Jeanine Áñez si appresta ad abbandonare la carica di presidente ad interim della Bolivia, quasi un anno dopo il suo inaspettato insediamento. La leader del Movimiento Demócrata Social, che si presentava come referente dell’opposizione a Evo Morales e al suo MAS (Movimiento al Socialismo), aveva promesso allora di indire nuove elezioni il prima possibile. Dopo tre rinvii, è stata scelta come data il 18 ottobre 2020, ma lei non si candiderà. Ha ritirato la sua lista, Juntos Avancemos, proprio per favorire un’unità anti-MAS e segnare una svolta del Paese andino verso destra. Nonostante la corsa alla presidenza non riguardi Áñez da vicino, la sua gestione dell’emergenza sanitaria, i casi di corruzione e la persecuzione nei confronti degli avversari MASisti hanno avuto conseguenze sulla campagna elettorale.
L’arrivo al potere
Áñez (53 anni), avvocatessa ed ex presentatrice televisiva, è membro del Movimiento Demócrata Social, che governa la ricca regione boliviana di Santa Cruz. La sua parabola politica iniziò nel 2006, quando venne eletta all’Assemblea Nazionale Costituente con la coalizione PODEMOS, che appoggiava l’ex presidente Tuto Quiroga (2001-2002). Tra il 2010 e il 2019 ha ricoperto il ruolo di senatrice con alleanze più conservatrici ed è cresciuta come oppositrice di Morales. In passato criticò il progetto del MAS perché, secondo quanto affermato, non voleva che la Bolivia si trasformasse nel Kollasuyu (la parte meridionale dell’Impero Inca) e avesse come simbolo la whipala (la bandiera indigena).
La nomina a presidente ad interim giunse quasi per caso. Il Paese stava attraversando l’ondata di proteste successive alle elezioni dell’ottobre dello scorso anno. Evo Morales, accusato di brogli, rinunciò all’incarico sotto la pressione delle Forze Armate, seguito poi dai presidenti di Camera e Senato. In quel momento, Áñez occupava la carica di vicepresidente del Senato e si ritrovò a essere la successiva della lista. Sotto gli occhi del capo dell’Esercito, Williams Kaliman, e di Luis Fernando Camacho, il leader civico che ha organizzato la ribellione, la nuova presidente giurò senza quorum, in un parlamento semideserto.
La gestione delle proteste
Le prime polemiche sulla sua amministrazione cominciarono proprio dalla gestione delle proteste. Gli scontri lasciarono sulle strade circa 30 morti e decine di feriti causati soprattutto dalla repressione dei militari, che il nuovo governo aveva esentato da ogni responsabilità penale con un decreto. Per rispondere alle accuse, Áñez propose alle famiglie delle vittime un indennizzo di 7.000 dollari con un altro decreto, formula diventata fin da subito il suo principale strumento legislativo data la maggioranza MASista in parlamento.
Il MAS passò subito all’attacco proponendo una “legge di garanzia” che avrebbe dovuto obbligare il governo a elargire i risarcimenti anche ai feriti e a offrire salvacondotti di uscita agli ex ministri dell’amministrazione precedente. Molti di loro, incluso Morales, già si trovavano in esilio in Messico. Era l’inizio di una fase di polarizzazione e acceso confronto tra MAS e anti-MASisti.
La persecuzione contro il MAS
Nel tentativo di annientare la resistenza del MAS e di indebolirlo in vista delle prossime elezioni, Áñez ha cercato in ogni modo di osteggiare i suoi membri. Subito dopo l’insediamento, la ministra per gli Affari Esteri Karen Longaric rimosse quasi l’80% degli ambasciatori MASisti e ritirò la Bolivia dall’Alianza Bolivariana de los Pueblos de Nuestra América (ALBA) per allontanarsi ideologicamente dal Venezuela. Nonostante si fosse presentato come un governo transitorio, la fazione della presidente ad interim iniziò a investigare sul patrimonio economico di tutti i ministri, viceministri, governatori e sindaci legati a Morales. Il ministro del Governo (Interno) Murillo informò che oltre 600 persone si trovavano sotto controllo, a suo parere un numero esiguo.
Gli attacchi hanno raggiunto le case e le famiglie di politici affiliati al MAS, come nel caso della sindaca di Vinto, Patricia Arce, accusata di aver riunito un gruppo di persone nella sua abitazione durante il regime di quarantena. Secondo la sua testimonianza, gli agenti sono entrati senza permesso mentre lei in realtà stava festeggiando il compleanno del figlio.
Un anno dopo
La persecuzione non ha raggiunto i risultati sperati. Il MAS resta comunque la principale scelta degli elettori e si aggira attorno al 30%-40% delle preferenze (dipendendo dal sondaggio). Nonostante questo, la strategia ha sortito un effetto importante: l’inabilitazione di Evo Morales. L’artefice della Costituzione Plurinazionale aveva già espresso la volontà di non candidarsi alla presidenza per tentare di pacificare la Bolivia durante gli scontri dei giorni successivi alle elezioni del 2020, ma la magistratura gli ha comunque impedito di presentarsi come senatore per Cochabamba. La ragione deriva da un cavillo giuridico che obbliga il candidato a risiedere nel Paese almeno nei due anni precedenti alle elezioni. Il ricorso, che aveva come argomento l’esilio “forzato” dell’ex presidente, non è stato accettato.
Su Morales pesano altre accuse, tra cui quella di “sedizione e terrorismo”, motivo per cui la magistratura ha emanato un mandato di cattura. Per la Fiscalía infatti sarebbe responsabile di aver ordinato di tagliare le vie di accesso a La Paz ed El Alto durante le proteste post-elezioni impedendo i rifornimenti di benzina.
Non finisce qui. Negli ultimi mesi Áñez ha tentato anche di inabilitare in toto il MAS e il suo candidato alla presidenza Luis Arce. L’ex ministro dell’Economia dei governi Morales (2006-2019) avrebbe trasgredito il divieto di diffondere i sondaggi incaricati dai partiti, come previsto dalla legge. Se il Tribunale Elettorale avesse trovato indizi sufficienti, il MAS avrebbe potuto essere fuorigioco. Dietro questa denuncia, si nasconderebbe il tentativo di vendetta personale del partito di Áñez che alle regionali e municipali del 2015 era stato escluso proprio per questo motivo.
L’emergenza sanitaria e gli scandali di corruzione
Parte del basso gradimento nei confronti della presidente è dovuto all’accusa di aver sfruttato l’emergenza sanitaria per estendere il suo mandato transitorio. Il Paese registra attualmente quasi 140.000 contagiati e più di 8.000 morti, non molti in confronto ai suoi vicini ma abbastanza per portare al collasso gli ospedali. Il governo ha persino pianificato l’esproprio di alcune cliniche e cimiteri privati per rispondere alla crisi. Dopo aver imposto la quarantena, si è ritrovato a fronteggiare le proteste delle classi più deboli e ha deciso di organizzare la riapertura e lasciare più libertà ai governi locali.
Alla crisi sanitaria è legato il più grande scandalo di corruzione dell’amministrazione Áñez: l’acquisto a prezzo più che maggiorato di 170 respiratori dalla Spagna. Secondo la stampa boliviana, i macchinari valevano 7.194 dollari l’uno ma l’esecutivo è arrivato a pagare 28.000 per ogni esemplare. I medici hanno inoltre segnalato che gli apparati non erano adatti alla terapia intensiva e quindi inadeguati al trattamento del covid-19. Per questo motivo, il ministro della Salute, Marcelo Navajas, è finito agli arresti domiciliari. Anche Áñez, sei ministri, tra cui Karen Longaric (Affari Esteri) e Oscar Ortiz (Economia), e sette viceministri del suo governo sono risultati positivi a luglio, nel momento di massima allerta nazionale.
Le accuse di corruzione oscillano, secondo la stampa, tra le 20 e le 50 e, oltre ai respiratori, coinvolgono l’acquisto irregolare di gas lacrimogeno, la compravendita di incarichi istituzionali e le irregolarità in alcune aziende statali. Alcuni di questi sono stati denunciati dallo stesso governo ma nessuno è ancora arrivato in tribunale. Infine, il MAS ha segnalato episodi di nepotismo nella nomina della sorella del ministro dell’Interno a console della Bolivia a Miami e pagamenti illegali nei ministeri di Educazione, Comunicazione e Cultura.
Il ritiro della candidatura
Dopo un iniziale rifiuto, Áñez si era candidata con una lista propria lasciando sorpresi i suoi alleati. Il progetto, denominato Juntos Avancemos, prevedeva una coalizione tra il suo Movimiento Demócrata Social e due raggruppamenti che avevano sostenuto in precedenza Carlos Mesa. Il primo a insorgere è stato Luis Fernando Camacho —capo della coalizione Creemos, formata da sei partiti, e uno degli assoluti protagonisti della destituzione di Morales— che proviene come Áñez dalle classi agiate di Santa Cruz e si aspettava da lei un solido appoggio per raggiungere un grande consenso in quella zona.
Il sogno di essere riconfermata è durato poco. Un sondaggio del 16 settembre ha attestato la caduta del consenso della presidente, posizionandola al quarto posto. La preoccupazione della destra stava nel vantaggio di Arce, dato primo con un vantaggio di oltre 10 punti percentuali su Mesa. Áñez, quindi, si è ritirata in nome dell’unità del fronte anti-MAS, ma restano i dubbi su chi ne beneficierà tra Mesa e Camacho. La ricollocazione dei voti del suo elettorato potrebbe svolgere un ruolo determinante.
Fonti e approfondimenti
Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (parte 1): “Gracias Evo, pero que descanse”, Lo Spiegone, 6/10/19
Francesca Rongaroli, Elezioni in Bolivia (Parte 2): Evo, Mesa e poche certezze, Lo Spiegone, 17/10/19
Francesco Betrò e Francesca Rongaroli, Golpe o non golpe, per la Bolivia si aprono grandi incognite, Lo Spiegone, 17/11/19
Francesco Betrò, La riorganizzazione del MAS senza Evo Morales, Lo Spiegone, 18/04/20
Fernando Molina, El Gobierno boliviano recrudece la persecución a Evo Morales y el MAS, El País, 9/01/20
Fernando Molina, Bolivia intensifica las acciones contra el partido de Evo Morales durante la cuarentena, El País, 24/04/20
Correo del Sur, La gestión de Jeanine Áñez enfrenta un alto índice de rechazo ciudadano, según encuesta, 21/07/20
Boris Miranda, Jeanine Áñez renuncia a su candidatura: por qué la presidenta interina de Bolivia abandona su postulación, BBC Mundo, 17/09/20
Correo del Sur, Más de 20 casos de corrupción e irregularidades ensombrecen 11 meses de gestión de Áñez, 26/09/20
Infobae, Los últimos sondeos en Bolivia dejan la puerta abierta a una segunda vuelta electoral, EFE, 1/10/20
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