioni basate su segretezza e interessi personali. Le sue componenti erano: i colossi dell’energia nucleare (come TEPCO, compagnia che gestiva la centrale di Fukushima), l’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale (NISA), la Commissione per la sicurezza del nucleare (NSC) e il Ministero dell’economia, del commercio e dell’industria (METI). Poiché i grandi gruppi energetici industriali erano tra i maggiori finanziatori del PLD, il partito aveva conseguentemente adottato una posizione favorevole allo sviluppo del nucleare. Inoltre, i due organi regolatori – NISA e NSC – erano alle dipendenze del METI, così da garantire il controllo politico.
È evidente che una tale struttura di potere privava la società civile dello spazio politico per esprimersi in merito. Così i cittadini giapponesi non riuscivano a trovare una modalità di protesta efficace contro l’utilizzo dell’energia nucleare. Questo nonostante la cosiddetta kaku arerugi (allergia al nucleare) – causata dallo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki nel 1945 – e la preoccupazione diffusa per gli effetti del nucleare sulla salute, sull’ambiente e sul cibo.
I primi movimenti
Infatti, fino ai primi anni Settanta, l’opposizione della popolazione si è limitata a una serie di manifestazioni estremamente locali contro la costruzione delle centrali – il tipo di proteste definite “non-nel-mio-giardino”. Erano proteste che interessavano comunità costiere, prevalentemente rurali e con una popolazione in progressivo invecchiamento. Nel 1973, venne fondato il Centro per l’informazione dei cittadini sul nucleare (CNIC), con l’idea di connettere i cittadini con una newsletter bimestrale attraverso cui scambiare opinioni e strategie per ritardare o impedire la costruzione delle centrali.
In questo modo tuttavia, oltre a mancare di peso politico, l’azione del CNIC produceva dei moti di protesta pressoché individuali, rivolgendosi solo ai cittadini delle comunità colpite dalla costruzione di siti nucleari e faticando invece a coinvolgere la popolazione nel suo complesso. Non a caso, nel 1986, quando a seguito dell’incidente di Chernobyl gli organizzatori del CNIC dichiararono l’inizio “dell’onda del movimento antinucleare”, le proteste coinvolsero appena ventimila persone.
Dopo Fukushima: Sayonara, energia nucleare!
L’incidente di Fukushima e la rabbia dei cittadini nei confronti del “villaggio nucleare” – che per anni aveva promosso il mito dell’assoluta sicurezza dell’energia nucleare – hanno cambiato non soltanto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti dell’energia nucleare, ma anche della società civile nei confronti dello Stato.
Per la prima volta, il moto di indignazione è stato incanalato attraverso proteste orizzontali organizzate. Sei mesi dopo l’incidente di Fukushima, oltre sessantamila persone manifestarono nel Parco Meiji di Tokyo, mobilitate dal gruppo “10 milioni di persone per dire addio alle centrali nucleari”. A settembre, i manifestanti installarono dei tendoni di fronte al METI, occupando simbolicamente la piazza, che venne ribattezzata “No Nuke Plaza”. Fino al 2016, anno in cui la Corte Suprema ha accordato la richiesta di rimozione dei tendoni presentata dal Gabinetto dell’ex primo ministro Abe, la “No Nuke Plaza” ha ospitato dibattiti, conferenze e campagne di informazione per mantenere alta l’attenzione sull’energia nucleare, diventando il simbolo più duraturo della protesta.
Le proteste del Kantei
Nel 2012, a seguito della riaccensione di due reattori nella prefettura di Fukui, si tenne la “dimostrazione del Kantei”, organizzata di fronte all’ufficio del primo ministro (kantei). Lanciata a fine marzo dalla “Coalizione metropolitana contro il nucleare” – un gruppo di attivisti – a fine giugno la protesta aveva raggiunto oltre duecentomila partecipanti. A luglio, ben trecentomila persone scesero in piazza accerchiando la Dieta giapponese e diverse decine di migliaia continuarono a protestare ogni settimana. Poiché il movimento non poteva essere più ignorato, il 22 agosto 2012 l’allora primo ministro Noda incontrò gli organizzatori della protesta. Tale incontro segnò un passaggio fondamentale, rappresentando la prima riunione formale tra un rappresentante della società civile giapponese e un primo ministro. Inoltre, questo evento dimostrò che il movimento antinucleare era riuscito a emergere come un interlocutore politico.
Che tipo di cambiamento?
La prima dimensione su cui misurare l’impatto del movimento antinucleare è il cambiamento apportato alle politiche governative sull’energia nucleare.
Alle elezioni del 2012, l’opposizione popolare ha evitato che il PLD si esponesse per la ripartenza immediata dei reattori, fermi dall’incidente di Fukushima. Tuttavia, il PLD vinse le elezioni, segno che l’onda del movimento antinucleare non era riuscita a trovare effettiva espressione alle urne. D’altro canto, ad oggi, il “villaggio nucleare” come esisteva prima di Fukushima non esiste più. TEPCO è stata nazionalizzata e le direttive per il controllo delle centrali nucleari sono diventati più stringenti, con organi regolatori meno sottomessi alla lobby del nucleare. Infine, se prima dell’incidente il 30% dell’elettricità giapponese proveniva dal nucleare, nel “Quinto piano strategico dell’energia” elaborato dal METI (2020) si parla di “ridurre il più possibile la dipendenza del Giappone dal nucleare” per garantire la sicurezza energetica. L’abbandono del nucleare, come richiesto dai protestanti e inizialmente suggerito dall’ex primo ministro Abe, non sembra però un’alternativa realizzabile.
Il cambiamento della società civile
L’importanza delle proteste seguite all’incidente di Fukushima non risiede tanto in queste vittorie relativamente modeste. Il loro significato è quello di aver dato nuova linfa alla società civile giapponese e alla democrazia dal basso, aprendo uno spazio di partecipazione a tutti i cittadini.
Per la prima volta, la protesta dei cittadini giapponesi ha avuto un respiro internazionale, grazie alle analogie della “No Nuke Plaza” con il movimento Occupy Wall Street e quello degli Indignados. Inoltre, il movimento antinucleare ha dato vita a una rinnovata stagione di manifestazioni. Per esempio, nel 2014 i giapponesi sono scesi in piazza contro la legge che ha consentito il passaggio a un “sistema di autodifesa collettivo”, che ha de facto sconfessato il presupposto pacifista della Costituzione giapponese. Nonostante la legge sia entrata in vigore, l’opinione pubblica ha giocato un ruolo fondamentale nel frenare la spinta revisionista dell’ex primo ministro Abe. Più di recente, nel 2020, i cittadini giapponesi si sono uniti alle proteste del movimento Black Lives Matter, denunciando così il razzismo e la discriminazione in Giappone.
Possiamo dire dunque che l’importanza del movimento antinucleare sia stata quella di riprendersi lo spazio politico della piazza. La reazione a Fukushima ha mobilitato l’opinione pubblica a rivolgersi alle istituzioni e ai decisori politici, accorciando così la distanza da uno Stato e un potere da sempre percepiti come irraggiungibili.
Fonti e approfondimenti
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Hasegawa, Koichi, “Rethinking civil society in Japan Before and after the Fukushima nuclear disaster”, Polity, Vol. 45, No. 2, 2013
Hasegawa, Koichi, “The Fukushima nuclear accident and Japan’s civil society: Context, reactions, and policy impacts”, International Sociology, 2014, Vol. 29(4), 283-301
Murphy, Sherry Martin, “Grassroots Democrats and the Japanese State After Fukushima”, Japan Political Science Review, 2014, Vol. 2, 19-37
Takenaka, Kiyoshi, “Huge protest in Tokyo rails against PM Abe’s security bills”, Reuters, 30 agosto 2015
Takahashi Ryusei, “Protesters hit Tokyo and Osaka streets with rallies against racism and police brutality, The Japan Times, 7 giugno 2020
Andrews, William, “Anti-nuclear Power Protest Tents in Tokyo Removed“, Nuclear news, 9 settembre 2016
World Bank. 2014. Energy imports, net (% of energy use) – Japan
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